1984, l’incubo di Orwell entra nei giornali
Nel 1949 viene pubblicato per la prima volta il romanzo 1984 di Georges Orwell (1903-1950), anarchico passato al socialismo e vittima delle persecuzioni staliniste al tempo della guerra civile spagnola.
1984 è un formidabile atto d’accusa nei confronti della pretesa totalitaria di voler piegare la realtà e le persone a un fine superiore, che a parole coincideva con la felicità del popolo, ma alla fine si identificava nella sottomissione cieca ai partiti totalitari e ai loro leader. La narrazione è ambientata in un futuro prossimo (l’anno 1984) quando la terra è divisa tra tre grandi potenze che sfruttano lo stato costante di guerra tra loro per mantenere il controllo totale sul popolo.
La psicopolizia del Grande Fratello e quella di oggi
La società è governata da un onnipotente partito unico con a capo il Grande Fratello e amministrata secondo i principi del SocIng, il partito Socialista Inglese. Il Partito è retto dal Minamor, ovvero Ministero dell’Amore, la cui funzione è di controllare i membri del partito e di convertire i dissidenti alla sua ideologia con l’aiuto della psicopolizia che interviene in ogni situazione sospetta di eterodossia.
L’oppressione totalitaria messa in atto dallo Stato comunista, che ai tempi di Orwell poteva ancora essere considerata alla stregua di una “profezia”, è ormai una realtà storica assodata. Oggi sta per attuarsi una seconda predizione contenuta in “1984”: la trasformazione della società attraverso la manipolazione violenta del linguaggio. Si tratta di una violenza che non agisce, con strumenti “polizieschi”, almeno non in prima battuta (poi si arriva anche alla violenza, una volta approvate nei vari Paesi le leggi contro l’“omofobia”), bensì preferisce, piuttosto, l’imposizione per via burocratica di espressioni coniate appositamente per spingere gli uomini a pensare in modo univoco; espressioni che riscrivono il significato delle parole in modo da cancellare da esse ogni riferimento alla dimensione autentica della realtà. L’operazione attualmente in corso, che riguarda l’accreditamento dell’ideologia di genere da parte di istituzioni internazionali e nazionali, richiama immediatamente alla memoria la «Neolingua», che, nella società del Grande Fratello serviva ad omologare il pensiero e uniformare la vita degli uomini.
Chi cambia le parole controlla il mondo
Tra realtà e linguaggio c’è un legame profondo: il linguaggio ha la funzione di esprimere e comunicare il mondo. Da questa funzione di “rivelazione” dipende, come corollario, che se il linguaggio s’impoverisce diminuisce la possibilità di comprendere ed esprimere la realtà e se le parole vengono contraffatte la coscienza si rappresenta la realtà in modo deformato.
Nella società immaginata da Orwell il potere politico si serve della Neolingua per estendere a tutti gli ambiti di vita il proprio controllo, sostituendola progressivamente all’«Archeolingua».
Alla riduzione delle parole consegue la semplificazione delle possibilità del pensiero: «Giunti che saremo alla fine renderemo il delitto di pensiero, ovvero lo psicoreato, del tutto impossibile perché non ci saranno più parole per esprimerlo». L’obiettivo finale è la realizzazione di una società senza pensiero: «Ortodossia significa non pensare, non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è non conoscenza».
Il «Ministero della Verità», istituzione che prepara l’avvento della società senza pensiero, persegue l’uso dei termini che si riferiscono al concetto di libertà e quelli collegati alla conoscenza razionale e oggettiva, oltre a curare la distruzione e la contraffazione del significato delle parole: «Il depauperamento del linguaggio è un vantaggio, giacché più piccola è la scelta, minore è la tentazione di riflettere».
La contraffazione si avvale del ricorso alle sigle, agli eufemismi e agli slogan per rovesciare il senso comune, per esempio: «La guerra è la pace. La libertà è la schiavitù. L’ignoranza è la forza».
Con gli slogan si riscrive il senso della realtà: come la «moneta cattiva scaccia quella buona », così il giudizio costruito con fatica attraverso la riflessione, viene sostituito dall’opinione semplificatrice volta a indurre un atteggiamento mentale (per approfondire diversi concetti tra quelli appena esposti – e per vari esempi di manipolazioni linguistiche in ambito bioetico − rimando agli articoli di Giacomo Samek Lodovici citati in bibliografia).
Mass media: i termini da usare/non usare
Se si considera il clima culturale in cui viviamo, è difficile non riconoscere che la realtà va assomigliando sempre più al romanzo.
Fin dal ’68 le società occidentali hanno patito le conseguenze violente degli “ideali” rivoluzionari, capaci di far presa sulle coscienze focalizzandone le emozioni, anche grazie a slogan tristemente noti come: «uccidere un fascista non è un reato, è la giustizia del proletariato», oppure: «falce e spinello cambiano il cervello», o ancora: «siamo realisti, esigiamo l’impossibile».
Rispetto al ’68 però c’è una differenza. Se allora la rivoluzione culturale era portata avanti da una componente minoritaria della società, che in Occidente non deteneva il potere politico e doveva ancora conquistare pienamente il potere culturale, oggi sono le stesse istituzioni, a livello internazionale e nazionale, a promuovere una strategia linguistica per rovesciare il senso comune e plasmare il pensiero sull’ideologia di genere.
Ad esempio, il 31 marzo 2010 il Comitato dei Ministri dell’UE, adottando la Raccomandazione “Misure volte a combattere
la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”, delinea un quadro culturale, a cui successivamente si sono riferite le normative nazionali, fondato sull’assunto che sesso e genere (gender) sono separabili e chi dice il contrario pronuncia un discorso dell’odio.
In Italia, la “Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” (www.pariopportunità.gov.it), emanata dall’UNAR (Ufficio del Ministero delle Pari Opportunità), recependo la Raccomandazione, introduce un “Glossario” che ridefinisce il significato dei termini correlati alla sessualità, a partire dall’assunzione dell’ideologia di genere, data per assoluta.
Sempre in linea con la Raccomandazione del 2010, l’UE ha finanziato il programma “LGTB Media and Communication”, su cui si basano le “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”, destinante ai giornalisti, pubblicate l’11 dicembre 2013, sempre dal ministero per le Pari Opportunità. Con il “Glossario” della Strategia Nazionale, ripreso e approfondito nelle Linee guida, la strategia di coercizione linguistica delle istituzioni che sostengono l’ideologia del gender diventa esplicita.
Da esse veniamo a sapere che il termine eterosessimo indica la «visione del mondo che considera come naturale solo l’eterosessualità, dando per scontato che tutte le persone siano eterosessuali». Che «l’eterosessismo […] è la causa principale dell’omofobia». Apprendiamo inoltre che l’espressione «identità di genere» indica «Il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna […] indipendentemente dal sesso anatomico di nascita».
E ancora che, per evitare «discorsi d’odio», il giornalista deve attenersi ad alcune regole: evitare di usare espressioni che manifestino una visione «omonegativa». Ad esempio, a «famiglia omosessuale» deve preferire «famiglia omogenitoriale», al termine «famiglia», deve sostituire «famiglie»; non è opportuno inoltre parlare di «utero in affitto », ma va usata l’espressione «gestazione di sostegno» o «maternità surrogata».
Come reagire alla contraffazione esplicita (e arrogante) che rovescia la verità chiamando «discorso dell’odio» l’affermazione di chi ritiene la complementarietà tra uomo e donna come espressione della natura umana? Si tratta in primo luogo di tornare a guardare la realtà, che può essere vista da chiunque la voglia vedere; si tratta poi anche di avere il coraggio di superare i luoghi comuni “politicamente corretti”, e riconoscere, con il bambino della favola, che «il re è nudo». â–
Per saperne di più…
– George Orwell, 1984, Mondadori, 1950.
– Giacomo Samek Lodovici, Ma come parla, il Timone, 101 [2011], pp. 30-31, reperibile su www.iltimone.org
– Giacomo Samek Lodovici, Nella trappola del linguaggio, il Timone, 115 (2012), pp. 30-31, www.iltimone.org
– Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, 1979 (nuova ristampa 1991), pp. 105-121.
– Pier Giorgio Liverani, Società multicaotica. Con il Dizionario dell’Antilingua, Ares, 2005.
– Jesùs Trillo-Figueroa Martinez-Conde, Le ideologie non sono morte, lo dimostra il linguaggio, Vita e Pensiero, 5 (2009), pp. 72-82, reperibile on line.
Il Timone – Dicembre 2014
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