15.12.2024

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Filosofo innamorato della verità
31 Gennaio 2014

Filosofo innamorato della verità

La verità, il rapporto fede-ragione, il bene dell’uomo, la condotta morale (come espressione d’amore) e la moralità intrinseca degli atti umani nelle due encicliche filosofiche

Ci vorrà tempo per assimilare gli insegnamenti di Giovanni Paolo II. Vogliamo ricordare alcune idee delle sue due encicliche più filosofiche, cioè la Veritatis splendor e la Fides et ratio (d’ora in poi Vs e Fr).
Il nesso tra Vs e Fr lo dichiara apertamente Fr stessa (n. 6), indicando nel tema della verità il cuore e il centro di rifrazione di queste encicliche. In effetti, questo Papa ha sempre proclamato che l’uomo è capace di conseguire la verità su se stesso, sul senso della vita, sull’esistenza di Dio, sul bene e sul male – insomma è capace di rispondere almeno in parte alle grandi domande che l’uomo di ogni tempo si pone –, ed ha spiegato che «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere lui» (Fr 0).
Precisamente, «Dio, in quanto fonte di amore, desidera farsi conoscere, e la conoscenza che l’uomo ha di lui porta a compimento ogni altra vera conoscenza […] circa il senso della propria esistenza» (Fr 7). Infatti, l’esistenza di Dio è il dato essenziale per risolvere il tema del senso della vita e della felicità e per affrontare tutti gli altri problemi (etici, politici, economici, ecc.). Bisogna dunque scongiurare quel «processo di secolarismo, nel quale tanti, troppi uomini pensano e vivono “come se Dio non esistesse”. […] Urge allora che i cristiani riscoprano la novità della loro fede e la sua forza di giudizio» (Vs 88), cioè la capacità della fede di rischiarare la strada giusta da percorrere in ogni ambito della vita e dell’agire dell’uomo.
Giovanni Paolo II ha reagito contro il nichilismo e il relativismo, secondo cui non c’è speranza né possibilità di raggiungere la meta della verità e di comprendere il senso della vita. Chi dice che «la verità è inconoscibile» si contraddice, perché, mentre fa questa affermazione, pretende che sia vera e conoscibile l’affermazione che egli sta facendo.
Sulla scorta della fiducia nella conoscibilità della verità, Fr illustra il rapporto tra fede e ragione, mostrando che la fede non sopprime la ragione bensì la promuove, la sostiene e la incentiva, sottoponendole nuovi temi da chiarire e indicando all’uomo le risposte ultime sull’esistenza, cioè procedendo oltre il limite sul quale la ragione si deve arrestare; la ragione, a sua volta, non elimina la fede, bensì la rafforza e la chiarifica aumentandone la comprensione. Perciò tra fede e ragione non si dà opposizione o mutua esclusione, ma una solidarietà reciproca ed una cooperazione benefica, vantaggiosa per entrambe. La separazione storica tra fede e ragione ha prodotto gravi conseguenze: «La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione» (Fr 48).
Nel contesto della sua vigorosa valorizzazione della ragione, Giovanni Paolo II ha rivendicato l’importanza di quell’esercizio eminente della ragione che è la filosofia, definita «uno dei compiti più nobili dell’umanità», perché «contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della vita e ad abbozzarne la risposta» (Fr 3).

Vs proclama la fiducia nella conoscibilità della verità in ambito morale, cioè la conoscibilità del bene e del male, e spiega che la libertà umana non può essere la sorgente dei valori morali, e che la coscienza dell’uomo non può fissare in modo autonomo i criteri del bene e del male, perché non ci sono tante verità diverse per ognuno, ma un’unica verità sul bene e sul male dell’agire, che la ragione deve riconoscere e non creare, e che la libertà deve rispettare (Vs 32).
Per Vs è vero che le norme morali che l’uomo deve riconoscere hanno prevalentemente una formulazione negativa, ma la condotta morale autentica non è l’assoggettamento ad un apparato di leggi costrittive, bensì è una prassi gioiosa, perché motivata dall’amore a Dio (quindi il fine delle azioni non è il dovere per il dovere, bensì l’amore: cioè l’uomo veramente morale rispetta i comandamenti per amore di Dio), e tutto ciò che noi uomini facciamo per amore lo facciamo gioiosamente, o perlomeno ci risulta poco gravoso: «La vita morale si presenta come risposta dovuta alle iniziative gratuite che l’amore di Dio moltiplica nei confronti dell’uomo [fino al sublime sacrificio della croce]. È una risposta d’amore» (Vs 11) e solo «chi […] non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti» (Vs 22); «Chi, invece, è animato dall’amore […] trova nella legge di Dio la via fondamentale e necessaria per praticare l’amore liberamente scelto e vissuto» (Vs 18).
In definitiva «acciocché le opere nostre siano buone e perfette, è necessario farle col puro fine di piacere a Dio» (Vs 78). Ne consegue che il criterio morale fondamentale per giudicare qualsiasi atto umano è la sua coerenza/incoerenza con l’amore per Dio.
Solo la conoscibilità della verità morale può far da baluardo contro ogni tipo di malvagità umana, compreso il totalitarismo. Molti affermano che il totalitarismo nasce dalla pretesa di detenere la verità e dunque bisogna liquidare la pretesa della ragione di accedere alla verità stessa. In realtà, il totalitarismo può essere respinto e condannato solo se è conoscibile la verità secondo cui l’uomo possiede una dignità intangibile, che non si deve mai calpestare: «La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della dignità della persona umana, immagine del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare» (Vs 99). Quando una democrazia si allea con il relativismo, quando «non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (Vs 101).
Per tutelare la dignità umana Vs ribadisce (65-83) che esistono atti umani intrinsecamente malvagi, tali sempre e in ogni circostanza, come uccidere un innocente, bestemmiare, torturare, ridurre in schiavitù, ingannare fraudolentemente, commettere adulterio, ecc.
Bisogna perciò ricusare il cosiddetto consequenzialismo, secondo cui gli atti umani non hanno una qualità morale intrinseca, bensì la guadagnano di volta in volta in relazione alle conseguenze che producono, cosicché, per esempio, diventa lecito clonare una persona per guarirne altre, o uccidere un innocente per salvarne cento, ecc.
Molte argomentazioni si potrebbero rivolgere contro questa concezione, ma ne esponiamo una sola. Se dovessimo giudicare i nostri atti in questo modo, in realtà, la valutazione morale sarebbe impossibile e noi non potremmo mai agire, perché le conseguenze dei nostri atti sono spesso illimitate e incalcolabili. Ad esempio, la decisione di Cesare di varcare il Rubicone determina degli effetti che non sono tutt’oggi terminati e che egli dunque non poteva prevedere, e lo stesso si può dire di moltissime azioni.
Sono solo pochi cenni del pensiero delle encicliche più filosofiche di un uomo che ha lasciato insegnamenti imperituri e che è stato anche grande filosofo. Con le parole di una poesia del Papa sulla Cappella Sistina, possiamo dire di lui: «Quel che in me è imperituro, ora si trova faccia a faccia con Colui che È».

Bibliografia

Veritatis Splendor, 1993.
Fides et Ratio, 1998.
I testi filosofici di Karol Wojtyla in italiano sono: Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e altri saggi integrativi, Bompiani 2003.
I Fondamenti dell’ordine etico, CSEO 1980.
La struttura personale dell’autodecisione, «Asprenas», 4 (1974), pp. 337-346.
Teoria e prassi nella filosofia della persona umana, «Sapienza», 4 (1976), pp. 377-384.
La visione antropologica dell’Humanae vitae, «Lateranum», 1 (1978), pp. 125-145.
Sul pensiero filosofico di Giovanni Paolo II: Rocco Buttiglione, Il pensiero dell’uomo che divenne Giovanni Paolo II, Mondadori 1998.
AA.VV., La filosofia di Karol Wojtyla, Bologna 1983.
AA.VV., Wojtyla filosofo, teologo e poeta. Atti del I° Colloquio Internazionale del pensiero cristiano, Città del Vaticano 1983.
AA.VV, Karol Wojtyla e il pensiero europeo contemporaneo, Bologna 1984.

Dossier: Giovanni Paolo II: punti fermi

IL TIMONE – N. 43 -ANNO VII – Maggio 2005 -pag. 46-47

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