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Frammenti per un’apologia dell’apologetica
31 Gennaio 2014

Frammenti per un’apologia dell’apologetica

Noi della redazione abbiamo avuto di recente un colloquio con Vittorio Messori. Ci interessava parlare con lui dei suoi quattordici libri, libri tutti quanti in una chiara, esplicita prospettiva di apologetica cattolica. Dalla conversazione con lo scrittore, abbiamo appuntato alcuni “frammenti” che, come Messori stesso ci ha precisato, non sono né esaustivi né, tanto meno, indiscutibili. Sono soltanto una provocazione, nata dall’esperienza del maggior autore apologetico, per riflettere sul tema che ci sta a cuore. E in questa prospettiva che riportiamo qui le nostre note.

1. Il Dio cristiano, volendo salvaguardare la libertà dell’uomo, perché questi non fosse servo ma figlio e amico, “ha dato abbastanza luce per credere e lasciato abbastanza ombra per non credere” (Pascal). Si è avvolto nel chiaroscuro anche per poter lasciare spazio alla sua misericordia e perdonare il rifiuto dell’uomo (Guitton). Vuole proporsi, non imporsi. Se Dio è amore, ne deriva che l’amore non sopporta la costrizione, pena l’essere distrutto. Da ciò deriva il fatto che ogni Apologetica, il cui scopo primo consiste nel presentare le ragioni per credere, non sarà mai definitiva, nel senso che non potrà mettere alcuno con le spalle al muro, costringendolo a credere. Anche se i suoi argomenti sono tali da far seriamente riflettere l’incredulo e da confermare il credente.

2. Proprio nell’accetta-zione di questa strategia della penombra il Cristianesimo mostra la sua verità: per l’Islam, ad esempio, l’ateo non può esistere e se esiste è un pazzo, perché Allah è l’evidenza stessa. Invece, noi crediamo che non è così: l’evidenza convive con l’incertezza: è un fatto oggettivo, che constatiamo nei fatti. La pluralità di religioni è stata, evidentemente, permessa da Dio stesso, per spingerci all’apostolato: anche in questo, il Dio cristiano mostra di potere ma non di volere fare tutto da solo.

3. Se la fede è dono di Dio, dono di Dio sono anche la ragione e la volontà che ci spingono a cercare e ci sostengono nella ricerca. Dobbiamo esercitarle sino in fondo. Tenendo sempre presente che non può esistere contrasto tra fede bene intesa e ragione altrettanto bene intesa: il Dio rivelatore è lo stesso Dio creatore. Più conosciamo noi stessi e il mondo, attraverso la ragione, più scopriamo il piano di Dio.

4. L’Apologetica, come sforzo per cercare le tracce e gli indizi del Dio che ha voluto essere cercato (con la ragione e la volontà) è dunque essenziale nel Cristianesimo. Gesù per primo è stato apologeta, nell’episodio di Emmaus: “E cominciando da Mosè e i Profeti spiegava loro nelle Scritture tutto ciò che lo riguardava”. Bibbia alla mano, è Egli stesso che mostra le ragioni per credere in Lui.

5. L’Apologetica è innanzitutto un servizio alla Verità. Che è Cristo stesso: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. Non dimenticando il “Veritas liberabit vos”.

6. Ha un aspetto “positivo”: mostrare le ragioni per credere. Nella sua azione propositiva (espositiva) l’Apologetica si muove su tre cerchi concentrici. Il primo è quello strettamente religioso e che riguarda Dio. Sarà compito del l’Apologetica riaffermare che l’uomo, certamente nella condizione ideale e comunque sempre con fatica, è in grado di conoscere con certezza, grazie al lume naturale della sua ragione, l’esistenza di Dio uno e vero, creatore e Signore. L’Apologetica terrà ben distinto il fatto che la ragione dell’uomo, rettamente impiegata, può giungere alla esistenza di Dio, ma che necessita della Rivelazione per sapere chi è Dio. La Rivelazione ci offre il contenuto della fede, le verità da credere; la ragione i suoi preamboli. Il secondo cerchio concentrico nel quale si muove l’Apologetica riguarda la credibilità storica del Cristianesimo, in particolare del racconto evangelico, a partire dalla esistenza reale di Gesù Cristo per concludere alle prove della ragionevolezza e della attendibilità storica dei fatti che gli sono attribuiti nel Vangelo. In quest’ottica, l’Apologetica dovrà identificare ed esporre tutti i motivi che conducono la ragione dell’uomo a ritenere credibile il racconto evangelico, anche e soprattutto nella sua dimensione storica, fattuale. Il terzo cerchio concentrico riguarda la santità, la verità, l’unicità della Chiesa Cattolica. Sarà compito dell’Apologetica dimostrare, con gli strumenti dell’indagine storica, che solo la Chiesa Cattolica, che ha nel Sommo Pontefice il suo Capo visibile, corrisponde e perpetua nel tempo la Chiesa voluta ed edificata da Gesù Cristo sull’Apostolo Pietro.

7. Se quanto detto sopra corrisponde alla funzione positiva dell’Apologetica, va detto che essa possiede un altrettanto doveroso aspetto “negativo”: reagire, in nome della verità, a determinate accuse alla fede in Dio, in Cristo e alla vita della Chiesa per mostrare non solo come andarono davvero le cose ma anche per offrire la prospettiva di lettura per leggere quegli eventi.

8. La fede deve unire la carità (“facientes veritatem in Charitate”, dice san Paolo) alla fermezza: chi volesse fare di Gesù un “buonista” lo deformerebbe. Purché la carità sia salvaguardata, quando necessario – per legittima difesa – non si deve avere paura della polemica, tenendo presente che tutte le persone sono da rispettare ma molte idee sono da combattere e magari esecrare.
Dobbiamo amare, anche pregando per il loro riposo eterno, i Robespierre, i Marx, gli Stalin, i Goebbels ma opporci con ogni forza, detestandole, alle ideologie che cercarono di imporre.

9. “Dio non ha bisogno delle nostre bugie. E neanche delle nostre astuzie”: proprio perché destinata a reagire al falso, l’Apologetica deve avere il culto della verità e dell’onestà.

10. Deve avere anche il culto del rigore: nessuna approssimazione, tutto deve essere verificato e documentato. Approssimazione e pressappochismo producono discredito, non rispetto della causa che si vuole difendere.

11. Oggi l’Apologetica è più che mai fondamentale. Proprio la “purificazione della memoria” voluta da Papa Giovanni Paolo II la rende urgente. Il Papa ha detto chiaramente che prima di chiedere perdono bisogna “stabilire con sicurezza che cosa è avvenuto” e poi “cercare di capire se ciò che è avvenuto è davvero in contrasto col Vangelo”. A quest’ultimo proposito, la storia della Chiesa va giudicata nella prospettiva della fede che non coincide affatto con la vulgata del “politicamente corretto” attuale. Vedi, ultimo esempio, Pio IX: papa discutibile secondo le categorie del mondo; grande Papa (e beato, futuro santo) nella prospettiva religiosa, l’unica legittima per giudicare il suo pontificato. Non dimentichiamo mai che l’illuminismo settecentesco (padre della nostra cultura) ha cercato di sostituire la religione con la politica e con la cultura. Impregnati come siamo, ormai, da quello spirito, spesso senza neppure accorgercene, noi stessi giudichiamo ciò che è religioso, ed esige dunque categorie omogenee, con i metri culturale e politico. In questo modo nulla capiamo. Il sospetto è che proprio certi attuali mea culpa cattolici siano retti proprio da questo equivoco.

12. L’umiltà cattolica deve convivere con la giusta fierezza di far parte della “comunità dei chiamati” (questo vuoi dire “Chiesa”) da parte di Gesù Cristo. A questa fierezza (che non è orgoglio, ma è, al contrario, umile e grato riconoscimento di un dono) l’Apologetica può e deve contribuire. E deve contribuire anche alla riscoperta della “gioia di essere cattolico”

13. Nessun dialogo è possibile nell’ambiguità, nella rimozione della verità, nella diffamazione (o nella mancata difesa) dei fratelli che ci hanno preceduto nella fede. Dunque, rispettare l’altro – e il vero dialogo con lui – esige di dichiarare con chiarezza, anche se con dolcezza, la propria identità. Senza fare sconti alla verità. Il dialogo, comunque è un mezzo per proporre la verità, non è un fine: e cioè, che ciascuno resta della sua idea dopo che si è dialogato. Se fosse così, non sarebbe apostolato ma, al massimo, una sorta di servizio di informazione.

14. Se qualcuno tira fuori la solita banalità: “voi credete di avere la verità in tasca”, dovremo rispondere “sì, perché – senza alcun nostro merito e umilmente ma fermamente consapevoli del dono che ci è stato fatto – siamo discepoli di Colui che ha detto di essere, Lui stesso, la Verità” . Non possiamo negare di avere la Verità, quella con la maiuscola, perché essa non è nostra, l’abbiamo ricevuta con la fede.

15. In fondo, dobbiamo essere fieri per le accuse attuali alla Chiesa dei secoli passati: in questo modo si riconosce che è la sola comunità che resti se stessa nel trascorrere dei secoli. Ha ragione il Cardinal Biffi: “Mettere sotto accusa la Chiesa di oggi per il passato è un palese riconoscimento della sua permanenza, della sua identità non travolta dalla storia”.

16. Come ricorda il principio fondamentale spesso dimenticato: “Salus animarum suprema lex Ecclesiae”. Dunque, la Chiesa va giudicata tenendo presente che ciò che non si vede (la salvezza eterna di una folla innumerevole) è assai più importante di ciò che si vede. Chi, se non Dio, può vedere l’immenso positivo, per l’umanità intera, dei sacramenti, a cominciare da confessione ed eucaristia? Il paradiso riempito dalle folle oscure che ci hanno preceduto, l’inferno evitato per altrettanti non possono essere messi nel bilancio mondano della storia della Chiesa. Eppure, sono il vero “attivo” che conta.

Dossier: La via dell’apologetica nel terzo millennio

IL TIMONE – N. 10 – ANNO II – Novembre/Dicembre 2000 – pag. 32-34

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