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14.12.2024

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Francois-Renè De Chateaubriand
31 Gennaio 2014

Francois-Renè De Chateaubriand

 

 


Niente di più divino e bello della religione fondata da Gesù Cristo, della sua dottrina, dogmi e morale.
Civiltà, cultura, arti e lettere, scienze e progresso sono debitori della genialità del cristianesimo.

…il messaggio di Gesù Cristo non soltanto non ha prodotto gli effetti negativi denunciati dagli illuministi, ma, al contrario, è stato il più potente alleato della civiltà occidentale e del progresso della cultura….

Fu Napoleone in persona a ordinare che venisse recensita positivamente l’opera Genio del cristianesimo, pubblicata da Francois-René de Chateaubriand duecento anni fa, esattamente il14 aprile 1802 o, come si diceva allora in ossequio ai dettami della moda rivoluzionaria, il 24 germinale dell’anno X. Per la verità, l’autore, che era nato a Saint-Malo nel 1768 e che morirà a Parigi nel 1848, dopo un’iniziale adesione alle idee illuministiche, si era spostato su posizioni decisamente controrivoluzionarie, facendo coincidere tale spostamento con la conversione al cattolicesimo, di cui il Genio è la testimonianza più viva e interessante.
Chateaubriand, che con Louis de Bonald e Joseph e Maistre è considerato uno dei maitre à penser della controrivoluzione filosofica francese, ritenne che i fatti del 1789 e tutti i mali che ne erano seguiti fossero la diretta conseguenza delle dottrine elaborate nel XVIII secolo dai Voltaire e i Diderot, i quali non avevano esitato a porre al centro delle loro riflessioni e delle loro polemiche il rifiuto e la condanna della fede religiosa, in particolare di quella cristiana, di cui avevano criticato e persino ridicolizzato i dogmi e le verità principali. Dunque, per Chateaubriand la sconfessione delle tesi rivoluzionarie e la difesa del cattolicesimo sono due facce della stessa medaglia; il compito che gli si impone è allora quello di dimostrare che il messaggio di Gesù Cristo non soltanto non ha prodotto gli effetti negativi denunciati dagli illuministi, ma, al contrario, è stato il più potente alleato della civiltà occidentale e del progresso della cultura: “Non si trattava – si legge a questo riguardo nel Genio del cristianesimo – di riconciliare con la religione i sofisti, bensì la gente da essi traviata.
L’avevano ingannata col dire che il cristianesimo era un culto nato in seno alla barbarie, assurdo nei dogmi, ridicolo nelle sue cerimonie, nemico delle arti e delle lettere, della ragione e della bellezza; un culto che aveva continuamente versato il sangue, incatenato gli uomini e ritardato la felicità e i lumi del genere umano; si doveva dimostrare che, al contrario di tutte le religioni mai esistite, la religione cristiana è la più poetica, la più umana, la più favorevole alla libertà, alle arti, alle lettere; che il mondo moderno le deve tutto, dall’agricoltura alle scienze astratte; dagli ospizi per gli infelici fino ai templi costruiti da Michelangelo e decorati da Raffaello”.
Inserendosi in un dibattito antico e, come è noto, ancora oggi di grande attualità, Chateaubriand manifesta la certezza che la civiltà cristiana sia superiore a tutte le altre. E per suffragare questa tesi fa appello a motivi estetici e sentimentali piuttosto che ad argomentazioni strettamente razionali e logiche: egli – è stato detto – “non spiega, non ragiona, ma contempla e ammira”, E, ammirando, si convince che niente è più sublime della religione cristiana, a proposito della quale, sempre nel Genio, afferma: “Si doveva dimostrare come niente sia più divino della sua morale; niente più bello e solenne dei suoi dogmi, della sua dottrina e del suo culto; occorreva dire come essa favorisca il genio, purifichi il gusto, sviluppi le passioni virtuose, dia vigore al pensiero, offra nobili forme allo scrittore e perfetti stampi agli artisti; che non bisogna vergognarsi di credere con Newton e 80ssue!, Pascal e Racine”.
A questo punto, agli occhi di Chateaubriand, è evidente che coloro che hanno pensato di poter fare a meno del cristianesimo avrebbero condotto l’uomo e la società allo sfacelo, perché esso rappresenta quella tradizione aurea fuori o contro la quale non è possibile edificare niente di buono: “è qualcosa di generalmente riconosciuto – si legge ancora nel Genio del cristianesimo che l’Europa deve alla Santa Sede la propria civiltà, una parte delle sue leggi migliori e quasi tutte le sue scienze e le sue arti”.
In questo contesto è possibile cogliere nell’opera di Chateaubriand anche una interessante valenza educativa: “Pur non potendo essere annoverato fra i pedagogisti veri e propri, Chateauriand possedeva e diffuse la convinzione storio-filosofica e pedagogica che tutti i popoli, e quello cristiano in particolare, fossero legati nella loro sorte storica con le vicende della loro teologia, e che dunque soltanto un ritorno della società alla teologia perduta potesse costituire le basi della loro salvezza storica. La teologia pertanto costituiva anche l’anima della pedagogia sociale e dell’educazione politica” (G, Marrone e G. Penati).
“Avvocato poetico” del cattolicesimo, come lo definì Saint-Beuve, e fors’anche “cristiano dilettante”, secondo il giudizio che ne dette Pierre Moreau, Chateaubriand non appare teologo e filosofo in grado di elaborare speculazioni profonde, e la sua stessa religiosità risulta a volte vaga ed eccessivamente legata alle emozioni e condizionata dai sentimenti. Tuttavia questo intellettuale dalla vita inquieta – ebbe una carriera politico-diplomatica contrastata ancorché di buon successo, e celebre resta il suo fascino di grande amatore – fu capace di riattivare sulla Chiesa il favore e la simpatia della gente e degli stessi uomini di cultura, dopo l’ubriacatura anticristiana che aveva stordito per lungo tempo la Francia e che era figlia di quel materialismo rivoluzionario che egli definì “il patibolo sostituito alla legge e obbedito in nome dell’umanità”.

 

 

RICORDA

 

“È senza dubbio vero che Chateaubriand relega in una posizione completamente subordinata gli argomenti tradizionalmente utilizzati per dimostrare la fondatezza della religione cristiana e che egli si richiama prevalentemente alle considerazioni estetiche, al sentimento e alle pascaliane ‘ragioni del cuore’; bisogna però ricordare che egli ha soprattutto presenti coloro i quali criticano il cristianesimo sulla base della tesi che è repellente, impedisce lo sviluppo della coscienza morale, è nemico della libertà umana e contrario alla cultura e, in generale, ha un effetto soffocante e paralizzante sullo spirito dell’uomo. Egli dichiara esplicitamente di scrivere non per i ‘sofisti’ che ‘non cercano mai in buona fede la verità’, ma per coloro che, sedotti dai sofisti, sono stati portati a credere che il cristianesimo è oscurantista, nemico delle arti e della letteratura, una religione barbara e crudele, antitetica alla felicità umana”.
(Antonio Livi, La Filosofia e la sua storia. La filosofia contemporanea – L’Ottocento, Società Editrice Dante Alighieri, Città di Castello 1997, val. 111, p. 362).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

F.-R. de Chateaubriand, Genio del cristianesimo o Bellezze della religione cristiana, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1995.
F.-R. de Chateaubriand, Memorie d’oltretomba, a cura di v. Brancati, Milano 1983.
F.-R. de Chateaubriand, I Martiri, a cura di N. Colombo, Milano 1952.

 

 

IL TIMONE N. 21 – ANNO IV – Settembre/Ottobre 2002 – pag. 28 – 29

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