La straordinaria ricchezza del significato dei simboli pasquali acqua e fuoco, con richiami alla religiosità naturale dei popoli precristiani. Segno che la religione è bisogno insopprimibile dell’uomo creato da Dio.
La veglia pasquale, ultimo giorno del triduo, suo culmine gioioso e vittorioso, cammino che approda alla luce della Resurrezione, è caratterizzata da due simboli, il fuoco e l’acqua. Comincia con il Lucernario, l’accensione e la benedizione del fuoco nuovo, simbolo del Cristo risorto. Là dove si è conservata la tradizione, si spengono le luci della chiesa per poi accendere fuori di essa un fuoco: rito che rammenta quello romano della riaccensione primaverile del fuoco di Vesta. Questa analogia, come altre, dimostra come la cristianità abbia inglobato in sé e illuminato quella religione cosmica che si ritrova in ogni popolo.
L’estinzione di ogni luce significa l’abrogazione della Legge Antica mentre l’arrivo del fuoco nuovo indica la promulgazione della Nuova Legge portata da Cristo che afferma: “lo sono la luce del mondo”. Anche la pietra focaia, da cui si dovrebbe ricavare il fuoco nuovo, è simbolo di Gesù, secondo quanto scrive san Paolo: “Gesù Cristo stesso è la pietra angolare”; come lo è il Cero Pasquale acceso con quel fuoco.
D’altronde in ogni tradizione precristiana il cero acceso, la cui materia nasce dall’ape, simbolo del Verbo, era considerato emblema della presenza invisibile della divinità che donava la conoscenza, purificava, vivificava e proteggeva.
Sant’Agostino spiega che nel cero ardente si devono distinguere la cera, lo stoppino e la fiamma: la cera quale simbolo della carne verginale di Cristo; lo stoppino della sua anima; e la fiamma della sua divinità. Quando esso è ancora spento simboleggia il Cristo morto. Per questo motivo, prima della sua accensione, il sacerdote incide con uno stilo una croce su di esso: al disopra traccia la ? (alfa) e al disotto la ? (omega); ed entro i quattro angoli formati dai suoi bracci le cifre dell’anno corrente. Poi conficca cinque grani d’incenso in forma di croce e in quest’ordine:
1
4 2 5
3
Questi grani sono il simbolo delle cinque piaghe della Passione.
Infine con un lungo cerino comunica il fuoco nuovo dal piccolo falò al Cero Pasquale per poi avvicinarsi all’entrata della chiesa cantando Lumen Christi mentre i fedeli rispondono: Deo gratias.
Sulla soglia alcuni fedeli vi accendono le loro candele per poi diffondere la fiamma a quelle degli altri, sicché a poco a poco tutta la chiesa viene punteggiata di lumini e infine risplende di tutte le sue luci.
Il Cero acceso, come si è già accennato, simboleggia il Cristo risorto, segno di speranza nei secoli, e le candele accese dei fedeli la loro comunione nel Signore da cui hanno ricevuto il fuoco e la luce simbolici.
Nella Chiesa primitiva, durante la veglia pasquale si celebravano i sacramenti dell’iniziazione – Battesimo, Cresima, Eucarestia – che introducevano il catecumeno nella Chiesa. Oggi ancora si raccomanda d’impartire, se è possibile, qualche battesimo durante la veglia per sottolinearne il carattere pasquale.
Dopo la liturgia della parola si benedice l’acqua nel fonte battesimale, se questo è visibile; altrimenti si pone nel presbiterio in un bacile con l’acqua. L’Ufficio per la Settimana Santa nella liturgia in vigore fino al concilio Vaticano II spiegava: “Egli la divide in forma di croce perché dalla passione e morte di Gesù Cristo ha la sua virtù; la tocca con la mano per discacciarne il demonio; fa tre croci sopra il Fonte per indicare che nel battesimo concorre tutta la Santissima Trinità, come intervenne in quello del Cristo; divide nuovamente e spande l’acqua verso le quattro parti del mondo perché fu comandato agli apostoli di andare per tutto il mondo a predicarvi la fede e a conferire il battesimo; aspira sopra di esse tre volte in modo di croce per esprimere la Trinità; v’immerge il Cero tre volte acciocché lo Spirito Santo vi discenda con la pienezza della sua grazia, e lo alza per significare come la grazia di questo sacramento sollevi l’anima dal peccato alla gloria; soffia l’acqua tre volte per di notare la venuta dello Spirito Santo, dato pure agli apostoli dal divino Maestro col soffiare sopra di essi; e finalmente vi infonde l’olio dei Catecumeni e il Crisma, simboli l’uno dell’umanità e l’altro della divinità di Gesù Cristo, e ve li mescola insieme per significare l’unione di Lui col popolo cristiano per mezzo del Battesimo (Messale romano quotidiano, Alba 1943, p. 516). Oggi il rito è semplificato ma anche impoverito; il sacerdote si limita a benedire l’acqua con una preghiera che ha espunto ogni simbolismo e a immergervi il Cero pasquale una o tre volte dicendo: “Discenda, Padre, in quest’acqua, per opera del tuo Figlio, la potenza dello Spirito Santo” (Messale quotidiano, Edizioni San Paolo 1994, pp. 446-447).
L’acqua è uno dei simboli fondamentali della religiosità cosmica. Figura la fonte e l’origine dell’esistenza, è la sostanza primordiale da dove nascono tutte le forme e alla quale esse tornano per regressione o cataclisma. “L’immersione nell’acqua” scrive Mircea Eliade “simboleggia la rigenerazione totale, la nuova nascita, perché l’immersione equivale a una dissoluzione delle forme, a una reintegrazione nel modo indifferenziato della preesistenza. E l’uscita dalle acque ripete il gesto cosmogonico della manifestazione formale”.
Nel pitagorismo il tuffo dell’iniziando nelle acque rappresentava il “passaggio simbolico” perché egli ottenesse una nuova vita spirituale. Anche nell’ebraismo le acque avevano quella funzione: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati” dice il Signore tramite il profeta Ezechiele: “io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli: vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti…”.
L’immersione nell’acqua (baptismós in greco) è il rito di purificazione che san Giovanni compie sulle rive del Giordano e al quale sottopone Cristo che dirà poi a Nicodemo: “In verità, in verità, ti dico, se uno non nasce da acqua e da spirito non può entrare nel regno di Dio”.
RICORDA
Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale ‘morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita’. Infatti dal costato dormiente di Cristo sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa”.
(Concilio Vaticano II, Costituzione “Sacrosantum Concilium”, n. 5).
IL TIMONE N. 18 – ANNO IV – Marzo/Aprile 2002 – pag. 10 – 11