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12.12.2024

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«…generato, non creato dalla stessa sostanza del Padre…»
31 Gennaio 2014

«…generato, non creato dalla stessa sostanza del Padre…»

 


 

 
Vi è un passaggio della nostra antica Professione di Fede che non viene recitato mai, pur riferendosi a Cristo. Eccolo: ‹‹Ma quelli che dicono: “vi fu un tempo in cui Egli non esisteva”, “prima che nascesse non era”, “è stato creato dal nulla”, o quelli che dicono che il Figlio di Dio è di un’altra sostanza o di un’altra essenza rispetto al Padre, o che il Figlio di Dio è sottomesso al cambiamento o all’alterazione, questi la Chiesa cattolica ed apostolica condanna›› (dal testo del Credo del primo Concilio di Nicea).
Il motivo per cui è prevalso l’uso di omettere questo passaggio durante la recita del Credo è evidente: tutti gli altri articoli del Simbolo sono al positivo, ci dicono cioè in cosa credere, mentre quello qui riportato è al negativo, e cioè dice in cosa non credere.
Ed è anche evidente perché nel 325 ve ne fu la necessità: l’eresia ariana stava mettendo in dubbio la natura divina del Figlio. È però un’eresia ricorrente ancora oggi: basti pensare all’interpretazione di Cristo nell’Islam, ai Testimoni di Geova e a tante forme di esoterismo più o meno cristiano. Cristo viene visto come un santo profeta, magari anche come inviato da Dio, ma non Dio egli stesso.
Come facciamo a sapere che la verità indicata dalla Chiesa (e tra l’altro anche dai protestanti) è quella giusta? Perché è quanto risulta dalla Sacra Scrittura. Gesù ha affermato chiaramente, anche dinanzi la replica scandalizzata dei giudei, «prima che Abramo nascesse Io sono» (Gv 8,58) e che quindi «esisteva prima di nascere». Ha anche detto senza possibilità di malintesi: «Sono di lassù…
non sono di questo mondo» (Gv 8,23). Inoltre non ha nascosto la sua origine divina: «Sono uscito da Dio» (Gv 16,27), e quindi noi diciamo «generato dal Padre». La preghiera di Gesù prima della sua passione non lascia dubbi: «Ed ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Davanti a tutte queste affermazioni, come potevano i padri conciliari accettare la tesi che Gesù fosse solamente uomo? Ed è anche legittimo chiamarlo “Figlio di Dio”, sebbene la nostra mente tenda a sottrarsi ad una definizione così forte; perché tutto quanto il Vangelo ci spinge verso questa verità: durante l’Annunciazione, le parole dell’angelo chiamano Gesù «figlio dell’Altissimo», «Figlio di Dio» (Lc 1,32-35); anche le parole di Pietro dichiarano questa rivelazione che fa da base al nostro Credo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Nemmeno durante il processo di Caifa, quando il termine «Figlio di Dio» costituiva il più pesante capo d’accusa e sarebbe bastato disconoscerlo per salvarsi, Gesù non rinnega la sua figliolanza divina (Mt 26, 62-66). Perfino il centurione romano, nella sua scarsa dimestichezza in questioni religiose, davanti alla croce fece scaturire la sua professione di fede nel «Figlio di Dio» (Mc 15,39). Gli evangelisti e gli apostoli non temettero di annunziare Gesù come «Figlio di Dio» (Mc 1,1 – At 9,20), anche se ciò era a quel tempo reato passibile di morte. Ma si trattava di una verità che non poteva essere taciuta, così forte che perfino «i morti udranno la voce del Figlio di Dio» (Gv 5,25); e «quelli che l’hanno ascoltata vivranno». Quando si cerca la verità, l’ultima parola spetta a Cristo, che è Verità.
«Ho detto: sono Figlio di Dio» (Gv 10,36). E il nostro Credo non può che fare da specchio alle verità di Cristo. Egli è il Figlio, generato al di fuori del tempo. Eterno e pienamente Dio; come dice Giovanni «il vero Dio» (1 Gv 5,20). Della stessa sostanza del Padre. E la sostanza di Dio è l’Amore.
«Chi va oltre e non rimane nella dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi invece rimane nella dottrina, possiede il Padre e il Figlio» (2 Gv 9).
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 61
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