Quando si formano le prime comunità religiose con stile di vita consacrato a Dio? Ne esistevano già nel primo secolo? Vi è un’antichissima opera, scritta proprio duemila anni fa, che s’intitola La vita contemplativa o i supplicanti, composta da Filone l’Alessandrino, un dotto giudeo, contemporaneo di Cristo ed autore di numerosissimi scritti. Eusebio di Cesarea narra che durante il suo viaggio a Roma, Filone ha incontrato l’apostolo Pietro, e in Egitto deve aver conosciuto l’evangelista Marco perché, a detta di Eusebio, «Marco fu mandato in Egitto a diffondere il Vangelo che egli compose e ad istituire Chiese nella stessa Alessandria», diventandone il primo vescovo. Ed era proprio ad Alessandria d’Egitto, dove Filone viveva, che si erano già diffuse forme di vita consacrata di matrice giudaica, fenomeno che «aumentò a tal punto che Filone reputò degno riferire per iscritto delle loro controversie, riunioni, banchetti, e della loro condotta di vita» (Eusebio, Historia Ecclesiastica, II,16,1-2).
Filone è colpito da questa dirompente spiritualità, ed è anzi testimone diretto di queste avventure ascetiche, di questi credenti che, non appena cominciavano a vivere secondo saggezza, cedevano tutti i loro beni ai parenti, e ritirandosi fra di loro cercavano di imitare la vita dei Profeti con fede molto sincera e fervente. Possiamo individuare qui le prime forme di vita comunitaria consacrata? In Atti degli Apostoli non mancano i primi esempi di vita comunitaria; è attestato che spesso i discepoli rinunciavano alla vita privata vendendo case e terreni, per poi dividerne il ricavato ai bisognosi affinché nessuno mancasse di nulla (2,45; 4,34-35).
In quali regioni si diffusero questi stili di vita? Filone afferma: «Questo genere di uomini si trova in ogni parte del mondo: bisognava infatti che sia la Grecia sia i barbari partecipassero del bene perfetto; ma in Egitto sono più numerosi, e in special modo nella regione intorno Alessandria» (La vita contemplativa o i supplicanti, p.474, 35-44). Narra perfino di una comunità d’eccellenza dove venivano mandati i migliori, situata su una collinetta al di là del lago Mareotide, a sud di Alessandria. In attesa che l’archeologia s’interessi maggiormente di questo sito, riportiamo la descrizione che Filone fornisce delle dimore di queste prime comunità: «In ogni casa vi è una stanza sacra, detta santuario e monastero, in cui si ritirano per celebrare i misteri della santa vita, non portando nulla con sé, né bevanda, né cibo, né niente di ciò che serve a soddisfare i bisogni del corpo, ma canti, profezie, inni e altre cose con cui ampliare e perfezionare la scienza e la devozione» (ibid., 475, 14-22). Filone descrive anche il ritmo della loro giornata: «Trascorrono tutto il tempo, da mattina a sera, ad esercitare continuamente il loro spirito alla venerazione. Studiando le Sacre Scritture, interpretano la filosofia degli avi… Hanno anche opere di antichi scrittori, che hanno lasciato molte tracce della loro sapienza… Di queste fanno uso come di modelli, per imitare il loro modo di vivere» (ibid., pp. 475,34 – 476,2).
Filone restava colpito quando li ascoltava spiegare le Sacre Scritture, comprendendone tutte le allegorie, che poi egli stesso utilizzò. Quando, fra queste Scritture in loro possesso, s’introdussero anche i vangeli o gli scritti degli apostoli, non lo sappiamo con esattezza. Però nelle dettagliate descrizioni di queste comunità da parte di Filone, che come abbiamo detto era contemporaneo di Cristo, sono presenti indizi che sembrano attingere dalla predicazione di Gesù (cfr Genesi delle comunità consacrate p.es., Lc 10,4).
Filone descrive inoltre le virtù ascetiche di questi credenti: «Pongono come fondamento dell’anima la temperanza, da cui fanno derivare le altre virtù. A nessuno di loro è consentito mangiare o bere prima del calar del sole, poiché reputano l’attività mentale degna di essere esercitata alla luce del giorno, e i bisogni del corpo di essere soddisfatti di notte; per cui riservano alla contemplazione il giorno, alle esigenze materiali una piccola parte della notte. Alcuni poi, nei quali è maggiore il desiderio della conoscenza, dimenticano di mangiare anche per tre giorni; altri godono e sono così felici di nutrirsi con la scienza che elargisce loro i dogmi con abbondanza e generosità, da digiunare per un tempo doppio, ormai avvezzi a nutrirsi del necessario una volta ogni sei giorni» (ibid., p.476, 36-49). Alcuni di costoro erano chiamati “terapeuti” perché, secondo Filone, guarivano e curavano le anime di quanti a loro si rivolgevano. Certi storici affermano che nel contesto giudaico egiziano erano già presenti dei “terapeuti” dediti a vita monastica, simile, forse, a quella di Qumran: un terreno messianico ancora ebraico, sebbene fertile per l’innesto del cristianesimo. Ma di per sé l’ebraismo non prevede forme di monachesimo, che anzi sarebbe vietato. E soprattutto era vietato alle donne. Invece Filone, oltre che di “terapeuti”, parla anche di “terapeute”. E noi sappiamo che il cristianesimo non era invece ostile alla vocazione consacrata femminile. Le donne citate da Filone si consacrano, per volontaria decisione, alla verginità permanente, desiderose di vivere di sola sapienza, e di generare «non discendenti mortali ma immortali».
Gli studi più recenti hanno retrodatato di molto l’inizio del monachesimo, facendolo risalire agli albori del Cristianesimo (cfr Il monachesimo femminile, di Mariella Carpinello, Mondadori). È vero che si può parlare di monachesimo organizzato solo in presenza di gerarchia ecclesiastica. Ma anch’essa compare fin dalle origini. Eusebio stesso ne prende atto, e leggendo Filone scopre che «parla del modo in cui coloro che ricoprono cariche ecclesiastiche esercitano la propria autorità, del diaconato e dell’autorità del vescovo su tutti. Coloro che vogliono conoscere con più precisione questi temi, possono apprenderli dalla già citata opera di Filone» (Si riferisce appunto a “La vita contemplativa e i supplicanti”, pp. 481, 32-34; 482, 3, 24-25; 483, 17; 484, 6).
IL TIMONE N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 61