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12.12.2024

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Giordano Bruno & C.
31 Gennaio 2014

Giordano Bruno & C.

 

 

“La Chiesa chiede scusa ai pisani” (il resto ve lo risparmio). Così titolava a tutta pagina la locandina di uno degli ultimi numeri del Vernacoliere, pubblicazione scurrile livornese che non perde occasione per irridere i tradizionali nemici di campanile (e poi si parla di unità europea…). C’era da aspettarselo: il tormentone dei mea culpa ecclesiastici comincia a rivelarsi una specie di boomerang e a prestare il fianco all’irrisione. Si sperava che tali mea culpa fossero solo un passe partout penitenziale per entrare nel Terzo Millennio, e che l’ingresso nel Duemila li avrebbe fatti cessare. Invece pare proprio di no. Certo, non è simpatico cercar di fare dell’apologetica e sentirsi rispondere (come ormai da tempo invariabilmente mi capita): ma lei vuole smentire il Papa? Deus avertat! Figurarsi se voglio insegnare il mestiere al pontefice. Ho solo studiato la storia della Chiesa ed ho visto che i famosi “scheletri nell’armadio” (Inquisizione, crociate, processo di Galileo, etc) non sono tali. Ho visto che le cose, inquadrate nel loro contesto storico e ben sviscerate, sono diverse da come certa polemica storica le ha presentate. Per esempio, quel che i più sanno dell’Inquisizione l’hanno mutuato da romanzi come Il nome della rosa di Umberto Eco e Il pozzo e il pendolo di Edgar Allan Poe. Pochissimi leggono opere serie, di storici, sull’argomento. I mea culpa hanno avuto il merito di aprire il dibattito, e gli storici hanno dovuto squadernare la verità: l’Inquisizione fu molto meno truce di quanto si pensi e sicuramente più mite degli altri tribunali; le crociate non furono affatto una guerra santa ma un pellegrinaggio per necessità armato; Galileo, dal punto di vista teologico (non scientifico) aveva torto.
Ebbene, il papa non ha fatto altro che dire, doverosamente, qualcosa del genere: signori, se i cattolici che io rappresento nel corso della storia vi hanno fatto qualche torto, a nome loro vi chiedo scusa; qua la mano e, anziché estenuarci in sterili polemiche sul passato, guardiamo al futuro. Naturalmente, la mano tesa è rimasta a mezz’aria, perché non risulta sia stata stretta da qualcuno. Non risulta, cioè, che dall’altra parte sia avvenuto un processo analogo: nessuna revisione, nessuna resipiscenza, nessun accoglimento della cordiale proposta papale. La cosiddetta cultura laica non ha mai fatto, né fa, mea culpa dei preti ghigliottinati dai giacobini, dei cattolici impiccati dagli anglicani, delle vittime del comunismo, dei massacri degli ultimi due secoli. Il ventesimo secolo ha fatto due guerre mondiali, due totalitarismi e il genocidio ebraico. Ha prodotto più morti ammazzati di quanti ne abbia avuti l’intera storia umana precedente. In un solo secolo, la cosiddetta cultura laica. Pentimenti? Macché. Anzi, c’è chi certi sterminii, se potesse, volentieri li addosserebbe, anche questi, alla Chiesa. Noi non ci sentiamo di tacere. E non per spirito di parte, ma per amor di giustizia. E scriviamo libri, articoli, parliamo in pubbliche conferenze ovunque ci invitino. Ma siamo ben consapevoli che la lodevole intenzione del papa è travisata dai media, i quali rubricano tutto sotto la voce “Mea culpa della Chiesa” e se ne lavano le mani. Certo, si potrebbe chiedere agli esperti di comunicazione che consigliano il papa (se ci sono) di tenere maggior conto di quel che verrà filtrato dai giornali. Una cosa, infatti, sono le parole effettive del papa, altra quel che di esse arriva sui media e, dunque, alla gente comune. Ma, ripeto, non vogliamo insegnare il mestiere agli altri; solo, rispettosamente, metterli sull’avviso.
Ora ci toccherà prendere in braccio il dossier di Giordano Bruno e, nel nostro piccolo, fornire una chiave di lettura diversa da quanto colerà sui giornali. Cominciamo subito col dire che l’affaire “Giordano Bruno” fu un fatto tutto interno alla Chiesa, e che la cultura laica o del “libero pensiero” non c’entrava affatto. Giordano Bruno era un prete domenicano e la Chiesa aveva tutto il diritto di chiedergli conto di quel che andava predicando a destra e a manca. Le idee, infatti, non sono armi spuntate e innocue: un solo libro può fare molti danni (pensiamo a Marx, per esempio). Certo, alla mentalità odierna può sembrare eccessivo perseguire qualcuno per quel che predica, ma alla fine del Cinquecento non si pensava così. Quell’epoca aveva visto sanguinosissime guerre di religione, tutte scatenate dalle prediche di monaci come Lutero e preti come Calvino. Il dissenso religioso era, insomma, pura dinamite a quell’epoca, e la Chiesa era costretta a serrare i suoi ranghi e mantenere stretta vigilanza sui suoi uomini. In più, il Bruno aveva un’accusa di tentato omicidio sul capo, e c’è chi giura che abbia venduto molti cattolici inglesi ai tribunali di Elisabetta I. La religione che predicava non era nemmeno cristiana, ma magico-egizia, un guazzabuglio di teorie simil-New Age infarcito di orribili bestemmie su Cristo, gli Apostoli, la Madonna. Neanche Venezia, tradizionale rifugio di eretici, lo volle: arrestato e consegnato a Roma, per otto lunghi anni lo si scongiurò di rientrare nell’ovile. Il suo processo, reso interminabile dalle sue abiure e contro-abiure, fu quanto di più giuridicamente corretto si potesse trovare a quel tempo. La fama del Bruno cominciò solo nell’800, all’epoca dell’anticlericalismo liberal-massonico più acre. Prima, quasi nessuno sapeva chi fosse.

IL TIMONE – N.6 – ANNO II – Marzo/Aprile 2000 – pag. 20-21

 

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