Il 1° maggio papa Benedetto XVI beatificherà il suo predecessore, papa Giovanni Paolo II. La Chiesa ha bruciato i tempi. Ecco il perché
Per comprendere come sia potuto accadere che dopo appena sei anni trascorsi dalla sua morte, Giovanni Paolo II venga elevato all’onore degli altari dal suo immediato successore bisogna tornare ai giorni precedenti il conclave del 2005.
Papa Wojtyla era morto dopo una sofferenza durata un decennio, costantemente esposta alle telecamere. Qualcuno aveva giudicato eccessiva questa esposizione mediatica. In realtà, Giovanni Paolo II, eletto al Soglio di Pietro ad appena 58 anni, aveva desiderato testimoniare che anche quella della vecchiaia e delle malattie invalidanti era comunque una vita degna di essere vissuta fino in fondo. Aveva testimoniato nella sua persona il valore redentivo della sofferenza, lui, un Papa che aveva sofferto fin da bambino, colpito da dolorosissimi lutti in famiglia, rimasto senza più nessuno prima ancora di entrare nel seminario clandestino di Cracovia. Lui, che aveva versato il suo sangue in Piazza San Pietro il giorno dedicato alla Madonna di Fatima, il 13 maggio 1981, ed era arrivato a sfiorare la morte. Sacrificio, sofferenza, dedizione e una fede salda come una roccia. Aveva girato in lungo e in largo il mondo, aveva sfidato i potenti, aveva parlato di Dio e gridato la dignità dell’uomo di fronte al colosso comunista, aveva risvegliato la Chiesa invitandola alla testimonianza e alla nuova evangelizzazione.
Per capire come ha preso il via la causa di beatificazione bisogna dunque tornare alla grande emozione di quei giorni, quando una fiumana ininterrotta di fedeli di ogni Paese, razza ed età ha voluto sfilare davanti al suo feretro esposto nella Basilica vaticana. I cardinali presenti a Roma avevano visto, erano rimasti impressionati. Era evidente l’amore della gente per Papa Wojtyla, per la sua testimonianza di fede. Loro, soprattutto quelli che più da vicino avevano collaborato con lui, sapevano che il vero segreto di quel pontificato erano le ore trascorse in ginocchio davanti al Santissimo. La totale immersione in Dio, il totale e quotidiano affidamento a Lui. Giovanni Paolo II era pienamente nel mondo perché viveva in ogni istante la consapevolezza del rapporto con il soprannaturale.
Una petizione per chiedere l’apertura del processo di beatificazione venne firmata dai cardinali durante le riunioni preparatorie del conclave. C’era uno di loro, considerato già troppo avanti con l’età per essere in corsa per la successione, che più d’ogni altro aveva lavorato come capo di un dicastero della Curia romana a fianco di Papa Wojtyla. Era arrivato a Roma poco più che cinquantenne, per fare il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Aveva più volte chiesto di potersi ritirare, raggiunta l’età delle dimissioni canoniche, ma Giovanni Paolo II non l’aveva mai voluto lasciar andare: era il cardinale JosephRatzinger. In qualità di decano del collegio cardinalizio, era toccato a lui presiedere i funerali di Papa Wojtyla. Li aveva conclusi chiedendo al Pontefice scomparso e non più affacciato alla finestra dalla quale aveva per ventisette anni benedetto il mondo di benedire ancora tutti dal Cielo. Non era ancora una beatificazione, ma quasi un presentimento. Dopo essere diventato suo successore, nonostante la decisione di voler rendere più severe alcune norme riguardanti beatificazioni e canonizzazioni, Benedetto XVI ha acconsentito di derogare all’attesa dei cinque anni canonici necessari dalla morte del candidato agli altari prima che venga aperto il processo. E nel maggio 2005, in San Giovanni in Laterano, il Papa stesso ha annunciato l’apertura del processo. Qualche cardinale aveva proposto a Benedetto XVI di saltare il passo della beatificazione, procedendo immediatamente verso la canonizzazione. Un’eccezione straordinaria, ma comunque possibile, visti i poteri del Papa. Ratzinger ha chiesto consiglio alla Congregazione delle cause dei santi, e alla fine ha deciso di procedere con l’iter regolare, seppure accelerato. Una spinta decisiva arrivava dalla universale fama di santità di Karol Wojtyla. Una fama dimostrata anche dall’ininterrotto flusso di pellegrini alla sua tomba. Intervistato dal Tg1 lo scorso 14 gennaio, l’attuale Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Amato, ha riconosciuto che il processo di beatificazione di Giovanni Paolo II ha potuto godere di una «corsia preferenziale ». In effetti, si sono bruciati i tempi: da più di mille anni un Papa non elevava agli altari il suo immediato predecessore. Il 2 aprile 2008, nel terzo anniversario della morte, Benedetto XVI, nell’omelia della messa di suffragio, aveva parlato del rapporto tra il suo predecessore e Dio: «Egli nutriva una fede straordinaria in Lui, e con Lui intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta. Tra le tante qualità umane e soprannaturali, aveva infatti anche quella di un’eccezionale sensibilità spirituale e mistica. Bastava osservarlo quando pregava: si immergeva letteralmente in Dio e sembrava che tutto il resto in quei momenti gli fosse estraneo. Le celebrazioni liturgiche lo vedevano attento al mistero-in-atto, con una spiccata capacità di cogliere l’eloquenza della Parola di Dio nel divenire della storia, al livello profondo del disegno di Dio. La Santa Messa, come spesso ha ripetuto, era per lui il centro di ogni giornata e dell’intera esistenza. La realtà “viva e santa” dell’Eucaristia gli dava l’energia spirituale per guidare il Popolo di Dio nel cammino della storia». Ancora una volta, quasi un anticipo di beatificazione…
La fase diocesana del processo si è conclusa dopo soli due anni, nel 2007. Dopo appena altri due anni, nel dicembre 2009, Papa Ratzinger promulgava il decreto sull’eroicità delle virtù di Giovanni Paolo II, che da quel momento avrebbe avuto il titolo di «venerabile». Al postulatore della causa, monsignor Slawomir Oder, nel frattempo erano arrivate centinaia di segnalazioni di grazie ricevute, alcune di queste davvero sorprendenti. È stata scelta la guarigione dal morbo di Parkinson di una religiosa francese, suor Marie Simon-Pierre, ed è iniziato il processo sul presunto miracolo. La religiosa, che prestava il suo servizio nel reparto maternità di un ospedale, nel 2005 stava per abbandonare il suo posto a causa del progredire di una forma di Parkinson aggressiva. Faceva fatica a muoversi, non poteva più scrivere. Aveva seguito con attenzione e trepidazione l’agonia di Papa Wojtyla. Nel giugno di quell’anno le sue consorelle avevano deciso di rivolgersi al Pontefice da poco scomparso per chiedergli la grazia della guarigione per suor Marie Simon- Pierre. E lei, di colpo, una mattina, si era svegliata senza più essere bloccata nei movimenti. Il morbo era semplicemente sparito.
L’iter per la valutazione del miracolo si è rallentato a causa di qualche obiezione sollevata nell’ambito della consulta medica della Congregazione dei santi. È stato necessario un supplemento di studio e la consultazione di un numero maggiore di specialisti. Tutto è stato fatto con la massima serietà, perché non vi fossero dubbi. Così, la consulta medica del dicastero, presieduta dal professor Patrizio Polisca – medico personale di Benedetto XVI – il 21 ottobre 2010 ha esaminato e approvato la guarigione, dichiarandola inspiegabile dal punto di vista scientifico. A metà del dicembre scorso c’è stato il via libera dei teologi e l’11 gennaio di quest’anno quello definitivo dei cardinali e vescovi.
È evidente dal susseguirsi in tempi così rapidi delle ultime tappe, la volontà superiore di fare presto per arrivare alla beatificazione prima dell’estate di quest’anno. Così è stato. Benedetto XVI, evidentemente, non ha mai avuto dubbi sulla santità personale del suo predecessore. L’ha conosciuto molto bene da vicino, è stato suo stimato e apprezzato consigliere, ha collaborato al suo fianco per lunghi anni, lo ha aiutato nella formulazione di importanti documenti dottrinali. Sapeva di avere a che fare con un autentico testimone di Dio. E così il Papa che da giovane ha conosciuto la fatica del lavoro pesante mentre faceva l’operaio e che ha dedicato un’enciclica al lavoro, diventa beato il 1° maggio, domenica della Divina Misericordia (festa da lui istituita) ma anche festa dei lavoratori.
IL TIMONE N. 102 – ANNO XIII – Aprile 2011 – pag. 12 – 13