«Giuseppe all’età di 17 anni pascolava il gregge con i fratelli… Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano… Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancora di più. Disse dunque loro: “Ascoltate questo sogno che ho fatto. Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna, quand’ecco il mio covone si alzò e restò dritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono davanti al mio”. Gli dissero i suoi fratelli: “Vorrai forse regnare su di noi o ci vorrai dominare?”. Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole. Egli fece ancora un altro sogno e lo narrò al padre e ai fratelli e disse: “Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me”. Lo narrò dunque al padre e ai fratelli e il padre lo rimproverò e gli disse: “Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io e tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?”. I suoi fratelli perciò erano invidiosi di lui, ma suo padre tenne in mente la cosa».
Giuseppe, figlio di Rachele, l’unica donna amata da Giacobbe, era intelligente e buono ed era divenuto il confidente di suo padre.
Quei sogni non erano forse significativi?
Undici covoni si inchinano davanti al suo e undici erano i suoi fratelli; e, poi, il sole, la luna e ancora undici stelle gli si prostrarono dinanzi.
Forse, Giacobbe pensò che essi erano un suggestivo richiamo alla benedizione che suo padre Isacco aveva proferito su di lui: «… sii signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre». Tuttavia egli parlò a Giuseppe con tono di rimprovero, intuendo il risentimento degli altri suoi figli nei confronti di quel loro fratello che certamente non amavano. E infatti il loro odio per Giuseppe esplose, furibondo, il giorno in cui lo videro venire tutto solo verso di loro. Essi si erano recati a pascolare i greggi in Sichem e Giacobbe aveva mandato Giuseppe a vedere come essi si comportavano. Infatti, dopo la strage che essi avevano fatta proprio dei sichemiti, la loro condotta doveva essere di grave apprensione per entrambi. Giuseppe seppe che si trovavano a Dotan e si recò là.
Quando, dunque, essi lo videro: «si dissero l’un l’altro: “Ecco, il sognatore arriva! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna.
Poi diremo: una bestia feroce lo ha divorato. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni”». Ma Ruben volendo salvarlo disse: «Non togliamogli la vita… non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano».
Egli si proponeva, infatti, di ricondurlo al padre. Ed essi lo ascoltarono.
Gli tolsero la bella tunica e lo gettarono nella cisterna che in quel tempo era asciutta. Ma ecco giungere una carovana di mercanti ismaeliti che si recavano in Egitto. Giuda, ignorando il progetto di Ruben, propose ai fratelli di venderlo schiavo a quei mercanti, pur di salvargli la vita. Quando Ruben lo venne a sapere, si disperò, ma ormai non poté fare più nulla. Ed ecco, ora, i fratelli di Giuseppe al lavoro. Uccisero un capro e intinsero la sua tunica nel sangue di quell’animale, poi la fecero pervenire al loro padre, dicendo: «L’abbiamo trovata; riscontra se è o no la tunica di tuo figlio». Giacobbe la vide e che altro poté pensare se non che una belva lo avesse divorato?
Al loro ritorno i figli di Giacobbe videro il loro padre oppresso da un dolore immenso. Quale tragico errore era stato quello di inviare Giuseppe dai suoi fratelli. Proprio lui era stato la causa della sua morte. Giacobbe non si dà pace, si prostra in preghiera, spera forse di sentire ancora la voce di Dio. Ma il Signore tace. Giacobbe non sa che anche per lui è giunta l’ora della prova suprema della sua fedeltà a Colui che lo ha tanto amato e che egli stesso ama.
Quel silenzio di Dio è spaventoso. Giacobbe si sente morire ma non impreca, non si ribella, non chiede più nulla. Gli altri figli non osano guardarlo: crudeli e insensibili, tacciono dinanzi al suo dolore. Anche Ruben e Giuda tacciono. Giuseppe ormai è uno schiavo portato via chissà dove, chi potrebbe trovarlo? In realtà è come morto per loro. L’invidia furibonda di quei fratelli ha finalmente trionfato; il loro cuore di pietra consente loro di fare sonni tranquilli e, poi, passano i giorni, i mesi, gli anni e la vita continua. E Giacobbe prega il suo Dio di dargli ancora la forza di vivere.
IL TIMONE – N. 31 – ANNO VI – Marzo 2004 – pag. 60