Aveva sempre in bocca la parola “Dio” e si credeva un profeta religioso.
Identificava la legge divina col progresso dal quale doveva scaturire la Patria.
Dove i cattolici, però, non dovevano trovare posto.
Giuseppe Mazzini: genovese, avvocato, di professione cospiratore. E, col senno di poi, “padre” della patria. Di cosa è padre esattamente Mazzini? Di quale patria?
Di quella che avrebbe dovuto scaturire dal trionfo del Progresso: “Crediamo che il Progresso -scrive a Pio IX nel 1865 – legge di Dio, deve infallibilmente compiersi per tutti”; il Progresso è “la sola rivelazione di Dio sugli uomini, rivelazione continua per tutti”. Messa così, è chiaro che la patria che Mazzini ha in mente non è quella abitata da cattolici. Questi infatti credono che Dio si è rivelato nella Scrittura ed, in pienezza, in Cristo. Non nel progresso.
Ma allora come mai Mazzini ha sempre in bocca e sulla penna la parola Dio? Il perché lo spiega Giuseppe Montanelli, uno dei capi della rivoluzione toscana del 1848.
Descrivendo la dinamica delle società segrete nella prima metà dell’Ottocento, Montanelli, a proposito di Mazzini, scrive: a lui” debbonsi lodi per alcun bene che fece, non come fuoruscito orditore di cospirazioni impotenti e sacrificatrici, ma come letterato propugnatore di spiritualismo”. “Né fu piccolo servigio”, aggiunge.
Montanelli ha ragione. Dal punto di vista liberale Mazzini certo non va lodato per i tanti giovani mandati a morire inutilmente da un Maestro che – dall’estero – dirige le fila delle loro vite. Mazzini va invece lodato per il suo” spiritualismo”: per aver colto ogni occasione (opportuna ed inopportuna) per parlare di Dio: “Dio e il popolo”; “Dio lo vuole”. Così facendo Mazzini ha avvicinato al Risorgimento anticattolico un buon numero di cattolici, ingannati dal suo linguaggio.
“Noi crediamo in Dio, Intelletto e Amore, Signore ed Educatore”, scrive a Pio IX.
Dio “educatore”. Di chi si serve Dio per svolgere il suo compito di educatore? La domanda, dal punto di vista dei mazziniani, è retorica: è ovvio e naturale che Dio si serva di Mazzini. Quanto a lui, l’Esule si sente perfettamente a suo agio nei panni del profeta. Del profeta del dio Progresso.
Di una cosa è infatti certo il padre nobile del – quasi defunto – partito repubblicano: il Progresso deve diventare legge per tutti. E se il “popolo” si ostina a non intendere questa necessità, bisogna imporgliela. Bisogna fare la rivoluzione. Quella rivoluzione che Mazzini, fin dal 1832, ha ben chiaro cosa significhi: “Le rivoluzioni, generalmente parlando, non si difendono che assalendo […] se non è guerra d’eccidio, se non è guerra rivoluzionaria, guerra disperata, cittadina, popolare, energica, forte di tutti i mezzi, che la natura somministra allo schiavo dal cannone al pugnale, cadrete e vilmente!”.
Perché Mazzini crede nelle virtù salvifiche della rivoluzione? Cosa lo spinge a ritenere che la “guerra d’eccidio” si trasformerà come per incanto in un balsamo riparatore? La risposta è semplice, come per tutti i rivoluzionari. Mazzini nutre una fede” cieca” nella verità della propria analisi. Ha una certezza assoluta nell’infallibilità del proprio ragionamento.
Dall’alto del progresso che è convinto di incarnare, il Maestro sentenzia: “qualunque s’arroga in oggi di concentrare in sé la rivelazione e piantarsi intermediario privilegiato fra Dio e gli uomini, bestemmia”.
Ma se il Papa bestemmia perché osa parlare ex cathedra, come mai Mazzini si arroga il compito di mettere a tacere il Papa ed i cattolici, che all’epoca in cui scrive sono la totalità di quel popolo che è convinto di rappresentare?
La risposta è solo una: perché Mazzini teorizza che il progresso, per far progredire la realtà, si serve del genio e della virtù (il “Genio” e la “Virtù” sono” i soli sacerdoti dell’avvenire”, scrive). E perché è sicuro – al di là di ogni ragionevole dubbio – di essere virtuoso e geniale per eccellenza.
Nel suo sconfinato senso di onnipotenza, Mazzini è anche convinto di poter modificare a piacere il significato delle parole. È convinto di poter riscrivere la lingua italiana a partire dalle proprie personali definizioni. Così, sotto la sua bacchetta magica, il bellissimo aggettivo “libero” cambia significato e diventa” colui che condivide le idee di Mazzini”; “tiranno” è, al contrario, chi le ostacola. Quanto ai “martiri”, questi non sono più coloro che vengono barbaramente uccisi per testimoniare la propria fede, ma coloro che uccidono per imporre il proprio credo: “martiri della libertà”.
“Crediamo che Dio è Dio e che l’Umanità è il suo Profeta”, ha l’impudenza di scrivere a Pio IX. Felice Orsini, l’attentatore a Napoleone III che pagherà con la vita il proprio gesto, ha gioco facile nell’apostrofare l’antico Maestro col beffardo nomignolo di “secondo Maometto”. Secondo Maometto: una definizione che ben si confà al rivoluzionario Mazzini, ciecamente convinto di essere portaparola e Voce dell’Umanità con la U maiuscola.
Tornando alla patria ed ai suoi padri. I Padri della Patria, anche se morti, devono poter continuare a vivere. Se no che padri sarebbero?
Dopo aver ordinato per legge che Dio è morto ed aver posto il proprio pensiero (l’idea, avrebbe detto Mazzini) al posto del decalogo, i Padri della Patria sono stati ufficialmente dichiarati immortali e, non avendo niente di meglio a disposizione, sono stati mummificati.
Così è successo a Lenin, così a Mao, ma così in prima assoluta è successo anche a Mazzini. La sua mummia ha vagato in treno per l’Italia in cerca di laici adoratori.
Scrive Edoardo Sanguineti sul numero del14 luglio 2001 dello Specchio (il settimanale de La Stampa): “L’idea repubblicana; le tecniche politiche di tipo clandestino, occulto, settario; il laicismo radicale; il culto della nazione; tutto il metaforismo religioso degli eroi patriottici visti come santi. Senza Mazzini non esisterebbe l’Altare della Patria, né l’offesa alla bandiera, all’esercitò, alla nazione; né si parlerebbe di martiri per un ideale politico o nazionale”’. Non si poteva dire meglio. Chi ha detto che il cattolicesimo è veicolo di superstizione si sbagliava. ” cattolicesimo è baluardo della ragione.
RICORDA
“Il suo [di Mazzini] più che quarantennale operato nulla di concretamente positivo arrecò alla causa italiana, ma solo morte e violenze e utopia, il tutto contornato dalla sua personale guerra alla Chiesa Cattolica e al Cristianesimo in sé, da lui giudicato una religione individualista e comunque ormai decrepita. Da notare è il fatto che Mazzini si considerò e si presentò sempre sotto le vesti del profeta religioso, instauratore di una nuova religione spiritualista e associativa, la ‘religione dell’Umanità’, che avrebbe dovuto soppiantare appunto il morente Cristianesimo”,
(Massimo Viglione, in idem [a cura di], La rivoluzione italiana. Storia cri¬tica del Risorgimento, Il Minotauro, Roma 2001, p. 34).
BIBLIOGRFIA
Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Mon.to 2000.
Massimo Viglione [a cura di], La rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento, Il Minotauro, Roma 2001.
Patrick Keyes Q’Clery, La rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione, Ares, Milano 2000.
IL TIMONE N. 22 – ANNO IV – Novembre/Dicembre 2002 – pag. 18 – 20