Negli anni passati molti – anche in certi ambienti cattolci si erano fatti illusi sostenitori, non senza spensierate impuntature e a volte con aggressiva faziosità, della facilità di convivenza fra le popolazioni occidentali (ancora cristiane o ormai decristianizzate che siano) e gli islamici, e quindi fautori· acritici del fenomeno dell’immigrazione. Ma la storia degli ultimi otto mesi sta sconvolgendo le più inveterate certezze: nei primi quattro, abbiamo vissuto la tragedia di un attacco inusitato con conseguente guerra, negli ultimi quattro stiamo assistendo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, ad u.n’altra ancor più complessa tragedia, che sembra senza via d’uscita; tragedia che si sta ampliando in Europa da un lato provocando pericolose spaccature con gli USA. e all’interno di molti ambienti religiosi, politici e culturali, dall’altro con una rinascita dell’antisemitismo, e questa volta praticato – anche con violenza – da chi per decenni si erigeva a solenne difensore degli ebrei e della tolleranza in genere.
In entrambi i casi, comunque la si pensi a riguardo, resta certo un fatto: al cuore del problema vi è il mondo islamico, la convivenza con il mondo islamico. Ma al di là di Bin Laden e Arafat, di quanto sta accadendo e accadrà, chi conosce la storia e la giudica con animo sereno, sa perfettamente che il problema della convivenza con l’lslam è nato con la nascita stessa dell’lslam: ancor vivo Maometto, già le sue schiere avevano iniziato la “guerra santa” di conquista forzata dei popoli e dei loro territori alla nuova religione. Pochi decenni dopo, sempre con la guerra i musulmani avevano strappato tutta l’Africa settentrionale e molto del Medio Oriente alla Cristianità e quindi la Spagna; e poi per circa mille anni (Poitiers nel 732 d.c., l’assedio di Vienna del 1683) il jihad ha costretto la Cristianità alla guerra difensiva, e solo il declino della potenza turca ha per due secoli posto fine allo scontro millenario.
Ma oggi tutto questo, seppur in maniera differente, si sta riaffacciando sotto i nostri occhi, nelle nostre vite. L’lslam ci appare di nuovo nel suo volto integrale. E se è vero che non tutti i musulmani sono fondamentalisti, e non tutti i fondamentalisti sono terroristi, è però vero che i terroristi e i kamikaze sono inesorabilmente musulmani!
Credere di conoscere e di poter giudicare l’Islam senza conoscerne la mentalità profonda non è solo follia, ma colpevole stupidità. E per conoscere la mentalità profonda dell’islamico, non si può prescindere dal Corano, che per ogni musulmano non è solo il “libro sacro” della religione, ma il libro per eccellenza della vita, l’unico libro in un certo senso, che regola l’esistenza individuale e sociale nella totalità delle espressioni.
Una di queste fondamentali espressioni è il jihad, la guerra santa, che costituisce un dovere per ogni musulmano, dovere per l’appunto prescritto nel Corano. Scrive Roberto de Mattei il nel suo recente ottimo studio sullo specifico problema (Guerra santa – Guerra giusta. Islam e Cristianesimo in guerra, Piemme, p. 45) che la guerra santa è “una caratteristica inestirpabile della vita islamica”. E, a ulteriore ( conferma, de Mattei riporta a p. 56 l’ questa sentenza dell”’ Encyclopédie e de l’lslam”: “lIjihad è un obbligo. Que- Il sto precetto è proclamato in tutte le ti fonti”. Ma, al di là di queste ed altre citazioni, è nel Corano stesso che troviamo la certezza di quanto detto, ed è dal Corano che si ricava anche tutta la mentalità del musulmano riguardo il rapporto con gli “infedeli”.
In tal senso importante, oltre al già citato studio di de Mattei, è senz’altro il recente libro di Stefano Nitoglia, (L’Islam com’è. Un confronto con il Cristianesimo, Il Minotauro).
Seguiamo il cap. 6, che espone in maniera semplice e chiara tutta la concezione – ideale e pratica – islamica.
Come spiega Nitoglia, il mondo per l’lslam si divide in “territorio dell’lslam” e in “territorio di Guerra”; i beni degli infedeli sono alla mercé dei “credenti”, Il “territorio dell’lslam” è abitato dai musulmani e dai dhimmi (ebrei e cristiani), I dhimmi sono esclusi dalle cariche pubbliche, in quanto un “infedele” non può in nessun caso esercitare l’autorità sui musulmani, non può testimoniare contro un musulmano, essendo il suo giuramento irricevibile (tale rifiuto si fonda sulla natura perversa e menzognera dell”’infedele” che persiste deliberata mente nel negare la superiorità dell’lslam); un musulmano, anche se colpevole, non può essere condannato a morte se accusato da un “infedele” e la sanzione che colpisce i musulmani colpevoli di un delitto è attenuata se la vittima è un dhimmi.
La “bestemmia” contro Maometto è punita con la pena capitale: così i dhimmi, impotenti a contraddire in giudizio le testimonianze dei musulmani, per salvare la loro vita si trovano spesso costretti a passare all’lslam. I dhimmi devono inoltre distinguersi attraverso un segno esteriore, non possono elevare costruzioni più alte di quelle dei musulmani, devono procedere all’inumazione dei loro morti in segreto, senza pianti e lamenti; a loro è vietato suonare le campane, esporre oggetti di culto, proclamare davanti a un musulmano le credenze cristiane.
Inoltre i dhimmi sono sottoposti con la forza al pagamento di un tributo, e di un’ altra tassa, la “djizya”, che viene imposta nel corso di una cerimonia umiliante: mentre paga, il dhimmi viene colpito alla testa. Ai dhimmi è fatto divieto di portare le armi.
Non migliore è la condizione dell’exmusulmano convertito al cattolicesimo, per il quale è prevista la pena di morte se non si rawede entro tre giorni. Prima dell’esecuzione viene considerato civilmente morto, con conseguente confisca ipso iure dei suoi beni, che vengono considerati bottino di guerra.
Ancora oggi prevedono la pena di morte per delitto d’apostasia, il codice penale della Repubblica del Sudan del 1991 (art. 126, comma 2), il codice penale della Repubblica Islamica di Mauritania del 1984 (art. 306), mentre il codice penale del Regno del Marocco punisce con una pena detentiva e con un’ammenda chi induce all’apostasia e tace della sorte dell’apostata (art. 220, comma 2).
In Egitto, lo Sceicco Abd al-Halim Mahamud ha redatto un progetto di codice di pene coraniche che prevede, all’art. 33, la pena di morte per l’apostata. In ogni caso, secondo lo studioso cristiano libanese Sami Awar Aldeeb Abu-Sahlieh, seppure i codici penali degli altri Paesi musulmani non hanno una disposizione relativamente all’apostasia, questo “non significa assolutamente che il musulmano possa lasciare liberamente la sua religione.
Infatti, le lacune del diritto scritto vanno colmate con il diritto musulmano, secondo le disposizioni legislative del paese”. Il medesimo studioso cita come esempio il Regno Saudita: “L’esecuzione degli apostati malgrado l’assenza di una norma legale si verifica anche in Arabia Saudita” (cit. in Nitoglia, p. 94). In ogni caso, per ben che gli vada, l’apostata si vede messo in prigione, spossessato dei beni, cacciato dal lavoro da parte dello Stato, ed esposto alla vendetta della sua famiglia e dei singoli musulmani.
Ma torniamo alla” guerra santa”.
Questa nasce ufficialmente con l'”Editto” di Medina (622), con il quale il “profeta” definisce le caratteristiche fondamentali dell’lslam come comunità di credenti che combattono per imporre la legge di Allah al mondo intero: nasce l’obbligo per i musulmani di lottare fino alla sottomissione degli “infedeli”.
Secondo l’insegnamento islamico la “guerra santa” è uno dei comandamenti fondamentali della fede, un obbligo imposto da Dio a tutti i musulmani, che non conosce limiti di tempo o di spazio, e che deve protrarsi finché il mondo intero non abbia accolto la fede islamica o almeno non si sia sottomesso al potere dello Stato islamico. Recita infatti il Corano: “vi è prescritta la guerra, anche se non vi piace” (Cor. 2, 216). “Combattete per la causa di Dio quelli che vi combattono (…) Uccideteli dunque ovunque li troviate e scacciateli da dove hanno scacciato voi” (Cor. 2,190-191); “Uccidete gli idolatri ovunque li troviate, fateli prigionieri, assediateli e combatteteli con ogni genere di tranelli” (Cor. 9,5); “Profeta! Lotta contro gli infedeli e gli ipocriti e sii duro con loro!” (Cor.66, 9); “Non siate deboli col nemico, né invitatelo a far la pace, mentre avete il soprawento!” (Cor. 47, 35);
“La ricompensa di coloro che si oppongono ad Allah ed al suo Messaggio, dedicandosi a corrompere la terra, sarà nel fatto che verranno massacrati o crocifissi o amputati delle mani e dei piedi o banditi dalla terra, a loro infamia in questo mondo!” (Cor. 5, 33).
Inoltre, spiega Nitoglia, “a differenza di quanto imposto dalla dottrina cristiana e testimoniato dalla storia occidentale, nella mentalità musulmana la pratica della guerra non è limitata da precise regole morali che ne moderino la ferocia. Ad esempio l’lslam non riconosce come soggetti giuridici né le persone non-musulmane né gli Stati non-musulmani, per il semplice fatto che non ammette legge naturale né diritto delle genti distinti dalla Shariah.
“Nessun credente porti mai soccorso ad un miscredente”, afferma un hadit. In tale prospettiva i nemici, una volta caduti prigionieri, costituiscono “proprietà dei vincitori, che possono liberarli o ridurli in schiavitù oppure ucciderli: “Quando dunque incontrate in battaglia quelli che non credono, colpiteli al collo e quando li avrete massacrati di colpi stringete beni i ceppi. Poi, o la grazia o il riscatto, finché i combattenti non depongono le armi” (Cor. 47, 4). Le proprietà dei nemici vinti divengono proprietà dei musulmani: “Il bottino di guerra appartiene a Dio e al suo Messaggero” (Cor. 8, 1)” (pp. 95 e sgg.).
Come nota de Mattei (cit., pp. 6061), l’intera storia di questi ultimi sedici secoli dimostra che il nemico fondamentale contro cui si rivolge il jihad è la Cristianità ed in particolare la potenza che nel corso dei secoli maggiormente la rappresenta (nella realtà concreta o nell’immaginario islamico): il Regno dei Franchi, il Sacro Romano Impero, oggi gli USA.
Il discorso meriterebbe ben altra attenzione e spazio.
Ma quanto detto può forse bastare a chiarire se non altro quanto di drammaticamente serio vi sia da apprendere riguardo la mentalità islamica sui rapporti con i cristiani; e ciò dovrebbe indurre le persone più responsabili e serene a considerare con profonda serietà la questione dell’immigrazione (e non abbiamo toccato la situazione femminile o quella specificamente religiosa!) e comunque l’intera problematica dei rapporti con il mondo musulmano. E questo nell’interesse di tutti, ed anzitutto della pace. Di quella vera, non di quella fondata sulla paura o sull’inganno.
Dal Corano