Obama, Hollande, Cameron: uniti dai fallimenti in economia e politica internazionale, ma tutti determinati a promuovere i matrimoni gay a ogni costo. Inclusa la violenza
L’annuncio l’11 dicembre della sospensione degli aiuti militari ai ribelli nel Nord della Siria è stato solo l’ultima, grave, dichiarazione di fallimento da parte del presidente americano Barack Obama e del premier britannico David Cameron. Per quasi due anni avevano sostenuto la ribellione armata contro il regime di Assad al Bashir nell’illusione di poter favorire l’avvento di un regime democratico e filo-occidentale. Decisione sostenuta malgrado, con il passare del tempo, fosse diventato sempre più evidente che la parte preponderante della ribellione siriana fosse di matrice fondamentalista, intenzionata invece ad instaurare uno Stato islamico. Alla fine, dopo un’operazione militare clamorosa delle brigate islamiste ai danni dei ribelli filo-occidentali, si sono dovuti arrendere all’evidenza e riconoscere che aveva ragione la Russia.
Il drammatico flop in Siria fa il paio con il disastro della Libia, dove il governo francese di Francois Hollande ha guidato americani e britannici – ma anche l’Italia – in una operazione militare che ha rovesciato il presidente Muhammar Gheddafi favorendo, anziché la possibilità di un regime democratico, l’attuale caos di cui godono soltanto le fazioni islamiche più estremiste.
Obama, Cameron, Hollande. Quello militare e strategico è solo uno degli aspetti del loro fallimento. Arrivati al governo dei rispettivi paesi alimentando grandi speranze – al punto che Obama si è preso un Nobel per la Pace sulla fiducia, visto che si era appena insediato – i disastrosi tre hanno collezionato figuracce su figuracce.
La prima evidenza è che hanno dimostrato di non avere un’idea chiara di cosa fare per fare uscire i rispettivi paesi dalla peggiore crisi economica dopo la Grande Depressione del 1929. Nello specifico poi, Obama ha fallito in quella che doveva essere la più grande riforma del suo mandato, quella sanitaria, l’Obamacare. Il caos che si è creato attorno a questa legge ha fatto sì che a novembre 2013 solo il 31% degli americani la considerasse una buona legge, un risultato drammatico per una normativa dichiaratamente popolare. Inoltre, solo per stare agli eventi più recenti, Obama ha dovuto affrontare lo scandalo del Datagate, la rivelazione di intercettazioni globali (telefoni e internet) da parte dell’Agenzia di sicurezza americana, che ora potrebbe costare caro anche in termini economici viste le numerose cause in tribunale che già si profilano. Per certi versi, il Datagate è un finto scandalo, visto che è risaputo che a livello di governi tutti intercettano tutti, ma l’estensione delle intercettazioni e la gestione della vicenda dopo le rivelazioni sono state disastrose per Obama, tanto che a fine novembre il suo indice di gradimento – già in caduta libera – ha raggiunto i minimi storici: solo il 37% degli americani approvava il suo operato, contro il 46% di appena un mese prima.
A Hollande, se possibile, va ancora peggio. È bastato un anno e mezzo di permanenza all’Eliseo per far crollare la sua popolarità, ben al di sotto di quella del suo predecessore Nicolas Sarkozy che pure era stato definito il presidente più impopolare della storia: a novembre un sondaggio commissionato dall’Huffington Post rivelava che solo il 15% dei francesi era soddisfatto del suo operato, il 76% insoddisfatto e il 9% astenuto. Motivi principali di questa disaffezione: la disoccupazione che continua a crescere (ha sfondato il muro del 10%) mentre l’economia continua a ristagnare e le tasse aumentano (ma come si fa a votare socialista e poi lamentarsi dell’aumento delle tasse?). Anche per lui non sono mancati peraltro degli scandali, in particolare quello del suo ministro del Bilancio, Jerome Cahuzac, beccato con dei conti segreti nei paradisi fiscali.
Quanto a popolarità per Cameron va leggermente meglio, soprattutto perché l’economia britannica sembra dare qualche debole segnale di ripresa (in tempi di carestia ci si accontenta di poco), ma il 39% di consensi non è comunque un granché. La figuraccia più grave è stata il voto negativo ricevuto dal Parlamento che ha impedito l’intervento militare in Siria quando i bombardieri stavano già scaldando i motori.
C’è però un elemento che accomuna i tre: incapaci e pasticcioni in economia e politica internazionale, tutti e tre hanno cercato gloria nel campo dei cosiddetti “nuovi diritti”, ovvero aborto e gay. Tale è tanta è stata la loro determinazione a spingere su questo punto, soprattutto la promozione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, da far sospettare che sia l’unico motivo per cui siano stati eletti. Non è un segreto che le campagne elettorali di tutti e tre siano state abbondantemente finanziate dai gruppi abortisti e gay, ma certo è che la forza dispiegata per promuovere una legislazione tanto controversa come quella sui matrimoni gay si spiega difficilmente solo con i fondi dell’associazionismo, per quanto consistenti essi fossero.
Ad esempio, uno dei punti più controversi della riforma sanitaria di Obama è l’obbligo per tutti i datori di lavoro di pagare l’assicurazione ai propri dipendenti anche per contraccezione e aborto, una misura che ha provocato la durissima reazione dei vescovi e dei cattolici statunitensi, ma su cui il presidente non ha voluto sentire ragioni. Ancora più clamorosa la decisione di Hollande, che ha voluto procedere a tappe forzate per l’approvazione delle nozze gay, sfidando una popolazione più volte scesa in piazza con manifestazioni oceaniche per difendere la famiglia naturale. Una sfida anche violenta, visto che all’atteggiamento assolutamente pacifico dei manifestanti Hollande ha opposto la brutalità della polizia, con arresti e violenze immotivate tanto da finire alla Corte Europea dei diritti umani.
Cameron, dal canto suo, ha sfidato anche il suo stesso Partito conservatore che ha mal digerito l’attivismo gay del suo leader, contrario non solo al sentimento di una parte consistente della popolazione ma anche alla tradizione del suo partito. Lo stesso Cameron, in un incontro con dirigenti conservatori, ha confessato in ottobre di essere stato colto di sorpresa dalle reazioni e dalla spaccatura creatasi a causa della sua decisione di procedere con la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma non si è mostrato pentito. Del resto in luglio, ricevendo una delegazione di associazioni Lgbt (Lesbiche, gay, bisex e transessuali) a Downing Street (abitazione del primo ministro), si era detto orgoglioso di aver fatto approvare la legge sulle nozze gay e del fatto che ora «la Gran Bretagna è il posto migliore in Europa per essere gay, lesbica o trangender». Non solo, ma sull’onda dell’entusiasmo ha anche aggiunto che è sua volontà «esportare il matrimonio gay in tutto il mondo».
In effetti, viste le condizioni dell’economia, forse questo resta l’unico prodotto da esportare.
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 18 – 19
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