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15.12.2024

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Globalizzazione: è assente la famiglia
31 Gennaio 2014

Globalizzazione: è assente la famiglia

 

 

 

Una politica mondiale che vuole colmare le disuguaglianze e battere la povertà deve rafforzare la famiglia. Quella naturale, con padre, madre e figli. Cattolici: proponete una nuova via allo sviluppo partendo dalla famiglia.

 

Cé un grande assente nel dibattito sulla globalizzazione, Ia famiglia. Forse qualcuno istintivamente si chiederà cosa c’entra la famiglia. Ebbene, c’entra tantissimo, anzi sta al cuore della questione della globalizzazione. Le ragioni sono molte, la prima è intuitiva: se uno degli effetti della globalizzazione è quello di rendere l’intera umanità una grande famiglia, allora è anche importane avere bene in mente che tipo di famiglia si vuole costruire. Un secondo motivo è legato al senso stesso della globalizzazione: qualsiasi sia punto di vista da cui si intende giudicare il fenomeno, non c’è dubbio che in ballo c’è il destino dell’intera società umana. E allora dobbiamo ricordare che l’articolo 16(3) della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dichiara che “la famiglia è la cellula naturale e fondamentale della società”. E tanto per sgombrare il campo dagli equivoci, il contesto in cui nella Dichiarazione si parla della famiglia è quello del matrimonio uomo e donna.
Come mai dunque oggi quando si parla di globalizzazione di famiglia non si parla? Gli unici accenni sono soltanto quelli dei movimenti inneggiano al “consumo critico” ed esortano le famiglie a fare una rivoluzione partendo dal carrello della spesa. Ma è davvero tutto qui il ruolo della famiglia nella costruzione della società mondiale? Ridotto al saper scegliere una qualità di cacao invece di un’altra (seppur per nobilissimi motivi)? No, non può essere questo. Se la famiglia è la “cellula naturale fondamentale della società”, allora ne consegue che è proprio sul famiglia che tutto il processo di globalizzazione va fondato. Intanto proprio perché il modello della famiglia è esemplare per sanare le gravi disuguaglianze che affliggono l’umanità. Quale padre o madre infatti lascerebbe vivere nel lusso sfrenato un figlio mentre un altro muore di fame?
Non si tratta soltanto di un’immagine ideale, ma della forza concreta di cambiamento sociale insita in una esperienza quotidianamente vissuta. Si può facilmente intuire che una società dove la famiglia è forte è anche una società più solida, armonica e meno disponibile a tollerare disuguaglianze sociali rispetto a una società disgregata, dove la conflittualità e la disparità di trattamento iniziano nel seno stesso della sua “cellula naturale e fondamentale”.
Dobbiamo poi considerare che è la famiglia “il luogo privilegiato per far crescere tutte le potenzialità umane, personali e sociali che l’uomo porta inscritte nel suo essere”, come papa Giovanni Paolo II ha ricordato il 1° ottobre 1997 al Congresso internazionale sulla famiglia di Rio de Janeiro. La famiglia è il luogo dove ‘uomo vive la prima esperienza sociale, dove ogni persona può sperimentare che “l’uomo, per sua natura, è un essere sociale che non può vivere né sviluppare le sue qualità senza entrare in relazione con gli altri” (Lettera del papa alle famiglie “Gratissimam sane”, 2 febbraio 1994).
E cos’altro è la globalizzazione, ovvero l’unità del genere umano, se non l’esito finale di questa “socialità” insita nell’uomo e imparata nella famiglia?
Una politica di governo della globalizzazione, dunque, che si prefigge di colmare le disuguglianze e ha come obiettivo la lotta alla povertà, deve anzitutto iniziare dal rafforzare la famiglia. Anzi le politiche economiche e sociali – nazionali e internazionali – devono avere la famiglia come loro riferimento fondamentale.
Questo significa promuovere politiche salariali e fiscali che favoriscano le famiglie, soprattutto quelle più numerose; varare politiche sociali di sussidiarietà che consentano alle famiglie di farsi carico delle proprie esigenze (dagli asili alla cura degli anziani); adottare ritmi di lavoro che lo rendano compatibile con la vita della famiglia e il diritto-dovere dell’educazione dei figli; ripensare tutte quelle legislazioni che favoriscono la disgregazione delle famiglie e la loro deresponsabilizzazione (divorzio, aborto, eutanasia); invertire la tendenza in atto di crescente interferenza delle istituzioni (locali e internazionali) nella vita delle famiglie (dalle politiche di controllo delle nascite alle scelte educative).
Certo, guardando al panorama attuale non possiamo non renderci conto che molti Paesi, soprattutto quelli sviluppati e quindi con maggiori responsabilità, e le grandi istituzioni internazionali (agenzie Onu in testa) stanno andando in tutt’altra direzione. Evidentemente non è un caso che, malgrado da decenni la lotta alla povertà sia l’obiettivo principale lanciato da tutte le assise mondiali, il mondo in generale e ogni singolo Paese vedono allargarsi la forbice che divide i più ricchi dai più poveri.
Proprio per questo diventa urgente, in un momento in cui i forum sulla globalizzazione e le Conferenze sullo sviluppo si succedono a ritmo serrato, mettere la famiglia al centro della riflessione.
E sarebbe davvero bello se i movimenti e i gruppi cattolici che da mesi partecipano a tutte le manifestazioni di protesta contro la globalizzazione, cominciassero a proporre una nuova via allo sviluppo e all’uguaglianza partendo proprio dalla valorizzazione della famiglia. Come ci è stato ricordato sulle colonne de “il Timone” lo scorso numero, l’enciclica “Redemptoris Missio” (1991) chiarisce che “lo sviluppo di un popolo (…) dipende primariamente (…) dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi.
È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica”.
E l’educazione comincia nella famiglia.

 

 

 

RICORDA

 

“Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia; e le autorità civili dovranno considerare come un sacro dovere conoscere la loro vera natura, proteggerli e farli progredire, difendere la moralità pubblica e favorire la prosperità domestica”.
(Concilio Vaticano II, Costituzione “Gaudium et Spes”, n. 52).

 

 

IL TIMONE N. 18 – ANNO IV – Marzo/Aprile 2002 – pag. 16 – 17

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