La gioia di essere cristiani, la Messa, l’eucaristia, i santi come i soli veri modelli, nei discorsi di Benedetto XVI ai giovani.
Ai giovani, provenienti da 193 paesi, venuti sull’esempio dei Magi a Colonia alla GMG (il tema era: «Siamo venuti per adorarlo », Mt 2,2), Benedetto XVI, da grande catecheta, ha spiegato la fede in discorsi che bisogna rileggere e meditare.
Riprendiamone alcuni passaggi, limitandoci ai soli discorsi pronunciati nel giorno del suo arrivo, alla veglia di adorazione e nella Messa conclusiva.
Il Papa ha sollecitato i giovani: «Spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo. Concedetegli il diritto di parlarvi […]. Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso […]. Esponete le vostre gioie e le vostre pene a Cristo».
A tutti gli uomini ha additato Cristo come «la risposta appagante per la sete dei loro cuori», operando un ribaltamento dell’idea comune, che aveva confutato anche pochi giorni prima in un’intervista: l’idea che «i cristiani debbano osservare un’immensità di comandamenti, divieti, principi e simili e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere e che si è più liberi senza». Al contrario il vero cristiano vive per amore e non a colpi di senso del dovere e, quando si ama qualcuno, ciò che egli ci chiede diventa fonte di gioia (ne ho parlato sul Timone, n. 39, pp. 32-33): «essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello, ma sono ali, […] è bello essere cristiani». Insomma c’è una «gioia di essere cristiano: è bello […] credere!» (intervista alla Radio Vaticana del 14.06.05). Molti cercano la felicità lontano dalla casa del Padre; ma a lungo andare il mondo non appaga e dal fondo del cuore urge un anelito di un Bene assoluto, che non delude. A Colonia il Papa ha insistito: «la felicità che cercate, la felicità che avete il diritto di gustare, ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth […]. Solo lui dà pienezza di vita!». Perciò (come aveva detto nella Messa di inizio del suo pontificato il 24.04.05): «Chi fa entrare Cristo [nella propria vita] non perde nulla, nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. […]. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le potenzialità della condizione umana». Infatti il male offre solo una parvenza di libertà, perché, (cfr. già Aristotele, ne ho parlato sul Timone n. 45, pp. 37-38), rende schiavi delle proprie passioni. Così, «Cristo non toglie nulla di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, per la felicità degli uomini, la salvezza del mondo».
Ma dove incontrare Cristo? Eminentemente adorando «la bianca Ostia sacra, nella quale gli occhi della fede riconoscono la presenza reale del Salvatore del mondo» e nella Messa che è «partecipazione al mistero della croce e risurrezione di Cristo» ed è unione con Cristo nell’eucaristia: «inconcepibile grandezza di un Dio che si è abbassato fino al punto di mostrarsi nella mangiatoia e darsi come cibo sull’altare». Mangiare il Suo corpo per entrare in comunione con Lui, come culmine dell’amore: non diciamo infatti, all’apice delle nostre esperienze d’amore, che vorremmo mangiare chi amiamo, perché diventi carne della nostra carne?
Per spiegare l’eucaristia Benedetto XVI si è avvalso dell’immagine della fissione nucleare, che spezza il nucleo dell’atomo, producendo una reazione a catena e sprigionando energia. Analogicamente, Cristo con la transustanziazione «anticipa la sua morte e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente.
È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo […]: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita». È «la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo».
Infatti, «pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue», ma «la trasformazione non deve fermarsi»: essi «sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui», e, inoltre, «la Sua dinamica ci penetra e ci trasforma e da noi vuole propagarsi agli altri ed estendersi a tutto il mondo». Rifiutando il relativismo di una certa retorica del «dialogo», il Papa ha così rilanciato il compito, per ogni cristiano, della missione. Del resto, «Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé». E ha indicato i santi come esempi che ci insegnano ad essere cristiani. Sono i veri rivoluzionari, che partecipano del «potere inerme dell’amore» di Cristo. Essi «non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi» e «ci indicano così la strada per diventare felici […]. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l’hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare».
E, contro il pericolo di una religione «fai da te», di un «Dio privato» a nostro uso e consumo, il Papa ha invitato a vivere nella Chiesa quale «luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini».
Una partecipazione convinta, con buona pace dei critici
I detrattori della GMG hanno da sempre cercato di sminuirla dicendo: i giovani seguono Giovanni Paolo II, non in quanto vicario di Cristo o per quello che dice, ma per il suo carisma; si ritrovano per partecipare ad un grande happening senza motivazioni spirituali; la loro partecipazione, al massimo, è emotiva e non lascia tracce.
Critiche false, come Colonia ha comprovato.
Infatti, i giovani hanno seguito alla GMG un impegnativo percorso di formazione, di iniziazione o consolidamento della vita cristiana. Ogni giorno, per circa quattro ore, partecipavano alle lodi, alle catechesi, alla Messa; hanno inoltre fatto un pellegrinaggio e partecipato alla Via Crucis; hanno pregato tra di loro; hanno incontrato il Papa lungo il Reno, partecipato con lui alla veglia di adorazione eucaristica e alla messa.
E Benedetto XVI ha concentrato completamente l’attenzione sui contenuti della liturgia e dei suoi discorsi, ha spiegato la fede con parole dalle quali non ci si aspetta l’effetto immediato dell’applauso, ma che rimangano radicate.
Insomma, non solo la GMG ha una forte dimensione formativa ed opera una semina importante, in profondità, ma anche l’apprezzamento che il Papa ha largamente riscontrato tra i giovani concerne gli insegnamenti che ha impartito, ed essi gli vogliono bene come Papa, consapevoli che ciò che veramente conta è Cristo e la sua Chiesa, di cui egli è il capo visibile. Ma per confermare la partecipazione convinta dei giovani bisogna anche considerare i loro notevoli sacrifici: in centinaia di migliaia hanno dormito per terra in situazioni molto scomode (senza magari nemmeno le docce), hanno camminato per chilometri; si sono pagati il viaggio e il soggiorno, risparmiando, a volte, numerosi stipendi (si pensi a chi è venuto dall’America, dal Canada, dall’Australia, dalla Cina ecc.).
Certo, alla GMG interviene anche chi non ha alcuna motivazione spirituale. Saranno anche qualche migliaio, magari diecimila; ma questa quantità di persone, in sé grande, è proporzionalmente irrisoria rispetto al milione di persone giunte a Colonia. Anche una tale quantità, rispetto agli altri novecentonovantamila, sarebbe solo un 1%, che di certo è stato colpito nel vedere tutti gli altri, giunti per la loro fede. E chissà che lo Spirito non abbia soffiato anche per loro.
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 14 – 15