Il Nisseno è il più radicale dei Padri nel condannare la schiavitù. Tutti gli esseri umani hanno la stessa dignità, sono liberi ed eredi di Dio: la schiavitù è illegittima ed empia. L’uomo è immagine di Dio, l’uguaglianza e parità tra tutti gli esseri umani riflette la parità delle Persone divine
Nel Giudaismo, gli Esseni e i Terapeuti rifiutarono di tenere schiavi e di riconoscere la schiavitù quale istituzione. In ambito cristiano, poiché S. Paolo affermava che in Cristo non c’è differenza tra schiavi e liberi (Gal 3,28), se già molti asceti cristiani rinunciarono totalmente a possedere schiavi, San Gregorio di Nissa condannò recisamente la schiavitù anche come istituzione: la considerava un male in assoluto, contrario al volere di Dio e da eliminare. San Giovanni Crisostomo e san Gregorio Nazianzeno (IV sec.) sono i due Padri che maggiormente si avvicinano alla posizione del Nisseno: anch’essi erano asceti.
Molti Padri però tennero posizioni opposte. Ad es., Teodoreto (V sec.) difendeva la schiavitù come istituzione opportuna al mantenimento dell’ordine: essa sarebbe «utile alla vita», come pure la divisione tra ricchi e poveri, in base al criterio della ripartizione dei compiti. Anch’egli ammette, come sant’Agostino, che non fu creata da Dio all’inizio, ma quando si instaurò disordine, allora Dio divise l’umanità in «comandanti e comandati », per ridurre, tramite timore, i peccati dato che gli schiavi, se non fossero tali, sarebbero persone in cui la passione prevarrebbe sulla ragione. La schiavitù è per lui un male necessario, introdotto per «correggere» la corruzione morale.
San Giovanni Crisostomo e san Basilio sono assai vicini alle posizioni del Nisseno, pur non raggiungendole.
Il Crisostomo si rifà all’argomentazione stoico-cinica dell’autarkeia (il bastare a se stessi). Nessuno ha bisogno di schiavi: Dio ha creato tutti autonomi e capaci di servire se stessi e perfino gli altri. S. Paolo è un esempio perché lavorava personalmente e non aveva schiavi. Averne molti è «vergognoso», poiché la schiavitù non fu introdotta per necessità (siccome anche i padroni hanno mani e piedi), bensì a causa del peccato. Tuttavia, Cristo l’ha eliminata, in quanto «in Cristo non c’è né schiavo né libero». Giovanni consiglia di acquistare schiavi, insegnare loro un mestiere e affrancarli: tenerne non è opera di filantropia.
Quanto a Basilio, la cui opera caritativa (in un periodo in cui praticamente solo la Chiesa era attiva in questo campo) è ben nota, questi, contro Aristotele, sostiene che nessun essere umano sia schiavo per natura, concordando con suo fratello Gregorio di Nissa. Ma, soggiunge, se alcuni sono schiavi di guerra e altri per povertà, altri lo sono «grazie a un’ineffabile economia», in quanto i peggiori ebbero l’ordine di seguire i migliori, il che non è condanna, ma beneficio. Questo non è ciò che il Nisseno riteneva. Basilio ritiene essere utile che quanti hanno scarsa intelligenza e capacità di governarsi servano i migliori. Come Gregorio, tuttavia, egli osserva che tutte le persone sono serve di Dio, poiché tutte appartengono al Creatore.
San Gregorio di Nissa è il più radicale dei Padri nel condannare la schiavitù. Egli esorta i suoi fedeli a liberare i loro schiavi, tutti, poiché questo solo è «bene»; possederne è male. Tutti gli esseri umani sono liberi ed eredi di Dio; la schiavitù è illegittima ed empia: va contro Dio. Nessuno può presumere di essere padrone di un altro essere umano. Ciò è “contro Dio” poiché tutti appartengono solo a Dio, che ha creato tutti liberi, dotati di libero arbitrio, e padroni della creazione. Gregorio insiste che la schiavitù non è una punizione decretata da Dio o un male necessario permesso da Dio dopo il peccato originale, ma è contro il volere di Dio, che ha concesso alle persone di possedere animali, ma non altre persone (ciò è tanto più interessante in quanto nell’antichità gli schiavi tendevano perfino ad essere assimilati ad animali). Gli schiavi hanno la stessa dignità e valore dei padroni: il valore della natura umana; se sono schiavi è per un abuso. Chi presume di possedere schiavi divide la natura umana, che è una, nei due stati di libertà e schiavitù. Non fu Dio a istituire tale divisione, ma uomini avidi, prevaricatori e presuntuosi alla follia: solo un pazzo, ingannato dal diavolo, può pensare di possedere un essere umano, che è libero in quanto immagine di Dio, il quale è libero e potente e «senza padroni» (adéspoton). Poiché l’essere umano è immagine di Dio, l’uguaglianza e parità tra tutti gli esseri umani è immagine della parità che sussiste tra le Persone divine.
Queste idee sono coerenti con la vita di Gregorio e dei suoi parenti asceti: le sorelle santa Macrina e santa Teosebia, il fratello san Naucrazio e la madre Emmelia dopo il suo ingresso nella casa-monastero di Macrina. Macrina e Naucrazio non solo ricusarono il possesso di schiavi, ma si fecero perfino schiavi dei loro cari e dei più sfortunati. Naucrazio addirittura morì durante questo suo servizio. Gregorio esalta vivamente gli asceti della sua famiglia per la loro scelta di povertà e la loro rinuncia a tenere schiavi, facendosi anzi schiavi essi stessi.
Gli argomenti di san Gregorio Nisseno contro la schiavitù sono anche coerenti con i suoi attacchi alle forti diseguaglianze socio-economiche e all’usura. I poveri, egli afferma, hanno valore infinito, poiché hanno «il volto del Salvatore». In base al comportamento verso di loro ciascuno sarà giudicato alla fine. Poiché tutti i beni appartengono a Dio, ognuno dovrebbe limitarsi a possedere ciò di cui ha bisogno, dando il resto ai poveri, «i prediletti di Dio». Tutto ciò che uno possiede in più del necessario è in realtà stato sottratto ai poveri. Di qui l’esortazione di Gregorio a dare ai poveri tutto ciò che supera le necessità di ciascuno.
Ricorda
«Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».
(S. Paolo, Lettera ai Galati 3, 28).
Per saperne di più…
Ilaria Ramelli, Slavery as a necessary evil or as an evil that should be abolished? The Patristic debate and the role of asceticism, relazione all’Annual Meeting della Society of Biblical Literature, novembre 2008, in pubblicazione.
IL TIMONE N. 103 – ANNO XIII – Maggio 2011 – pag. 28 – 29