Si oppone alla furia iconoclastica dell’imperatore orientale Leone III e alle sue pretese fiscali. Potenzia le difese di Roma e sviluppa le missioni. Allontana la minaccia dei Longobardi da Roma. Sotto il suo pontificato, ha inizio lo Stato della Chiesa
Nome: Gregorio
Elezione: 19 maggio 715
Durata: 15 anni, 8 mesi, 24 giorni
Data morte: 11 febbraio 731
Sepolto: S. Pietro
Posizione cronologica: 89
Il pontificato di Gregorio II (715- 731) si svolge durante un periodo storico molto tormentato a causa della presenza contemporanea dell’irrequieto ed energico re Longobardo Liutprando (712-744) e dell’imperatore d’Oriente Leone III Isaurico (717-741), avverso all’utilizzo delle immagini sacre. Tra di essi si staglia la forte figura di Gregorio II, strenuo difensore dei diritti e della sicurezza non solo della Chiesa, ma di vasta parte della popolazione italiana.
Gregorio nasce a Roma e sin da giovane è avviato al diaconato, al quale giunge in breve tempo grazie alla sua brillante intelligenza. Entra presto in Curia dove copre importanti incarichi. Nel 710 è al fianco di papa Costantino I (708-715) nell’importante viaggio a Costantinopoli per ristabilire il primato della Chiesa di Roma, messo in discussione durante il Concilio antiromano detto Trullano o Quinisesto del 691-692.
La fama delle sue virtù si diffonde rapidamente: dimostra profonda conoscenza della Sacra Scrittura, castità, forza e determinazione nel difendere le ragioni della fede; è mansueto e benevolo verso il prossimo. Subito dopo la morte di papa Costantino I, Gregorio è eletto all’unanimità dal clero e dal popolo. È il primo romano eletto dopo una lunga serie di pontefici stranieri.
Quando Leone III inasprisce le tasse sui sudditi in Italia, senza tener conto dei diritti della Santa Sede nelle zone in cui sono presenti chiese ed edifici ecclesiastici, Gregorio si oppone fermamente provocando la dura reazione dell’imperatore che ordina ai suoi ufficiali di stanza nell’esarcato di deporlo e ucciderlo. Ma nei pressi di Ravenna, due funzionari bizantini, nel tentativo di arrestare il Papa, vengono uno incarcerato e l’altro ucciso dai “Romani, dai Longobardi di Toscana e dagli Spoletini”. L’episodio è quanto mai significativo, in quanto rivela che ampi strati sociali italiani, dopo la caduta dell’Impero romano e il trasferimento della sede imperiale a Costantinopoli, considerano la figura del Papa come un prezioso e autorevole riferimento, non solo dal punto di vista religioso e morale, ma anche da quello politico, in quanto garante della sicurezza e dell’organizzazione sociale. Tutto questo nonostante sia presente a Roma un duca in rappresentanza dell’Imperatore. Tuttavia, il contrasto più grave inizia dal 726 quando Leone III avvia l’iconoclastia, ossia il rifiuto con relativa distruzione delle immagini sacre per impedirne il culto da parte dei fedeli. Non si conoscono con precisione i motivi di tale rigetto. Alcuni storici sostengono essere stata decisiva l’influenza dell’Islam e dell’ebraismo, da sempre contrari alle rappresentazioni del divino, mentre per altri il motivo deriverebbe dal contatto di Leone con le popolazioni presenti ai confini dell’Impero intrise dell’eresia pauliciana manichea, la quale rifiuta qualsiasi rappresentazione della materia, considerata malvagia.
Leone III, dopo aver domato una serie di sommosse e guadagnato qualche vescovo alla sua causa, vuole imporre anche al Papa la firma di un decreto che approvi in toto la distruzione delle immagini. Gregorio, sostenuto dalla popolazione che insorge in suo aiuto, rifiuta l’iconoclastia come eretica con un atteggiamento che mai un pontefice aveva tenuto nei confronti dell’autorità civile: ribadisce a colpi di vibranti epistole la fondatezza teologica del culto delle immagini e la concezione del ruolo della Chiesa nella società (potere spirituale superiore a quello temporale); ricorda inoltre a Leone che “I dogmi della Chiesa sono di competenza non degli imperatori bensì dei vescovi” e che “solo Cristo è sacerdote e re”.
L’imperatore non si cura dei richiami del Papa e destituisce con sprezzo il patriarca Germano contrario all’iconoclastia, sostituendolo con uno più docile ai suoi desideri (nomina naturalmente non riconosciuta dal Papa). Anche a causa di questi scontri, Gregorio inizia ad avvicinarsi ai Franchi per chiedere protezione, allontanando sempre più la Santa Sede dall’Oriente.
L’altro importante capitolo del pontificato di Gregorio riguarda le complesse relazioni con i Longobardi, data la loro aspirazione a regnare sull’Italia unita per sbarazzarsi dei bizantini, senza curarsi troppo dei diritti della Chiesa. Tuttavia, all’inizio i rapporti sono buoni, tanto che nel 716 Gregorio riesce a farsi restituire un’importante proprietà sulle Alpi Cozie e il castello di Cuma in Campania, anche se tramite l’intervento militare del duca di Napoli. Ma nel 728 Liutprando invade l’esarcato di Ravenna e poi avanza nel Lazio, dove invade Sutri, occupandone il castello. Sutri e il castello erano di proprietà privata del papato, non così, invece, il territorio circostante, anche se, di fatto, ricade sotto l’organizzazione della Chiesa. Quando Liutprando espugna il castello, subisce non solo la veemente reazione di Gregorio, ma anche quella della popolazione locale che non vuole essere sottomessa a un altro sovrano che non sia il pontefice. Gregorio si presenta disarmato al cospetto di Liutprando, rivolgendogli un discorso fermo e deciso. Liutprando ne rimane profondamente colpito al punto, raccontano le cronache, di prostrarsi dinanzi al Papa e restituirgli sottoforma di donazione il castello di Sutri. Liutprando compie così un gesto della cui portata probabilmente non si rende conto: con questa donazione ufficiale dà origine allo Stato della Chiesa, riconoscendo piena valenza giuridica sui territori che la Santa Sede amministrerà per secoli, fino ai tragici eventi del 1870. Ciò nonostante, con Liutprando ci saranno ancora forti attriti dopo che questi stringe nel 728 un’alleanza con l’esarca Eutichio (727-751), nominato da Leone III con l’incarico segreto di eliminare fisicamente il Papa. Anche in questo caso Gregorio, nonostante la minaccia di morte, visita personalmente il re longobardo al Campo di Nerone, dove è attestato con le sue truppe per invadere Roma e facendo appello al suo innato senso religioso riesce a fargli mutare intenzioni inducendolo a deporre, sopra la tomba di Pietro, i vessilli regali in segno di sottomissione.
Gregorio sviluppa un’intensa azione missionaria, soprattutto verso i Germani grazie alla straordinaria collaborazione del monaco anglosassone S. Bonifacio (680-750). Inoltre potenzia le mura di Roma e riorganizza la liturgia con l’introduzione delle celebrazioni del giovedì di Quaresima. Attento all’economia, formalizza il cosiddetto “Obolo di S. Pietro” accogliendo l’iniziativa del re dei Sassoni Ina, il quale nel 725 desidera diventare monaco rinunciando alla corona, non senza prima rendere omaggio al Papa con un contributo volontario di una moneta d’argento con scadenza annuale, obbligando in questo anche i suoi successori. Gregorio II muore l’11 febbraio 731.
RICORDA
«Una di queste, in accordo con la predicazione evangelica, è la pittura delle immagini, che giova senz’altro a confermare la vera e non fantastica incarnazione del Verbo di Dio… seguendo in tutto e per tutto l’ispirato insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa cattolica riconosciamo… (che) le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, secondo la nostra fede, di un vero culto di latria, che è riservato solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della preziosa e vivificante croce, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi, com’era uso presso gli antichi. L’onore reso all’immagine, infatti, passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l’immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto».
(II Concilio di Nicea del 787, VII Concilio ecumenico).
IL TIMONE N. 100 – ANNO XIII – Febbraio 2011 – pag. 54 – 55