Nonostante studi recenti volgano verso un ridimensionamento della figura e dell’operato di San Gregorio Magno (540-604), appare indubbio che egli occupi il primo posto nella storia liturgica della Chiesa romana. Infatti, sebbene la liturgia si sviluppi sempre in modo organico, e vari furono gli interventi dei suoi predecessori, fu solo con Gregorio Magno che si ebbe il primo ordinamento giuridico delle consuetudini romane. Per comprendere i motivi che mossero il pontefice occorre accennare, seppur brevemente, alla situazione storica e alla stessa vita del Santo. Il suo pontificato fu costellato di difficoltà in ragione dell’instabilità della politica bizantina, della minaccia longobarda, masoprattutto per le precarie condizioni in cui versava Roma, colpita prima dalla peste e, in seguito dalla carestia.
Gregorio però, seppur fiaccato dalle continue sofferenze dovute alle malattie, grazie alla ricca tradizione nobiliare familiare, all’esperienza nell’azione politica e al fervore dello spirito per l’educazione benedettina e lo stato di monaco, affrontò mirabilmente le avverse situazioni che insidiavano la Chiesa universale. Mentre per la sua Roma fu soprattutto un Vescovo premuroso, un buon pastore, confidando maggiormente nell’aiuto divino, che nella diplomazia e nel prestigio della Santa Sede.
Dall’azione pastorale adoperata nel governare il popolo di Roma, si possono evincere le sue maggiori preoccupazioni. Innanzitutto tenere viva la fiducia in Dio mediante la valorizzazione dei monumenta romani, che favorirà lo sviluppo delle stazioni liturgiche e relative processioni stazionali; poi incrementare la vita morale del popolo, che lo portò alla riforma della Quaresima e della liturgia riguardante gli scrutini; inoltre, incentivare la catechesi, attuata in modo da poter essere compresa anche dal volgo. In questo modo egli si accorse che non tutta la liturgia, alla quale costantemente chiamava il popolo e dalla quale traeva spunto, favoriva il suo proposito. Per questo, nel 595 iniziò il riordino delle lezioni per la Messa che inevitabilmente portò alla revisione anche del sacramentario e dell’antifonario.
Occorre rilevare come in tutto san Gregorio Magno ebbe il senso della misura, non chiedendo di più di ciò che poteva essere corrisposto ed esigendo che la liturgia, alla quale partecipava il popolo, rispettasse realmente tale parametro. In questa ottica si spiega l’opera di semplificazione dei riti, pur conservando il fasto nelle cerimonie, e l’uso di un linguaggio liturgico semplice, senza indulgere a preoccupazioni di stile letterario, ma neanche ad espressioni che tutto e compendiosamente dicessero del mistero celebrato. In ultima analisi traspare come la riforma liturgica gregoriana sia stata pensata e voluta globalmente e per questo coinvolse il sacramentario (comprendente i testi utili alla celebrazione e la preghiera eucaristica), il lezionario (con le pericopi bibliche ad uso dei lettori) e l’antifonario (con le parti cantate ad uso dei cantori), cioè tutti i testi liturgici.
In questo periodo si hanno tre tipi fondamentali di Messa: 1) la Messa solenne di tutta la comunità ecclesiale sotto la presidenza del Vescovo nella “statio”; 2) la Messa di un presbyter nel titulus assieme ai suoi fedeli; 3) la Messa con un gruppo ristretto.
Vi sono varie descrizioni della Messa solenne stazionale della Chiesa di Roma insieme con il Papa; essa funge da modello per altre forme. Nella celebrazione ognuno adempie il compito che gli spetta, i fedeli partecipano ascoltando i canti della schola e le letture, poi portano le loro oblate e tutti si comunicano sotto le due specie. Intorno al Vescovo si stringono i vescovi vicini, i presbiteri, i diaconi e un folto numero di ministri inferiori: diaconi, suddiaconi, accoliti e gli altri ministri della domus ecclesiæ. Momento centrale e culminante è la prece eucaristica, incomparabilmente grandiosa, che attraverso il suo linguaggio riservato fa si che possa essere vissuta come la celebrazione del memoriale di Cristo, della sua morte, risurrezione e ascensione; compiendo ciò, si offre il sacrificio di Cristo al Padre, l’ostia pura e santa, immacolata, il pane della vita eterna e il calice dell’eterna salvezza. Tutto si compie con grande dignità e magnificenza.
La messa presbiterale, ossia quella celebrata dal presbyter nella sua chiesa titolare, è meno conosciuta in quanto celebrata senza un cerimoniale prescritto. Veniva celebrata da un presbitero, assistito da un diacono o da un ministro-lettore, usando liberamente il sacramentario e il lezionario, cantando con i fedeli ciò che era possibile e cercando di seguire a grandi linee lo svolgimento della Messa del Vescovo. Col passar del tempo, essa finì con l’imitare sempre più la Messa pontificale e vi furono aggiunti il Kyrie e i canti antifonali, l’Agnus Dei, talvolta il Gloria e solo successivamente il Credo. Infine la Messa celebrata con un piccolo gruppo, retaggio della forma primitiva, in quest’epoca, dopo la costruzione delle basiliche, diviene un fatto piuttosto straordinario. L’uso tuttavia esiste ancora per piccoli gruppi radunati per diverse ragioni e per l’esiguo nucleo di persone radunate intorno al Vescovo, nella sua casa, quando non vi sono altri fedeli.
In conclusione, l’impegno di papa Gregorio si volse a raccogliere e riordinare il patrimonio liturgico tradizionale, tentando di abbreviare quelle parti della liturgia divenute ormai eccessivamente lunghe e pesanti ed evitando, così, di imporre al celebrante e al popolo una fatica sproporzionata, che impediva di promuovere una sana religiosità. In una parola, usando la celebre espressione di Giovanni Diacono: Multa subtrahens, pauca convertens, nonnulla vero super adiciens, “Semplificare molto, cambiare poco, aggiungere pochissimo”, (Vita S. Gregorii, lib. 11, c. 17,21). Questo desiderio del pontefice di operare un sano alleggerimento portò anche ad eliminare la preghiera dei fedeli, che rientrerà nella liturgia solo con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II.
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