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12.12.2024

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Guerra persa
31 Gennaio 2014

Guerra persa

 

 

 

 
Non occorrono particolari requisiti per fare i registi cinematografici o gli scrittori. Basta saper leggere e scrivere, il resto sono solo buone idee (in senso commerciale, s’intende). Così, un film come Le crociate e un romanzo come Il Codice Da Vinci fanno letteralmente il giro del mondo, lasciando poi gli storici a dibattere e a sbattersi per chiarire, confutare, distinguere, precisare. Ma ormai il danno è fatto e, anzi, più si dibatte e peggio è.
Sull’importanza della «guerra culturale» penso sia inutile spendere parole, perché chi non ne vede l’urgenza non capisce niente tout court. «Il cinema è l’arma più forte», diceva il Duce. Quanto avesse ragione è dimostrato dalla pena che si sono dati i suoi affossatori per scippargliela, quest’arma.
I maggiori premi di quest’anno sono andati a film che, guarda un po’, segano le famose «radici cristiane» dell’Occidente (il quale, poi, esporta il bene e il male da esso prodotti nell’intero pianeta). Sulla stessa scia si situano i potentissimi mezzi di Hollywood e dell’editoria mondiale. Ora, alle radici delle radici c’è la Chiesa, piaccia o no. Infatti, sia Dan Brown che Ridley Scott lì vanno a parare. Il primo insiste con Angeli e demoni e il secondo ha ribadito quel che già aveva accennato ne Il gladiatore (altro successo planetario), nel quale i cristiani sono letteralmente assenti (anche se Commodo aveva una favorita cristiana e aveva interrotto le persecuzioni del padre Marco Aurelio).Possono un articolo, un convegno, una tavola rotonda costituire una risposta adeguata, non fosse altro che per sciacquare i cervelli intossicati dalla disinformacjia? Assolutamente no. L’unica sarebbe passare al contrattacco con altrettanta potenza.
Piccola parentesi: quel che qui dico riguardo alla Chiesa vale anche per tutti quelli che si riconoscono nelle famose «radici»: neocon, atei devoti, tocquevilliani e antigramsciani semplici. Chi ha orecchie per intendere intenda.
Torniamo a bomba e puntiamo il dito sulla piaga: chi ci mette i quattrini? Sì, perché i mezzi ci sarebbero e le teste anche.
Quel che manca è un progetto. La Chiesa, per restare al nostro esempio, ha, solo in Italia, una potenza mediatica di tutto rispetto: giornali, riviste, libri, radio e televisioni. Certi suoi fogli hanno tirature da capogiro, ma non è certo col Calendario di Frate Indovino che si potrà riconquistare la cultura. Potrebbe, sempre per esempio, finanziare un kolossal come, appunto, Le crociate, ma che le racconti giuste? In teoria, sì, in pratica no. Infatti, grandissima parte del denaro se ne va in missione, solidarietà, accoglienza, lazzaretti eccetera eccetera. Tutte cose lodevolissime, necessarie ed evangelicamente obbligatorie, naturalmente. Ma nulla resta per la guerra culturale, che bisogna rassegnarsi a perdere. Anzi, a non combattere nemmeno. E dire che fior di santi fondatori hanno speso l’esistenza proprio per combatterla: s. Francesco di Sales, don Bosco, i beati Alberione e Pavoni, solo per nominarne alcuni.
Bisogna aspettare che il Padreterno susciti un santo che fondi un ordine religioso di registi? Certo, potrebbe farlo e talvolta qualcosa del genere ha fatto. Solo, chi garantisce che, scomparso il fondatore, l’ordine in questione non si chiuda nella «scelta religiosa» ed eccoci punto e a capo? Niente, senza un progetto (e ben finanziato), ma che non finisca nelle mani dei soliti inconcludenti raccomandati, non se ne esce.
Dunque, deponiamo la penna nel fodero e cerchiamoci una palude al centro della quale erigere un monastero di paglia e fango: così fecero, nell’Alto Medioevo, quando l’Occidente divenne irrecuperabile.
In Italia, tuttavia, si sarebbe ancora in tempo, a patto di prendere coscienza di una cosa fondamentale: la cultura in senso lato (rileggersi, per piacere, il discorso di papa Wojtyla a Loreto). Gli italiani non hanno nulla da invidiare a nessuno in fatto di creatività (perfino quella “con scarsi mezzi”). Per esempio, il primo film a colori italiano uscì nel 1955 e si intitolava Mater Dei: produttore San Paolo Film, regista un prete e nel cast addirittura il beato Alberione.
Dal titolo si comprende di cosa parlasse. Il cinema italiano dell’immediato dopoguerra fu cattolico (ci si mise anche Gedda, quello dei Comitati Civici) e produsse capolavori neorealisti come Cielo sulla palude di Augusto Genina (sceneggiatura di Carlo Alianello) su santa Maria Goretti, ma anche kolossal come Fabiola (dal romanzo di un cardinale).
Per venire ad oggi, l’italiano Carlo Carlei, non a caso semisconosciuto da noi, se n’è andato a Hollywood dove ha firmato film come Demolition Man, con Sylvester Stallone, Sandra Bullock e Wesley Snipes (film ingiustamente sottovalutato, è una spassosa presa in giro del politically correct). Da noi, l’unico regista “non allineato” è Renzo Martinelli, autore di Porzus, Piazza delle Cinque Lune, Vajont ed attualmente impegnato nel kolossal sul beato Marco d’Aviano.
La sua attività dimostra che certi argomenti possono benissimo trovare finanziamento e cassetta finale al botteghino.
E, soprattutto, senza annoiare nel trattare temi epici (cosa ormai introvabile da noi).
Certo, un po’ d’incoraggiamento da parte di chi è storicamente deputato a salvaguardare le famose «radici» non guasterebbe.
Ma mi pare non se ne parli nemmeno. Forse chi di dovere tiene d’occhio le statistiche, che dicono il cattolicesimo in ascesa fuor d’Europa. Tanto vale, allora, trasferire il Vaticano in Africa, così son contenti tutti, anche i detrattori.
Ma non si farebbe altro che tardare con i nodi del pettine, perché i quattrini per la «solidarietà» urbi et orbi vengono dall’Occidente. E per convincere l’Occidente a sborsare bisogna vincere la battaglia che in esso il cattolicesimo combatte. E che è, appunto, culturale.
 
 
 
 
 
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 20 – 21
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