Il Timone n. 11 – anno 2001 –
“Per Eugenio Corti scrivere è una milizia. Scrivere per pronunziarsi, non per nascondersi dietro l’involuzione, per offrire uno scandaglio degli uomini e mostrare necessità e meta. Sono, i suoi, personaggi alla ricerca di una verità sovrannaturale proveniente dall’alto, in contrapposizione di chi esalta ed è schiavo-padrone del potere mondano, totalitario, disumano. In verità, il personaggio unico di Corti è l’uomo positivo con il suo sacrificio, coraggio, pietà che ne fanno l’ostacolo insormontabile dei mostri dell’apocalisse passata e presente, l’uomo antimarxista di Corti rinnova il patto con la vita, ne esalta i valori, scorge in essa il segno integrale della verità”.
(Massimo Caprara, La milizia dello scrittore, in AAW, La Trama del vero. Scritti in onore di Eugenio Corti, a cura di Paola Scaglione, Bellavite Editore, Missaglia (LC) 2000, pp. 13-14).
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“Non possiamo certo dimenticare l’orrore dello sterminio degli ebrei, che non sarà mai esecrato abbastanza. Ma sarà bene ricordare che non è stato il solo: nessuno ricorda il genocidio dei cristiani armeni a cavallo della prima guerra mondiale; nessuno commemora le decine e decine di milioni di cristiani uccisi sotto il regime sovietico; nessuno si avventura a fare il conto delle vittime sacrificate inutilmente nelle varie parti del mondo all’utopia comunista”.
(Cardinale Giacomo Biffi, cit. in Avvenire, 5.3.2000).
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“Prima di iniziare la nostra indagine, occorre essere consapevoli che i racconti evangelici pre-pasquali e quelli post-pasquali (la cronaca, cioè, delle apparizioni del Risorto, sino alla finale dell’ascesa al Cielo) sono un blocco unico. Il quale, narrato com’è dai medesimi testimoni e conservatoci nei medesimi documenti, ha il medesimo grado di attendibilità (o inattendibilità) storica e va vagliato senza instaurare differenze tra le parti. Solo il pregiudizio “filosofico“, solo la negazione previa di ogni possibilità di soprannaturale può guardare ai racconti di risurrezione come fossero tutt’altra cosa rispetto a quelli di passione, morte, sepoltura. Se, dunque, si accetta almeno in parte la storicità di quanto precede la risurrezione, non è lecito rifiutare in modo previo quanto segue. Le due “parti” evangeli-che (la prima e la seconda vita di Gesù) non sono in alcun modo separate”.
(Vittorio Messori, Dicono che è risorto, SEI, Torino 2000, pp. 4-5).
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“Questo libro è anche una lezione per chi, come me, tenta di proteggere a ogni costo la sua sedentarietà, riempita di studi e riflessioni per mettere su carta, nella solitudine e nel silenzio della scrittura, almeno alcune delle ragioni che rendono la fede credibile. È una lezione di cui sono grato, perché alle agudezas dell’apologeta, alle tentazioni intellettualistiche di trasformare la Speranza in un’ideologia, qui si contrappone la fede semplice (ma non semplicistica), quella di chi non è per nulla infantile ma sa farsi come un bambino, nel senso evangelico”.
(Vittorio Messori, Invito alla lettura in Davide Gandini, Il Portico della Gloria. Lourdes, Santiago de Compostela, Finisterre, a piedi, EDB, ristampa, Bologna 2000, p. 4).
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“Riconoscere la grandezza della Chiesa cattolica – la sua autorità divina e la sua testimonianza infallibile – non significa nulla di meno che esaltare l’azione redentiva di Cristo. Al contrario, respingere l’autorità della Chiesa e rifiutarne sdegnosamente la testimonianza – anche quando lo si fa spinti da un malinteso zelo per l’esclusivo onore di Cristo – significa sfidare Cristo e la pienezza della sua grazia e della sua verità. Saul imparò questa lezione nel modo più duro”.
(Scott & Kimberly Hahn, Roma dolce casa. Il nostro viaggio verso il cattolicesimo, Ares, Milano 1998, p. 233).
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“In effetti il secondo modernismo, quello scatenatosi dopo il Concilio Vaticano II, ‘ha posto – sono parole di Jacques Maritain – la Chiesa in ginocchio di fronte al mondo’. Già la Pascendi, al principio del secolo, metteva in guardia da coloro che ‘celati nel seno stesso della Chiesa… si danno senza ritegno di forza per riformatori della Chiesa, e fatta audacemente schiera si gettano su quanto vi è di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando neppure la persona del Redentore divino’. A paragone della deflagrazione modernista seguita al Concilio, quello che preoccupava Pio X era ‘un timido raffreddore da fieno’ (sono ancora parole di Maritain in Le paysan de la Garonne).
(Antonio Socci, La società dell’allegria. Il partito piemontese contro la chiesa di don Bosco, SugarCo, Milano 1989, p. 51).
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“(…) il periodo ‘classico’ delle crociate, i secoli XII-XIII, fu uno dei momenti più felici e positivi della storia del medioevo e dell’Europa: fu il ritorno dell’Occidente all’economia di mercato, il tempo del grande commercio internazionale delle spezie dall’Asia orientale al Mediterraneo; fu il tempo del decollo della società urbana, delle cattedrali, delle università; il tempo nel quale infine, grazie alla mediazione ebraica e musulmana, l’Occidente si riappropriò della grande scienza filosofica e geografica antica cui aggiunse gli apporti dell’astronomia-astrologia, dell’alchimia-chimica, della medicina persiane, indiane e persino cinesi passate attraverso il filtro arabo. Non ha quindi nessun senso sostenere che le crociate hanno allontanato l’Occidente dall’Oriente, per quanto altrettanto insensato sia il rivendicar loro il merito di averli avvicinati”.
(Franco Cardini, La croce, la spada, l’avventura. Introduzione alla Crociata, II Cerchio, Rimini 2000, pp. 93-94).
IL TIMONE N. 11 – ANNO III – Gennaio/Febbraio 2001 – pag. 30