Il Timone n. 32 – anno 2004 –
“La Chiesa favorì la nascita di nuove istituzioni politiche in Europa. Il battesimo di Clodoveo, Re dei Franchi, nella notte di Natale del 496, prefigurò l’incoronazione di Carlo Magno compiuta dal Papa San Leone III il 25 dicembre dell’anno 800. Questa incoronazione può essere considerata l’atto di nascita del Medioevo cristiano, l’epoca nella quale, secondo il Papa Leone XIII, «la filosofia del Vangelo governava gli Stati» (Enciclica Immortale Dei del 1 novembre 1885). La filosofia evangelica si esprime in due principi che costituiranno per molti secoli la spina dorsale della vita politica europea. Il primo afferma che «ogni autorità viene da Dio» (Romani 13,1); il secondo dice di «dare a Cesare quel che appartiene a Cesare e a Dio quel che appartiene a Dio» (Matteo 22,21). La distinzione tra Chiesa e Stato, ossia tra il campo religioso e quello civile, costituisce una della caratteristiche fondamentali della tradizione politica occidentale e deriva da questa massima evangelica”.
(Centro Culturale Lepanto, Le radici cristiane dell’Europa, pp 2-3).
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“(…) per rievangelizzare il nostro popolo, bisogna ripartire dall’annunzio di Cristo, in modo semplice, elementare, esperenziale, molto concreto. Un esempio. Ho scarse esperienze di insegnamento della religione nelle scuole (a volte sono chiamato a parlare agli studenti); ma poiché più del 90% dei giovani frequenta l’ora di religione, viene da chiedersi di cosa parlano gli insegnanti. Da quel che sento, in genere i temi delle lezioni sono più sociologici che religiosi, più culturali che catechetici, più politici che ecclesiali in senso stretto, più problematici che capaci di dare le notizie certe della fede. È vero che non si può insegnare il catechismo come
tale, ma se è «ora di religione cattolica» con insegnanti approvati dal vescovo, non dovrebbe trasmettere le verità della fede, sia pure incarnate nei problemi dell’uomo d’oggi? Il discorso è lungo e complesso, ma come idea di fondo può essere quella giusta: discorsi semplici; dare certezze più che aumentare gli interrogativi; raccontare testimonianze più che fare ragionamenti; comunicare l’entusiasmo della fede che è un dono di Dio”.
(Piero Gheddo, in Mondo e Missione, dicembre 2003, p. 81).
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“E c’è anche, a mio parere, un aspetto quasi sempre dimenticato (oppure frainteso, equivocato) quando si parla del Sessantotto.
E cioè la secolarizzazione selvaggia, l’immane crisi di fede collettiva di quegli anni. Fu per quella crisi, penso, che le istanze più genuine e sincere dei giovani si indirizzarono verso la pretesa della costruzione di una sorta di paradiso terrestre; e fu anche e soprattutto per quella crisi che il disagio e la protesta degenerarono come degenerarono. Per questo, come epigrafe del libro, ho voluto la frase di quel famoso teologo protestante (morto, fra l’altro, proprio nel 1968) il quale volle ammonire che «quando il cielo si vuota di Dio, la terra si popola di idoli»”.
(Michele Brambilla, Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantotto, Rizzoli, Milano 1994, p. 9).
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“Gibson, cattolico amante della Tradizione, è coriaceo assertore della dottrina ribadita al Concilio di Trento: la Messa è anche pasto fraterno ma è innanzitutto sacrificio di Gesù, rinnovazione incruenta della Passione. Questo è ciò che importa, non è il “capire le parole”, come vogliono i nuovi liturgisti di cui Mel sbeffeggia la superficialità che gli appare blasfema. Il valore redentivo degli atti e dei gesti che hanno il vertice sul Calvario non ha bisogno di espressioni che chiunque possa capire. Questo film, per il suo autore, è una Messa: che, dunque, sia in una lingua oscura, com’è stata per tanti secoli. Se la mente non comprenderà, tanto meglio, ciò che conta è che il cuore capisca che tutto quel che è avvenuto ci redime dal peccato e ci apre le porte della salvezza”.
(Vittorio Messori, Il film di Gibson. Una Passione di violenza e di amore, in Corriere della Sera, 14 febbraio 2004).
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“Tu, mio angelo custode, tu resti quaggiù: / la tua preghiera aprirà il cielo davanti ai miei passi. / Tu resti alcuni giorni per guidare sulla via / la bimba, la tenera bimba che causava la nostra gioia. / Fa’ che ella pensi a me, donale le tue virtù. / Noi ci ritroveremo al luogo dove ci si ama. / E noi ci scambieremo sotto lo sguardo di Dio stesso, / il lungo abbraccio che non finirà più”.
(Federico di Ozanam, fondatore della Società di S. Vincenzo de’ Paoli, poesia alla moglie, poco tempo prima di morire, in Paolo Risso, Un giovane di nome Federico, p. 87).
IL TIMONE – N. 32 – ANNO VI – Aprile 2004 – pag. 34