«Di tutti i misteri, l’eucaristia nutrendo l’uomo lo assimila a Cristo: è l’origine dell’implicazione della persona, proprio come il Signore ha detto: “chi mangia di me vivrà anch’egli per me” (Gv 6,57). Cirillo di Gersalemme afferma che l’uomo diventa “un solo corpo (syssomos) e un solo sangue (synaimos) con lui”. Crisostomo ascolta Cristo che gli dice: “mi lascio mangiare da te e mi lascio sminuzzare in piccole parti, affinché la nostra unione e mescolanza siano veramente perfette. Infatti, mentre gli esseri che si uniscono conservano ben distinta la loro individualità, io invece costituisco un tutt’uno con te. Del resto non voglio che qualcosa si frapponga tra noi; questo solo io voglio: essere entrambi una cosa sola”. In tal modo il nostro corpo e il nostro spirito divengono dimora di Dio Trinità».
(Nicola Bux, Il Signore dei misteri. Eucaristia e relativismo, p. 236).
«La natura “non fa salti”: esiste solo un processo fisiologico che l’annidamento e il parto non interrompono. Tra l’embrione (unicellulare prima, e pluricellulare poi), il feto maturo e il neonato non c’è altra differenza che questa: che l’embrione si muove dalle tube verso l’utero per annidarsi; il feto è dentro l’utero; mentre il neonato ne è uscito e ha cominciato a respirare e nutrirsi autonomamente.
Sostenere il contrario significa affermare che la natura di un uomo muta quando egli esce di casa o cambia tipo di alimentazione.
Non c’è alcuna differenza ontologica tra un concepito che si trova in provetta o nell’utero materno e attende di nascere, e un nato.
La soluzione adeguata parte dal riconoscimento che tutti costoro sono esseri umani e, quindi, soggetti di diritti».
(Giorgio Maria Carbone, L’embrione umano: qualcosa o qualcuno?, pp. 40-41).
«Per l’uomo medievale le crociate erano un atto di pietà, carità e amore, ma anche un mezzo per difendere il suo mondo, il suo stile di vita e la sua cultura. (…) Per noi moderni è facile biasimarle per la loro malvagità, il loro cinismo e la loro dubbia moralità. Questi giudizi, però, rivelano più l’atteggiamento dell’osservatore che dell’osservato. Si fondano su criteri prettamente moderni, e quindi occidentali. Se, sicuri dei nostri valori, siamo pronti a condannare i crociati medievali, dovremmo ricordare che loro sarebbero altrettanto solleciti a condannare noi. Le nostre guerre infinitamente più distruttive, combattute per motivi sociali, politici e ideologici, gli apparirebbero un deplorevole spreco di vite umane. In entrambe le società, quella medievale e quella attuale, la gente combatte per quello che più le sta a cuore. Questo è un atto della natura umana che non è modificabile».
(Thomas F. Madden, Le crociate. Una storia nuova, p. 321).
«Per (San) Paolo l’ateismo, o anche l’agnosticismo vissuto come ateismo, non è affatto una posizione innocente. Esso proviene sempre, secondo lui, dal rifiuto di una conoscenza che, per sé, è offerta all’uomo, ma di cui quest’ultimo rifiuta di accettare le condizione.
L’uomo non è condannato a restare nell’incertezza di fronte a Dio. Egli può “vederlo”, se presta ascolto alla voce del suo Essere, alla voce della sua creazione e si lascia condurre da essa. Paolo non conosce il caso di un ateo puramente idealista».
(Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi della culture, p. 119).
TIMONE – N. 45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 34
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