Il Timone n. 53 – anno 2006 –
«… negli anni postconciliari era di moda paragonare la Chiesa a un cantiere, in cui si facevano demolizioni e nuove costruzioni o ricostruzioni. Molto spesso, nelle prediche, l’ordine di Dio ad Abramo nella Genesi “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Gen 12,1) era interpretato come una esortazione alla Chiesa ad abbandonare il suo passato e la sua Tradizione. Si parlava con entusiasmo di partenza della nave di Pietro e del suo viaggio verso nuove sponde. Si predicava la partenza in direzione dell’ignoto, del lontano, del nuovo – e la parola “tradizione” era diventata un insulto. Al contrario, bisogna ribadire con forza che un’interpretazione del Concilio Vaticano II in contraddizione con la Tradizione contrasterebbe con l’essenza della fede, della Chiesa e del concilio cattolici. La Tradizione, non lo spirito del tempo, è l’elemento costitutivo dell’orizzonte interpretativo».
(Monsignor Walter Brandumüller, Il Concilio e i Concili. Il Vaticano II alla luce della Storia dei Concili, in Cristianità, anno XXXIII, n. 332, nov-dic 2005, p. 10).
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«Si dice che non si può parlare della verità, se non si è coerenti. Come dire che la forza della verità si fonda sulla coerenza con cui io la vivo.
Io preferisco affermare una Verità che mi trascende e mi giudica: le chiedo di rendere la mia vita meno incoerente, di aiutarmi ad essere testimone di una verità che salva. Se parlassero solo quelli che si credono coerenti, ci sarebbe un silenzio assordante, rotto soltanto dagli scribi, dai farisei e dagli imbecilli. Alla fine che cos’è la pace? Un progetto di rigore calvinistico, da imporre con violenza a quelli che non lo condividono o l’evento della Grazia di Cristo? Aveva ragione il grande Del Noce quando diceva di temere di più i cattocomunismi che gli stalinisti. Il calvinismo rende l’odio più odio e la violenza più violenza. Dal mondo scompare la carità, che come insegna Benedetto XVI è la natura stessa di Dio e la forza di Dio che agisce nel mondo».
(S.E. Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefetro, in Tempi, n. 13, 23/03/06).
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«La Mariologia nella storia dei primi secoli, in realtà, è determinante ai fini della giusta comprensione di fede del mistero di Cristo in quanto Dio Incarnato, in quanto Verbo fatto uomo, in quanto Figlio di Dio reso figlio dell’uomo, nascendo da una madre vergine, secondo la celebre profezia di Isaia 7,14, realizzatasi nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4). La storia e la missione di Maria Santissima, infatti, erano la garanzia unica e più sicura della realtà dell’Incarnazione redentiva del Verbo di Dio. Per questo la prima Chiesa guardava e si attaccava alla Divina Madre, perché era lei la persona geneticamente legata a Cristo suo Figlio: la sua maternità, quindi, garantiva fin dal suo germinare l’umanità di Cristo; la sua verginità nella concezione e nel parto la divinità di Cristo.
Maria Santissima di Nazareth era perciò la cerniera, il tratto di unione fra il verbo e l’umanità».
(P. Stefano M. Mannelli, La Mariologia nella storia della salvezza, in Immaculata Mediatrix, anno II, n. 2, 2002, p. 140).
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«Il fronte abortista e quello antiaborista tendono a convergere sulla seguente valutazione di fondo: l’importante non è impedire l’aborto ma solo la sua banalizzazione; l’importante è garantire che l’aborto non sia imposto da condizioni o convenzioni sociali, ma sia “liberamente scelto” dalla madre, assicurandole l’alternativa di tenersi il figlio. Anche qui vediamo che la posizione antiaborista va avvicinandosi a quella abortista, che si sintetizza nel celebre slogan anglosassone della “libera scelta”. Questo scivolamento del fronte antiabortista verso questo paradossale “minimalismo massimale” è favorito, prima che da scelte politiche o tattiche, da una mentalità diffusa da tempo anche nel mondo cattolico, secondo cui non è necessario (anzi, non si deve) agire “contro l’aborto”, ma solo “per la vita”; non è umano (anzi, non è giusto) impedire alle madri di abortire, ma si deve solo fornire ad esse un’alternativa che assicuri la “libera scelta”; di conseguenza, non è opportuno (anzi, non è “democratico”) abolire una iniqua legge dello Stato, ma si può solo cercare di “applicarla integralmente” nei suoi aspetti positivi o meno negativi».
(Massimo VIglione, Ritorna la questione dell’aborto: ma quanto mutata, in Radici Cristiane, n. 12, feb/mar 2006, p. 59).
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«Il peccato originale ha sconquassato tutto nell’uomo e in ogni uomo: non solo ha introdotto le malattie e la morte, ma anche ha privato l’uomo della vita divina e perciò ha offuscato la sua mente, ha indebolit la sua volontà e ha guastato i suoi sentimenti. Di conseguenza il peccato originale ha squilibrato i rapporti dell’uomo con Dio (si pensi all’indifferenza, all’ingratitudine, all’ateismo, alla bestemmia), ha squilibrato i rapporti dell’uomo col prossimo (si pensi alla violenza, alle calunnie, alle ingiustizie, ai furti, agli adultèri, agli omicidi… aborti compresi!) e ha squilibrato i rapporti dell’uomo con se stesso (l’anima stenta a tenere nelle sue mani le redini del comando, poiché il corpo fa sentire con prepotenza tutto il peso delle sue passioni)».
(Don Enzo Boninsegna, Il pudore, in Presenza divina, anno XII, n. 148, nov. 2005, p. 13).
IL TIMONE – N. 53 – ANNO VIII – Maggio 2006 – pag. 34