Il Timone n. 57 – anno 2006 –
«Gli chiedo [al vescovo indiano John Thattumkal] quale sia la grande sfida della Chiesa cattolica in India. Mi risponde che la missione rimane sempre la stessa, quella di portare Gesù Cristo e il suo messaggio al prossimo, cercando però di inculturarlo al massimo grado possibile. Non bisogna, cioè, far sentire il cattolicesimo come una religione straniera e importata. Gesù deve far parte della vita, come da noi. Sarei tentata di rispondergli che da noi, purtroppo, Gesù non fa assolutamente più parte della vita, almeno della maggioranza, ma decido di tacere. “Il cattolicesimo” continua il vescovo “non deve essere vissuto come un colonialismo religioso”».
(Alessandra Borghese, Ritorno in India. Diario di viaggio, p. 116).
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«San Francesco viene oggi non di rado presentato come apostolo della “non violenza”, promotore del disarmo e patrono della “obiezione di coscienza”. Ma egli non condannò mai la guerra di per sé. Anzi, la sua spiritualità fu apertamente di stampo militare e cavalleresco. Egli infatti si presentava come un “soldato di Cristo”, intendendo così realizzare quel sogno premonitore in cui Dio gli aveva mostrato una sala piena di armi pronte per la battaglia. Più tardi, contemplando il suo Ordine radunato nel primo capitolo generale, il santo lo descrisse come “l’esercito dei cavalieri di Dio”, e soleva chiamare i suoi compagni più fedeli “i miei cavalieri della Tavola Rotonda”. Neanche il divieto di portare armi, stabilito nel 1228 dalla Regola del terz’Ordine francescano, aveva finalità pacifiste. Esso stabiliva solo: “I fratelli non portino con sé armi offensive, se non per difesa della Romana Chiesa, della fede cristiana, o anche della loro terra, o con permesso dei loro ministri”».
(Guido Vignelli, in Rino Cammilleri [a cura di], Piccolo manuale di apologetica 2, pp. 92-93).
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«Le reazioni al “Sangue dei vinti” e allo “Sconosciuto” mi hanno indotto a riflettere sul modo nel quale, per sessant’anni, abbiamo narrato la guerra civile del 1943-1945. E la riflessione mi ha suggerito l’immagine che dà il titolo a questo libro: “La Grande Bugia”. Prevedo che molti si irriteranno, ma di loro non mi curo. Mi preme di più accennare a come si forma una Grande Bugia. Nasce da un insieme di reticenze, di omissioni, di piccole menzogne ripetute mille volte, di distorsioni della verità. Tutte giustificate dal pregiudizio autoritario che la storia di una guerra la possano raccontare soltanto i vincitori. Anzi, uno solo dei vincitori. Mentre i vinti debbono continuare a tacere. In questo libro ho cercato di descrivere alcuni dei guasti causati dalla Grande Bugia».
(Giampaolo Pansa, La Grande Bugia. La sinistra italiana e il sangue dei vinti, p. X).
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«(…) se la libertà di religione viene considerata come espressione della incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo di convincimento».
(Benedetto XVI, Il Concilio Vaticano II quarant’anni dopo, p. 19).
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«Il 13 gennaio del 1967 i funzionari comunisti annunciarono i “Sei regolamenti di Pubblica Sicurezza”. Vennero punite circa 10.000 persone solo in base alle disposizioni contenute nel regolamento numero 2, che bollava come attivista controrivoluzionario chiunque attaccasse Mao o Lin Biao. Nel 1970, mentre mi trovavo nella miniera di carbone della contea di Huoxian, ho avuto modo di assistere all’esecuzione di un prigioniero sottoposto al regime della destinazione professionale obbligatoria, Yang Baoyin, che fu sommariamente giustiziato per aver scritto le parole “Rovesciate il presidente Mao”. Il suo cervello venne mangiato da un funzionario di pubblica Sicurezza».
(Hongda Harry Wu, Laogai. I gulag di Mao Zedong, p. 39).
IL TIMONE – N. 57 – ANNO VIII – Novembre 2006 – pag. 34