Il Timone n. 97 – anno 2010 –
«L’esperienza cristiana insegna che le opere cresciute nella Chiesa in ogni luogo e in ogni tempo, gli Istituti ovunque dilatati e moltiplicati, debbono la loro vitalità al fatto di poggiare stabilmente sull’amore alla Vergine e sul fiducioso, soprannaturale abbandono nelle Sue braccia materne. Questa esperienza induce perciò chi lavora nella mistica vigna del Signore ad avere una fiducia illimitata nella protezione della Madre di Dio. Questa fiducia è amore grande per Lei, onnipotente per grazia; presuppone la consapevolezza della nostra propria incapacità, inerente alla condizione di misere creature quali noi siamo». (Roberto Ronca, Lavorare e sacrificarsi per la gloria di Maria, p. 22).
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«Per Liturgia si intende quell’atteggiamento di adorazione, di stupore, di lode, di sottomissione, di obbedienza, di consegna di sé, di amore e di abbandono fidente, che sale dal cuore dell’uomo verso Dio e che coinvolge globalmente tutte le facoltà spirituali e le scelte esistenziali, traducendosi anche nella concretezza di una vita coerente. La Liturgia è l’accettazione di Dio e della sua maestà nella nostra vita, che si esprime nell’adorazione contemplativa e nell’obbedienza operativa. È questa la base primaria e interiore della Liturgia, che poi si pronuncia necessariamente nelle forme rituali esteriori stabilite da Dio e dalla sua Chiesa. Tale Liturgia è l’anima che innerva ogni forma corporea, successivamente e variamente assunta dal culto, secondo le esigenze della natura umana».
Don Enrico Finotti, La centralità della Liturgia nella storia della salvezza. Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo, pp. 10-11).
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«Chiediti che senso ha una vita dove la verità e la giustizia non hanno garanzie di vittoria. Chiediti che cosa sarebbe la storia umana se una spada affilata non tagliasse la testa ai serpenti che l’hanno avvelenata. Chiediti se il dissolvimento nel nulla sarebbe l’ultima parola sulle vittime dei lager e sui loro brutali carnefici. La ragione e il cuore dell’uomo si ribellano a una simile prospettiva. Tuttavia sono costretti a piegare la testa, perché dinanzi al dilagare della menzogna e dell’ingiustizia gli uomini possono far poco. Non c’è giustizia su questa terra, è inutile nasconderselo. Quella umana è parziale e ambigua e non di rado aumenta le ingiustizie. L’uomo più giusto che mai sia esistito non è forse stato solennemente condannato a un patibolo di infamia? Nessuno ha mai saputo dare una risposta al bisogno umano di giustizia e di verità. Solo Gesù lo ha fatto e ha dato una soluzione che lascia stupefatti. Sarà Lui infatti che, al termine della vita, chiamerà in giudizio ogni uomo e lo giudicherà sul bene e sul male che avrà compiuto ».
(Padre Livio Fanzaga, Credo in Gesù Cristo, p. 42).
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«In un mondo in cui si esalta la bruttezza, la violenza, l’occultismo, in cui si esalta il materialismo o il suo contrario: l’irrazionalità. In un mondo in cui si esalta il satanismo, la magia, la stregoneria… In questo mondo che vuol prendere le redini e guidarsi da solo e che sta andando alla deriva; in questo mondo che, come ci dice l’evangelista Giovanni, giace sotto il potere del maligno; in questo mondo, non ci rimane che affondare il nostro sguardo in un altro mondo, in un’altra realtà che è di una bellezza straordinaria. Lo sguardo della vergine Maria. È Lei e solo Lei che in questo momento può rialzarci dalla bruttezza in cui siamo caduti».
(Annalisa Colzi, “Spiritismo, New Age, maghi, Sai Baba…”, p. 213).
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«La negazione del peccato originale comporta che il cristianesimo sia solo utile ma non indispensabile. La modernità è nata dal rifiuto del peccato originale e quindi essa ritiene che il cristianesimo sia al massimo utile ma non indispensabile. Alla domanda se la natura umana sia autosufficiente, la modernità risponde di sì. Alla domanda se la ragione sia pienamente ragione anche senza la fede, la modernità ha risposto di sì, tanto è vero che ha prodotto numerose filosofie che hanno previsto come necessaria l’estinzione della religione. Il razionalismo moderno comporta l’autosufficienza della ragione. Per questo motivo la sopranatura e la fede sono considerate superflue, solo un’aggiunta ad un quadro completo in sé, un “di più” non necessario, possono essere forse di qualche utilità ma non necessarie».
(Stefano Fontana, Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, p. 111).
IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 34