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6.12.2024

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Hanno scritto… hanno detto…
31 Gennaio 2014

Hanno scritto… hanno detto…

 

Il Timone n. 98 – anno 2010 –


 

«Che cosa vogliono fare i comunisti una volta liberata l’Italia dai tedeschi e dai fascisti? La risposta è talmente ovvia da sembrare banale: vogliono conquistare il potere con le armi e fare del nostro paese uno Stato satellite dell’Unione sovietica. Non occorre essere docenti di Storia contemporanea per sapere che questa è la verità. Eppure le tante sinistre italiane, tutte figlie o nipoti del vecchio Pci, ancora nel 2010 continuano a negare l’evidenza. Lo fanno con la testardaggine angosciata di certe famiglie che cercano di nascondere la presenza di un figlio nato e cresciuto male. E del quale è meglio non parlare. Nel loro rifiuto anche del più timido revisionismo, seguitano a condurre una inutile battaglia di retroguardia, da poveri giapponesi isolati in una giungla che non esiste e che soltanto loro vedono. Fanno pena le sinistre con la retromarcia perennemente innestata». (Gianpaolo Pansa, I vinti non dimenticano. I crimini ignorati della nostra guerra civile, p. 20).
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«Ferrini è stato un grande intellettuale cattolico di altissimo livello nel campo giuridico […] fedelissimo al Magistero, innamorato della Chiesa e dell’Italia nonostante la ferita del Risorgimento. Ha vissuto come un santo la vita ordinaria, senza gesti fuori dal comune, ma imitando la vita nascosta dei primi trent’anni del Signore Gesù e impostando la sua giornata sull’Eucarestia, che riceveva tutti i giorni durante la celebrazione del santo sacrificio. Laico, come il beato Tovini e il venerabile Toniolo anche se non “cattolico intransigente” come loro, eppure disponibile all’impegno politico che lo vide a Milano fra i “cattolici conservatori” nel consiglio comunale ambrosiano. Sarà possibile ricordarlo a Palazzo Marino, dove sedette e dove intervenne diverse volte? Sarà possibile parlarne alle centinaia di migliaia di giovani che passano ignorandolo davanti alla sua statua nei chiostri e al suo corpo sepolto nella cripta dell’Università Cattolica?». (Marco Invernizzi, Il beato Contardo Ferrini. Il rigore della ricerca, il coraggio della fede (1859-1902), p. 12).

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«Spesso a Madre Teresa rimproveravano di non aiutare le persone “ad aiutarsi da sé”. Per usare una metafora, le si diceva che dava alle persone un pesce invece di mettere loro in mano la canna e insegnare loro a pescare. Madre Teresa rispondeva così: “I miei poveri sono troppo deboli per tenere in mano una canna”. E aggiungeva ammiccando: “Ma se saranno guariti e se saranno abbastanza forti da poterlo fare, allora i nostri critici possono insegnare loro stessi ai poveri a pescare”. Una volta che stavamo parlando del fatto se fosse giusto prestare aiuto senza contropartita, Madre Teresa mi confidò: molti dicono: “Madre Teresa, lei vizia i poveri perché dà tutto gratuitamente”. In realtà, nessuno ci vizia tanto come Dio. Guardi, lei ha buoni occhi ed è in grado di leggere senza difficoltà. Che cosa succederebbe se Dio pretendesse del denaro da lei per averle dato gli occhi?». (Leo Maasburg, Madre Teresa. Istantanee di una vita, p. 54).

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«Al giorno d’oggi, la nostra è la più razionale di tutte le religioni e addirittura, in un certo senso, anche la più razionalistica. Coloro che parlandone la definiscono puramente o principalmente emotiva non sanno semplicemente di che cosa stanno parlando. Sono tutte le altre, tutte le religioni moderne a essere soltanto emotive, e ciò è vero tanto se detto dello spirito emotivo salvazionista dei primi protestanti quanto dell’altrettanto intuizionismo emotivo degli ultimi modernisti. Restiamo solo noi ad accogliere l’azione della ragione e della volontà senza alcuna necessità di assistenza da parte delle emozioni. Il cattolico convinto è facilmente l’uomo più concreto e logico oggi esistente sulla faccia della terra». (G. K. Chesterton, La mia fede, pp. 236-237).

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«Non si correrà mai il rischio di insistere troppo sull’importanza della liturgia, in virtù del noto assioma lex orandi, lex credendi e quindi lex vivendi. Infatti, in una certa misura il modo in cui preghiamo influenza quello in cui crediamo, cosa che a sua volta influenza anche il nostro modo di comportarci. (…) In altre parole, la nostra vita morale dipende anche dalla liturgia e di conseguenza, ricordava Monsignor Ranjith, “nella liturgia dovremmo sperimentare la vicinanza di Dio al nostro cuore in modo così intenso da cominciare a nostra volta a credere con fervore e sentirci indotti ad agire giustamente”». (Alberto Carosa, L’opposizione al Motu Proprio Summorum Pontificum, p. 12).

 

 


IL TIMONE N. 98 – ANNO XII – Dicembre 2010 – pag. 34

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