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15.12.2024

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Hanno scritto… hanno detto…
31 Gennaio 2014

Hanno scritto… hanno detto…

Il Timone n. 108 – anno 2011 –

«Nonostante la sua fede nel cieco caso, nascosta con espressioni come “evoluzione del più adatto” o “accumulazione di mutazioni”, quando un materialista pubblica il proprio libro, vendendolo poi in libreria, penserà invariabilmente che ci sia arrivato perché c’è qualcuno che l’ha stampato, assemblato, consegnato. Non crederà che da una tipografia siano uscite, perse insieme a tante altre, le sue pagine, e che poi siano arrivate, senza che nessuno lo abbia deciso, su uno qualsiasi dei tanti furgoni che percorrono le autostrade, fino al negozio, e per giunta rilegate. No: penserà che ci sia di mezzo una casa editrice intenzionata a far assemblare il libro e a venderlo. Lo stesso varrà ai suoi occhi per qualsiasi libro gli capiti di vedere. Anche se ne trovasse uno gettato in mezzo alla strada: non crederà che solo le copie del suo libro siano state fatte da esseri umani, ma, vedendo un libro qualsiasi, darà per scontata la stessa conclusione».
(Pierfrancesco De Feo – Saul Finucci, Dio esiste? Suggerimenti e riflessioni per liberarsi dell’ateismo, p. 29).

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«Il vero problema è la crisi di fede nel popolo cristiano e l’orientamento secondo me errato dell’animazione e della stampa missionaria. C’è bisogno che i missionari riacquistino la loro vera identità, devono essere conosciuti come testimoni appassionati del Vangelo fra i non cristiani. La Chiesa, la scuola, le famiglie devono ritornare a parlare della bellezza dell’annuncio cristiano, specie ora quando Benedetto XVI ha lanciato la campagna per la “Nuova evangelizzazione” dei popoli cristiani. (…) Oggi costa rinunciare al benessere della nostra società, ma chi accoglie con generosità la chiamata di Dio alle missioni sappia che è bello fare il missionario. Se ti dai tutto a Cristo, lui ti rende, già in questa vita, “il cento per uno e poi la vita eterna”. I giovani sono sempre animati da grandi aspirazioni e ideali. Il problema è che noi missionari non gli presentiamo più la bellezza e la felicità della vita missionaria ». (Piero Gheddo, intervistato da Antonio Giuliano, La Bussola Quotidiana, 26/10/2011).

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«Tutti coloro che sono guidati da buon senso e razionalità teologica dovrebbero concordare sul fatto che la precedente forma liturgica deve essere rispettata e costituisce un costante punto di riferimento non solo per approfondite considerazioni di carattere storico ma anche come termine di confronto per possibili apporti migliorativi al nuovo rito. Questa ricerca deve essere incoraggiata soprattutto nelle nuove generazioni le quali non serbano alcun ricordo della forma precedente e non possono quindi dedurre alcunché di vivo e sperimentato. Sarebbe, quindi, veramente patologico per un liturgista e teologo voler rapportarsi al rito precedente con sufficienza e ironia. Ciò non sarebbe indice di fede e pietà autentica e ancor meno di considerazione per il popolo dei fedeli. Le cose di Dio devono essere sempre trattate con circospezione, rispetto e venerazione».
(Enrico Finotti, La liturgia romana nella sua continuità, pp. 11-12).

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«Senza Dio, senza la vittoria del Signore Gesù, certamente la morte avrebbe trionfato, sarebbe stato l’annullamento di tutto. Ed è proprio questo lo stato di disperazione esistenziale con cui si trovano ad aver a che fare tutti coloro che, come dice san Paolo, vaneggiano nei loro ragionamenti (Rm 1,21) pensando che i cristiani credano alle favole, mentre essi trovano forse più logico e più plausibile credere che siano un banale frutto della casualità, di un assurdo bigbang senza nessun ordine prestabilito, o una mera evoluzione di una scimmia. Tolto infatti Dio dall’orizzonte della nostra esistenza, non considerato più il soffio divino che ci abita, non resta che pensare l’assurdità di una condizione di vita destinata inesorabilmente all’annientamento finale della morte, un finale davvero deludente per una vita così bella e promettente».
(Padre Rocco Camillò, Cose dell’Altro mondo. I Novissimi e dintorni, pp. 16-17).

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«Creati da Dio come uomo e donna, mostriamo costitutivamente in noi il segno della nostra incompiutezza, del nostro essere destinati ad altri. Non c’è bene nella solitudine, c’è bene solo nella comunione. In questo nostro desiderio di socialità c’è l’impronta della Trinità. Il “Noi” divino costituisce il modello del “noi” umano. Non solo dunque la nostra intelligenza, libertà e spiritualità sono il segno del nostro essere immagine e somiglianza di Dio, ma anche proprio il nostro essere uomo, essere donna, il nostro essere bisognosi di altri».
(Massimo Camisasca, Amare ancora. Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani, pp. 23-24).

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«La Chiesa nel corso dei tempi esplicita, approfondisce, conosce sempre meglio e spiega al popolo di Dio i contenuti della Tradizione e della Scrittura secondo quei modi e quelle forme espressive che sono adatti a che il popolo di Dio colga esattamente i contenuti della verità divinamente rivelata. Come è avvenuto nel giorno di Pentecoste, la Chiesa esprime la medesima Parola di Dio in tutte le lingue della terra. L’esposizione letteraria e dogmatica della Tradizione, quindi, si evolve e progredisce non nel senso che la Chiesa acquisisce nuove nozioni che Cristo non le ha già insegnato, ma in quanto essa nel corso dei tempi conosce sempre meglio ciò che essa ha acquisito sin dall’inizio con la morte dell’ultimo degli Apostoli. Non è la dottrina che muta ma sono gli uomini che sviluppano il loro sapere della medesima dottrina».
(Giovanni Cavalcoli, Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio, pp. 79-80).


IL TIMONE N. 108 – ANNO XIII – Dicembre 2011 – pag. 34

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