Il Timone n. 118 – anno 2012 –
«È proprio vero che Dio non vuole perdere nessuno dei suoi figli e a volte per recuperarli permette la malattia! Perché la nostra libertà si muova a riconoscerlo come Dio e Signore, normalmente usa due metodi: la bellezza della compagnia cristiana oppure il dolore. L’amicizia cristiana è ciò che apre gli occhi della ragione e ci fa commuovere davanti alla bellezza del Mistero che si fa carne in Cristo e risplende nel Mistero quotidiano della Chiesa, suo Corpo Mistico. Questo è il metodo che usa solitamente Dio con i suoi figli perché riconoscano in Lui il senso, la ragione della loro vita. Purtroppo, per gli stolti e gli orgogliosi (la maggioranza di noi), Dio è costretto a usare un altro metodo, molto scomodo: l’esperienza del dolore. Ma non dimentichiamo che neanche in questo caso la conversione è automatica. Quanti, davanti a certe malattie, vivono una suprema ribellione fino a togliersi la vita!».
(Aldo Trento, Cronache di “santi” dal Paraguay, p. 18).
«Per uno di quei celesti paradossi che ne testimoniano l’origine divina, la religione cattolica insegna che le anime altrui si guariscono curando se stessi. Non si tratta solo di dare il buon esempio, come potrebbe prescrivere qualche sapienza, pur nobile, ma solo umana. E neppure della necessità di essere migliori di coloro a cui ci si rivolge per rendere più efficace il monito, come prescriverebbe un pur efficace buon senso. Il cattolicesimo, proprio perché non è un’invenzione umana, chiede molto di più: per convertire un mondo che non adora esige persone che adorano, per parlare a un mondo che non si umilia vuole persone che si umiliano, per correggere un mondo impenitente servono persone che facciano penitenza, per parlare a un mondo che non obbedisce servono persone che obbediscono, per attirare un mondo che rifiuta il sacrificio servono persone che soffrono».
(Gnocchi & Palmaro, Ci salveranno le vecchie zie. Una certa idea della Tradizione, p. 24).
«La sacra liturgia, che il Concilio Vaticano II qualifica come l’azione sacerdotale di Cristo, e quindi la fonte e il culmine della vita ecclesiale, non può mai ridursi a una semplice realtà estetica, né può essere considerata come uno strumento a fini meramente pedagogici o ecumenici. La celebrazione dei santi misteri è soprattutto azione di lode rivolta alla maestà suprema di Dio uno e trino, azione voluta da Dio stesso. Con essa l’uomo, personalmente o comunitariamente, si presenta davanti al Signore per rendergli grazie, cosciente del fatto che il suo stesso essere non può raggiungere la propria pienezza se non lo loda e non compie la sua volontà, nella costante ricerca del regno che è già presente e tuttavia verrà definitivamente nel giorno della parusia del Signore Gesù».
(J. J. Silvestre, in Mauro Gagliardi ed., Il sacerdote nella Celebrazione Eucaristica. Forma ordinaria e straordinaria del Rito Romano, p. 32).
Questo è il cambiamento epocale tra Medioevo e Rinascimento: non tanto l’introduzione della centralità dell’uomo, fatto già pienamente riconosciuto nel Medioevo cristiano, quanto la scomparsa della pertinenza di Dio con le vicende umane. L’uomo medioevale concepisce ciò che accade in rapporto con la dimensione ultraterrena, con il Mistero, con l’Infinito, in una prospettiva escatologica. Se pecca, ha coscienza, così, di aver peccato. La coscienza del peccato può esistere solo in una civiltà che coglie e percepisce la presenza del Mistero. L’uomo medioevale non è meno peccatore dell’uomo delle altre epoche, ma ha più chiara la consapevolezza di esserlo e di aspettare la propria salvezza da un Altro. Quest’Altro è quel Dio che si è incarnato e a cui noi siamo guidati attraverso la compagnia della Chiesa, che risollecita e mantiene sempre sveglia la nostra domanda religiosa».
(Giovanni Fighera, «Che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi?», L’io, la crisi, la speranza, p. 123).
«La storia rimane innanzitutto la storia sacra, quella delle grandi opere di Dio, compiute attraverso la predicazione e i sacramenti. Ivi si elabora la storia nella sua sostanza più reale e più nascosta. Il resto, le cristianità successive attraverso le quali si costituisce l’Ecclesia una, non ne rappresenta che il rivestimento esteriore. Né il progresso della Chiesa è il risultato dell’azione esercitata su di esso dal progresso scientifico o sociale, né l’azione della Chiesa è innanzitutto quella di umanizzare la civiltà, di rendere più morali gli svaghi e più giusti i salari. Questo è un effetto conseguente e importante, ma non l’essenziale. Solo liberando prima di tutto le anime dalla prigionia spirituale, la Chiesa le libera anche dalla cattività economica ».
(Jean Daniélou, Saggio sul mistero della storia, p. 26).
IL TIMONE N. 118 – ANNO XIV – Dicembre 2012 – pag. 34
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