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15.12.2024

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Hanno scritto… hanno detto…
3 Maggio 2014

Hanno scritto… hanno detto…

 
 
Il Timone n. 132 – anno 2014 –
 
 
«Preconciliare, tridentino, tradizionalista e, naturalmente, reazionario. Insulti nei quali Guareschi si è sempre riconosciuto senza problemi, per il semplice motivo che li riteneva complimenti. E non per amore di polemica o per ricerca dell’originalità a tutti i costi. Ma proprio per l’esatto contrario: il desiderio di riconoscersi in un insegnamento definitivo che richiede la necessità di condividere l’essenziale con i propri simili. Questo, secondo lo scrittore della Bassa, è il frutto della promessa del perenne sostegno di Cristo alla sua Chiesa: la Verità non può mutare a seconda dei tempi. E le forme dell’annuncio non possono essere figlie delle mode. Del resto, già a metà degli anni Sessanta, bastava fare i conti. Aprirsi senza riserve alla cultura moderna si era tradotto nella perdita di vecchi fedeli senza acquisizione di nuovi. Don Camillo lo ripete fino allo sfinimento al suo giovane curato. L’unica via al dialogo con il mondo contemporaneo, pensa il prete di Mondo piccolo, è quella di rafforzare l’identità cristiana».
(Alessandro Gnocchi, Il Catechismo secondo Guareschi, p. 30).

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«L’unico tema sociale che stava veramente a cuore a Ratzinger era quello del posto di Dio nel mondo. Come riaprire un posto di Dio nel mondo dopo che il mondo aveva espulso Dio dalla pubblica piazza? Da qui la strenua rivendicazione del ruolo pubblico della fede cattolica, soprattutto nella difesa del creato, dell’ecologia umana e dei principi non negoziabili. Questo poteva avvenire se la fede si fosse incontrata con quanti pensavano ancora che la ragione fosse capace di verità pubblica e che lo spazio pubblico fosse ancora lo spazio della verità e non solo delle opinioni. Il dialogo tra cattolici e laici egli lo pensava così. L’estenuazione della ragione produce mostri perché gli uomini si trovano davanti a scelte drammatiche guidati solo dalla dittatura del relativismo. La fede nel Logos poteva ridare fiato alla ragione e con essa instaurare il dialogo perduto».
(Stefano Fontana, in La Nuova Bussola quotidiana, 3/3/2014).

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«Il Signore non è mai stato uno spettatore sadico delle nostre tribolazioni, ma è entrato dentro la sofferenza, lasciandosi avvolgere all’interno del nostro stesso male, del nostro stesso dolore. Certamente lo ha fatto per vincerlo, ma ancor prima per “condividerlo”. Cristo, ancora adesso, è sempre con noi. Soprattutto quando ci umiliano, ci perseguitano e ci “flagellano”, in tanti modi, per la nostra fede. Tutte le volte che le piaghe del dolore colpiscono sangue innocente. Tutte le volte che lo scoramento diventa la tentazione più seducente e pericolosa. Quando una malattia ci debilita e provoca non poche sofferenze. Quando l’ultima frustata sembra essere quella decisiva e letale, Cristo è lì, abbracciato a noi, alla nostra colonna sacrificale, al nostro stesso soffrire. Nessun amico è più fedele e “compassionevole” di Gesù».

(Crescenzo Marzano, L’equilibrista di Dio. Nel labirinto della mia vita verso la fede cattolica, p. 132).

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«Dio ha creato ogni uomo con amore puro e vuole che sia felice. La felicità è il nostro vero fine. A Dio non sarebbe mancato nulla se noi non fossimo esistiti. Nonostante ciò il Signore ha “sete” del nostro amore e aspetta la nostra personale risposta perché ci ha fatto il grande dono della libertà. È vero che ci ha creato senza la nostra collaborazione, però ci vuole redimere con la nostra partecipazione, come insegna S. Agostino. Cristo ci ha salvati con la sua morte in croce, ma adesso chiede a ciascuno di rispondere con amore e fede a ciò che ha fatto per noi. La nostra collaborazione all’opera di redenzione, cioè la nostra santificazione, significa che noi accettiamo l’invito al banchetto di nozze – allegoria dell’amore divino e della felicità eterna – e che non preferiamo nulla ad esso. Scuola, professione, famiglia e tempo libero, sono tutte cose importanti, ma la più importante dovrebbe essere la chiamata di Dio».

(Florian Kolfhaus, Totus tuus, Maria. Dodici giorni di preparazione per la consacrazione alla Madonna, p. 19).

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«La maestra un tempo faceva mandare a memoria la poesia sul giorno dei morti e il bambino, poi, te la recitava a casa, così, ringraziandolo, commosso avevi la possibilità di spiegargli che la vita è solo un breve pellegrinaggio terreno e che noi, tutti, aspiriamo a quel Regno di pace e di gioia perché “… fecisti nos ad Te ed inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te”, come dice sant’Agostino. “Siamo fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. I bambini venivano portati dai genitori ai cimiteri, a portare un fiore ai defunti, e intanto, nell’attesa di rivederci in cielo, era come un “salutino”, un tentativo buono di “addomesticare” la morte”».
(Pucci Cipriani, La memoria negata. Appunti per una storia della tradizione in Italia, p. 73).

IL TIMONE – Aprile 2014 (pag. 34)

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