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12.12.2024

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Henri Bergson
31 Gennaio 2014

Henri Bergson

 

 

La sua filosofia è una poderosa difesa della libertà e dell’esistenza dello spirito, che sfuggono all’indagine della scienza. Questa può raggiungere solo una conoscenza parziale della realtà e dell’uomo. Celebre l’analisi bergsoniana del tempo. 

 

 

In una lettera spedita a J. Chevalier, in data 13 giugno 1927, Madre Marie de Jésus, priora del Carmelo di Montmartre, scriveva: «Non avesse che il merito di condurci all’assoluto, Bergson avrebbe diritto a un posto a parte nel pensiero cristiano, a una riconoscenza a parte». E con il Padre domenicano Antoine Sertillanges, eminente teologo e filosofo di osservanza tomista, che lo considerava un vero e proprio catecumeno destinato al battesimo, lo stesso Bergson si era confidato nei termini seguenti: «Torno sempre al Vangelo. E’ quella la mia vera patria spirituale, e niente di quel che Cristo dice di se stesso nel Vangelo mi meraviglia o mi delude». In realtà, Bergson non entrò mai a far parte ufficialmente della Chiesa di Roma, e nel 1932, rispondendo a chi in modo forse troppo sbrigativo avvicinava le sue idee a quelle della tradizione cattolica, esclamò: «Bisogna tener ben presente che non sono cattolico!». Tuttavia, al di là della pur importante questione dei rapporti tra il bergsonismo e il cattolicesimo, sulla quale tornerò brevemente al termine dell’articolo, resta intatta l’importanza del pensiero di Bergson, senza dubbio uno dei maggiori e più originali filosofi del XX secolo.
Henri Bergson nacque a Parigi nel 1859, studiò con Ollé-Laprune e Boutroux, insegnò in vari licei e nel 1900 gli fu affidata una cattedra di filosofia al Collège de France. Venne eletto membro dell’Accademia francese e nel 1928 ricevette il premio Nobel per la letteratura. Non rinnegò mai le sue origini ebraiche e al tempo della persecuzione nazista volle rimanere accanto ai suoi correligionari: esonerato, per motivi di salute, dalla schedatura a cui venivano sottoposti gli ebrei, rifiutò tale privilegio e si recò personalmente dalle autorità tedesche per farsi schedare al pari di tutti gli altri. Morì a Parigi nel 1941, mentre la città era sottoposta all’occupazione germanica. Scrisse numerose opere, tra le quali ricordiamo: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e memoria (1896), Introduzione alla metafisica (1903), L’evoluzione creatrice (1907) e Le due fonti della morale e della religione (1932).
La filosofia di Bergson può essere letta come una poderosa difesa della libertà, della creatività e dell’irriducibilità dello spirito contro il tentativo positivistico di ricondurre tutte le dimensioni della realtà, compresa quella umana, alla materia, alla fattualità, all’empiricità. Tale programma positivista si fondava sulla convinzione che l’unico vero sapere fosse quello scientifico e Bergson si impegnò a dimostrare che la scienza raggiunge una conoscenza soltanto parziale dell’uomo e della vita. Tuttavia, il suo spiritualismo non prevede il rifiuto né della dimensione fisica, né di alcune fondamentali acquisizioni scientifiche, ma non accetta il riduzionismo tipico dello scientismo che vede soltanto «fatti» concatenati in modo rigidamente causale e deterministico. Il punto di partenza da cui muove Bergson per criticare le pretese della scienza è la questione del tempo: a suo giudizio, la scienza intende il tempo in modo meccanico e spazializzato, mentre esso è «durata reale». Il primo, che è il tempo della fisica, non ha niente a che vedere con la durata, che rappresenta il tempo della vita e dell’interiorità (evidente appare il collegamento con l’analisi di Sant’Agostino sul tempo). Sulla scorta di questa convinzione, Bergson scopre che la vita spirituale è essenzialmente libertà e si convince altresì che la realtà è frutto di uno «slancio vitale», che è creazione libera e imprevedibile. La scienza comprende solo ciò che è ripetitivo, mentre la vita è divenire, movimento, libertà.
Anche per quanto riguarda l’ambito dell’etica, Bergson sottolinea il valore di una morale non solidificata in precetti e in abitudini, ma aperta e creativa.
Lo stesso vale in campo religioso, ove le simpatie bergsoniane vanno al misticismo, che testimonia l’eccedenza dello spirito e della fede rispetto al culto e al dogma. Classica è divenuta a questo riguardo la distinzione operata da Bergson tra morale e religione statiche e morale e religione dinamiche: queste ultime sono alla base della società aperta, ove domina lo sforzo creatore della vita.
Per tornare all’argomento iniziale dell’articolo, non è difficile comprendere come si potessero trovare nella filosofia bergsoniana importanti affinità con il cattolicesimo, e non casualmente Padre Sertillanges invitò in modo esplicito Bergson a fare in maniera più chiara il collegamento tra le figure di alcuni mistici da lui molto amati e la loro appartenenza alla Chiesa cattolica. E sarà ancora Sertillanges a notare una decisa affinità tra la concezione bergsoniana della libertà e quella di San Tommaso. Altri, al contrario, hanno insistito sulle differenze notevoli che intercorrono fra il bergsonismo e il pensiero di più genuina ispirazione cattolica: Jacques Maritain, che pure rimase affascinato dalle lezioni di Bergson, in un libro del 1913 confutò il pensiero dell’antico maestro. Tale confutazione, per quanto attenuata, la ritroviamo anche nella celebre opera maritainiana del 1946 intitolata proprio Da Bergson a San Tommaso d’Aquino. Anche Etienne Gilson, pur ammirando alcuni aspetti della filosofia bergsoniana, non vi trova le basi per costruire una solida metafisica della persona, come invece accade con le categorie tomiste che, ai suoi occhi, rimangono di gran lunga preferibili rispetto a quelle elaborate dal pur grande Henri Bergson.

Ricorda

«[…] studiando attentamente nella letteratura scientifica i casi di amnesia, Bergson giunse a dimostrare che nella materia del cervello non si conserva la “memoria pura” (che rimane nonostante le lesioni cerebrali), ma solo la capacità meccanica di rimettere in moto certi ricordi, e di riportarli così all’attualità della coscienza. […] su questi fondamenti Bergson dimostra che il nostro essere non si riduce alla materialità del nostro corpo».
(Vittorio Mathieu, Storia della filosofia e del pensiero scientifico, La Scuola, 1969, p. 215).

Bibliografia
Le principali opere di Bergson sono tradotte in italiano.
Per una prima valutazione critica della filosofia bergsoniana si possono utilmente vedere:
Vittorio Mathieu, Bergson. Il profondo e la sua espressione, Guida, 1971.
Adriano Pessina, Il tempo della coscienza. Bergson e il problema della libertà, Vita e
Pensiero, 1988.

IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 pag. 30 – 31

 

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