Una giovane, promettente comunità di figli spirituali di san Benedetto riporta a Norcia la vita austera, concreta, ricca di frutti spirituali e tipica dell’Ordine. «Ora et labora»: dalla S. Messa in rito antico alla birra fatta in casa…
C’è una costante nella storia missionaria della Chiesa, quella del “favore ricambiato”. La fede cristiana arriva nell’Irlanda del V secolo tramite un inglese romanizzato, san Patrizio. Un secolo dopo, sono i celti cristianizzati a viaggiare per l’Europa, dando un contributo decisivo all’evangelizzazione delle isole britanniche, della Francia dei Merovingi, delle terre germaniche e piantando i semi di una civiltà monastica.
Duemila anni dopo lo “scambio di favori” continua. Basti pensare ai cattolici del Vietnam, figli delle missioni di gesuiti e francescani francesi, che hanno resistito alle persecuzioni ricorrenti fino alla fine dell’800 e nel ’900 sono passati attraverso la dittatura del proletariato e la macelleria della guerra tra Nord e Sud del Paese. Negli ultimi 30 anni, i vietnamiti della diaspora sono stati un vivaio cruciale di vocazioni per la Chiesa australiana, alle prese con una secolarizzazione aggressiva e la perdita di religiosi provenienti dall’Europa.
I sacerdoti indiani del Kerala o del Maharashtra, invece, figli dell’apostolato di gesuiti e salesiani, oggi non vengono solo a dare una mano in tante parrocchie italiane o tedesche: nell’Africa orientale, dal Kenya al Mozambico, dove la presenza di missionari occidentali si assottiglia inesorabilmente, sono sempre più spesso loro ad aiutare quelle giovani Chiese a crescere e a strutturarsi. È la fiammella della fede che viaggia, attecchisce su un terreno vergine, si fa fuoco e in qualche modo torna a ravvivare le braci da cui aveva avuto origine.
Questa dinamica della Provvidenza ha riguardato, in piccolo, anche un pezzetto dell’Umbria, ossia Norcia. Nel paese famoso per aver dato i natali a san Benedetto, fino al 1998 c’era un “vuoto” paradossale: i Benedettini, presenti lì fin dall’alto Medio Evo, erano stati costretti a lasciare l’abbazia nel 1810, a causa delle leggi napoleoniche, e da allora non si erano più visti. Il loro ritorno è stato merito di un religioso americano, dom Cassiano Folsom, una figura carismatica, consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, scelto nel 2011 dal mensile Vatican Insider come personaggio cattolico dell’anno.
La fondazione
Nato nel 1955 a Lynn, nel Massachussetts, fattosi benedettino nell’abbazia di San Meinrad, nell’Indiana, dom Cassiano viene a Roma per approfondire gli studi di liturgia, ricoprendo tra il 1997 e il 2000 la carica di vice-rettore del Pontificio ateneo Sant’Anselmo. Già da tempo, però, maturava in lui un progetto diverso. Nel 1995, mentre era su un treno diretto a Napoli, aveva sentito l’ispirazione a dar vita a una comunità che riprendesse il carisma e lo stile originario dell’Ordine. Aveva iniziato a segnare su un taccuino una serie di punti, come “ristorazione dell’uomo attraverso l’adorazione di Dio”, “fedeltà al Magistero” e “devozione filiale al Santo Padre”. La fondazione avviene a Roma nel 1998. Gli esordi sono quelli precari ed entusiasmanti di tante nuove realtà religiose: Dom Cassiano e tre benedettini americani si sistemano in un piccolo appartamento nella capitale, con una stanza adibita a cappella. Nel 1999 la Santa Sede concede loro l’approvazione canonica. Dopo un po’ di discussioni e trattative tra le mura vaticane, arriva nel 2000 la possibilità di insediarsi a Norcia, nel complesso costruito sopra quella che fu la casa dei santi Benedetto e Scolastica. E nel 2001 c’è una specie di inaugurazione: un estimatore di dom Cassiano, il cardinale Ratzinger, viene a Norcia per celebrare la festa di san Benedetto con lui e i suoi confratelli. Viene da chiedersi se il nome di Benedetto XVI sia stato ispirato anche da questa frequentazione. I Benedettini di Norcia si schermiscono, non osano pensare a tanto, però il dubbio resta.
Quello che è certo è che da allora la vita della comunità si avvia su binari solidi. Il piccolo manipolo di giovani rasati e barbuti, con un marcato accento yankee, viene accolto con grande simpatia dagli abitanti del posto. «Rispetto agli Stati Uniti» spiega padre Benedetto Nivakoff, una laurea in studi medievali all’Università di Sewanee, nel Tennessee, «qui la pratica cristiana è molto inferiore, ma è superiore la benevolenza diffusa, anche da parte di chi non viene in Chiesa». L’ora et labora è improntato a una grande austerità: sveglia alle 3:30 ogni mattina, recupero degli antichi digiuni, con un solo pasto al giorno tra il 15 settembre e il tempo di Pasqua. Un ritorno alle origini, appunto, sia geografico che spirituale. Nel segno di quel mistico “scambio di favori” di cui sopra: a resuscitare la presenza benedettina in Italia è stato un gruppo di americani, e l’abbazia di san Meinrad da cui viene dom Cassiano è stata fondata nel 1854 da Benedettini dell’abbazia svizzera di Einsiedeln, andati in missione oltre Oceano.
Dai 3 religiosi degli inizi, nel giro di 10 anni i membri della comunità sono triplicati: oggi sono 15, più due “osservatori”, ossia giovani che stanno vagliando la propria vocazione. Gli americani sono 10, più un inglese, due indonesiani, un brasiliano e un italiano.
«Ora…
Dal 7 luglio 2009 i Benedettini di Norcia hanno poi fatto proprio un nuovo apostolato, affidato loro direttamente dalla Santa Sede. «Per favorire un clima di pace liturgica – scrivono sul loro sito – e ciò che il Papa chiama “una riconciliazione interna nel seno della Chiesa” ci hanno chiesto di celebrare sia la forma ordinaria, sia la forma straordinaria del rito Romano». L’amore per il rito “antico” ha a che fare anche con un’esperienza che dom Cassiano ha fatto prima della fondazione, presso il monastero di Le Barroux in Francia. L’approccio liturgico è appunto, all’insegna, della pace intraecclesiale. «Come liturgista – spiegava dom Cassiano tempo fa in un’intervista – vorrei dire che non esiste un rito perfetto. Ci sono aspetti positivi e negativi in ogni tradizione liturgica. L’unica liturgia perfetta è quella celeste… a costo di semplificare troppo la questione, direi che la forma ordinaria del rito romano sottolinea la comprensione razionale, come il parlare in prosa; la forma straordinaria fornisce anch’essa un ricco nutrimento per l’intelletto, ma si basa in prevalenza sul gesto, il simbolismo, l’intuizione, il silenzio, l’azione rituale senza parole: il comunicare in poesia, si potrebbe dire. L’uomo conosce sia razionalmente che intuitivamente. Ha bisogno sia di prosa che di poesia. Se le due forme del rito, così come due culture, sapranno vivere pazientemente una accanto all’altra nel tempo, possono certamente diventare amiche».
…et labora»
Questo per quanto riguarda l’“ora”. Per quanto riguarda il “labora”, i Benedettini di Norcia hanno lanciato da poco, lo scorso agosto, quello che vorrebbe essere uno dei loro principali manufatti: la “Birra Nursia”, che porta come slogan “Ut laetificet cor”. È stata pensata come mezzo per sostenere economicamente il monastero – inserendosi nel nuovo mercato italiano delle birre artigianali – e per condividere il frutto di una creatività e di uno zelo per le cose ben fatte tipicamente benedettini («ad ogni ciclo di produzione vengono realizzate solo 700 bottiglie, così da permettere al ristretto team di monaci che produce la birra di concentrarsi sui minimi dettagli quali l’intensità, il colore e il sapore», recita la brochure pubblicitaria). E a chi chiede loro – magari condizionato dal politically correct vigente, o ignaro dell’antichissima tradizione che lega birra e monasteri – perché abbiano voluto dedicarsi proprio a una bevanda alcolica, padre Benedetto risponde così: «Anche in questo c’è un messaggio cristiano: aiutare a capire che ogni cosa è buona o cattiva a seconda dell’uso che ne viene fatto. La birra, come altri prodotti, riflette la bontà della creazione. Quello che porta all’ubriachezza è lo squilibrio di chi la usa e che perverte i doni di Dio».
Per saperne di più…
IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Novembre 2012 – pag. 28 – 29
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