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12.12.2024

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I “capolavori” di Anselmo d’Aosta
31 Gennaio 2014

I “capolavori” di Anselmo d’Aosta

 

 


Grande maestro della filosofia cristiana, Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109) – al quale ho dedicato un articolo su il Timone n°15 del settembre/ottobre 2001 – è autore di varie importanti opere, tra le quali spiccano il Monologion (Soliloquio) e il Proslogion (Colloquio), composti in tempi assai ravvicinati, il primo nel 1075- 1076 e il secondo nel 1077-1078.

Il Monologion
Il Monologion fu scritto da Anselmo su richiesta degli allievi ai quali insegnava al tempo del priorato nell’abbazia normanna di Bec. Il tema centrale del testo anselmiano è l’essere di Dio, del quale l’autore era stato espressamente invitato a parlare non sulla base della rivelazione biblica, ma fondandosi sulla ragione, che mette al primo posto l’evidenza della verità e la coerenza dei nessi logici che vengono stabiliti. Ecco perché Anselmo, all’inizio dell’opera, può affermare che tutto ciò che vi si troverà in essa si regge sulla sola ragione. Così come gli era stato richiesto, l’autore si mette dalla parte di un non credente, di una persona che non tiene conto della Sacra Scrittura, e cerca di giungere per via puramente razionale a dimostrare l’esistenza di un ente sommo, cioè di Dio.
Il primo argomento di Anselmo prende spunto dal fatto che tutti desiderano godere delle cose buone, che sono tali in virtù di una bontà unica, di una bontà in sé, di una bontà originaria, che altro non è se non il sommo bene. Questo procedimento viene seguito da Anselmo anche per ciò che concerne la grandezza e l’essere: egli giunge così ad affermare che tutte le cose che sono, esistono in virtù di un ente unico, che coincide col sommamente grande e col sommamente buono.
Pervenuto a questo punto, il grande Dottore è ancora lontano dall’aver provato che esiste un Dio creatore, intelligente, uno e trino: il primo passo in questa direzione lo muove dimostrando che la somma essenza non dipende da altro, ma è da sé e per sé, mentre le cose dipendono proprio da tale essenza, che le ha fatte dal nulla. Anselmo è pure convinto che i diversi gradi di perfezione riscontrabili nella realtà conducano ad affermare l’esistenza di una perfezione prima e assoluta.
Nel Monologion, il grandissimo filosofo aostano sviluppa una serie di argomenti finalizzati a dimostrare razionalmente l’eternità della somma essenza e persino la sua dimensione trinitaria, ma soltanto nell’ultimo capitolo dell’opera, l’80°, compare per la prima volta la parola «Dio». In tale capitolo leggiamo, tra l’altro: «si deve affermare che ciò che è chiamato Dio esiste e che solo a questa somma essenza si dà propriamente il nome di Dio. Ora, cosa vi è di tanto venerando per la sua dignità, che cosa deve essere tanto pregato in ogni occasione quanto lo spirito sommamente buono e potente, che domina tutto e tutto governa? […]. Egli solo infatti è colui per il quale ogni cosa ha il bene […] da lui, per lui e in lui sono tutte le cose […] egli solo è colui che ogni altra natura deve venerare amorosamente e amare con venerazione, con tutte le sue forze; egli solo è colui dal quale si può sperare prosperità e nel quale ci si può rifugiare nell’avversità; lui solo è colui che deve essere supplicato in ogni occasione. Egli è dunque veramente non solo Dio, ma anche l’unico Dio ineffabilmente trino e uno».
Anselmo non fu del tutto soddisfatto dei risultati raggiunti nel Monologion. Egli era pienamente consapevole di aver trattato un argomento di rara difficoltà: «Il mistero di questa realtà così sublime – egli scrive nel 64° capitolo – mi si presenta come trascendente ogni capacità dell’umano intelletto, e perciò ritengo si debba porre un limite al tentativo di spiegare come sia possibile. Stimo infatti che a chi indaga una realtà incomprensibile debba bastare il pervenire con la ragione a conoscerne con tutta certezza l’esistenza, anche se non può penetrarne con l’intelletto il come».

Il Proslogion

Tuttavia Anselmo non demorde, e poco dopo aver concluso il Monologion pone mano alla composizione di un altro capolavoro, il Proslogion, che lascerà una traccia indelebile nella storia della filosofia occidentale. In esso, a differenza che nell’opera precedente, l’autore non mette tra parentesi la fede, ma assume il ruolo del credente «che chiede luce a Dio per capire ciò che crede» (S. Vanni Rovighi). Il cuore di questo scritto è rappresentato dalla cosiddetta (non ci interessa qui se a torto o a ragione) prova ontologica dell’esistenza di Dio, una delle pagine più alte – sebbene incessantemente discussa e criticata – di tutto il cammino del pensiero umano. Si tratta di un argomento, a giudizio di Anselmo autosufficiente e inconfutabile, per dimostrare l’esistenza di Dio senza fare ricorso all’esperienza, ma basandosi soltanto su di un procedimento puramente razionale.
Per spiegare questo decisivo ragionamento anselmiano lascio la parola a Giovanni Reale e Dario Antiseri che bene lo sintetizzano nel modo seguente: «Dio è “quella cosa di cui nulla può pensarsi più grande”. E ciò lo pensa anche l’ateo e lo stolto di cui parla il Salmo, che, in cuor suo, dice: “Dio non esiste”. Per negare Dio egli sa che parla di un essere di cui non è possibile pensare nulla di più grande. Dunque, se l’ateo pensa Dio, Dio è nel suo intelletto – altrimenti non penserebbe né negherebbe la sua esistenza. Ma quando nega che Dio esiste, l’ateo vuol dire che Dio non esiste fuori del suo intelletto, cioè nella realtà. Ed è qui la contraddizione: se egli pensa che Dio è l’essere di cui non si può pensare nulla di più grande e insieme nega che esista fuori del suo pensiero, egli è indotto ad ammettere che è possibile qualcosa di più grande di Dio, che oltre che nel pensiero esista anche nella realtà. Il che è contraddittorio, perché afferma e nega che Dio sia l’essere di cui nulla è [pensabile] più grande. In altri termini: se Dio è l’essere di cui nulla è più grande, non è possibile ritenerlo esistente nel pensiero ma non nella realtà, perché in questo caso non sarebbe il più grande».
L’argomento elaborato da Anselmo suscitò immediatamente aspre critiche e, come si è già detto, intorno a esso, nei secoli, si è sviluppato un amplissimo dibattito, che in questa sede non è certamente possibile ricostruire.
Sicuro rimane il fatto che Anselmo d’Aosta, arcivescovo di Canterbury, santo e dottore della Chiesa si presenta come una delle menti più alte e fervide della storia della filosofia e della teologia; e non v’è altresì dubbio che i suoi due capolavori di cui ci siamo occupati, il Monologion e il Proslogion, continueranno ad affascinare sia gli studiosi che gli uomini di fede.

 

 

 

RICORDA

 

«Monaco di intensa vita spirituale, eccellente educatore di giovani, teologo con una straordinaria capacità speculativa, saggio uomo di governo ed intransigente difensore della libertas Ecclesiae, Anselmo é una delle personalità eminenti del Medioevo, che seppe armonizzare tutte queste qualità grazie a una profonda esperienza mistica, che sempre ebbe a guidarne il pensiero e l’azione».
(Benedetto XVI, Udienza del 23 settembre 2009, reperibile su www.vatican.va)

 

 

Per saperne di più…

Anselmo d’Aosta, Opere filosofiche, Laterza, 2008.
Anselmo d’Aosta, La fede cerca la comprensione. Il Proslogion in una nuova versione italiana, a cura di Antonio Livi e Valentina Pelliccia, Leonardo Da Vinci, 2010.
Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Anselmo d’Aosta, Laterza, 1987.

 

 

IL TIMONE n. 108 – Anno XIII – Dicembre 2011 – pag. 32 – 33
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