La gloriosa vicenda di ottocento cristiani che difesero eroicamente la loro città davanti all’avanzata turca. Catturati, preferirono morire piuttosto che abiurare la fede. Il 12 maggio saranno canonizzati
Per chiunque visiti la cattedrale di Otranto, è uno spettacolo a prima vista alquanto macabro: grandi armadi di legno con vetrata contenenti centinaia di teschi e di ossa esposte in una cappella. Ma quella visione commuove se si pensa che si tratta di ottocento martiri, persone trucidate per non aver voluto rinnegare la fede cristiana e abbracciare quella islamica. Sono i martiri di Otranto, la cui canonizzazione era stata annunciata da Benedetto XVI nel concistoro dell’11 febbraio, al termine del quale, a sorpresa, Papa Ratzinger aveva anche comunicato ai cardinali e al mondo la sua decisione di lasciare il pontificato.
La vicenda che ha portato al martirio questi cristiani, abitanti della bella ed esposta città pugliese, avvenne in uno dei momenti più favorevoli per l’impero ottomano. Ha scritto lo storico Ludwig von Pastor, autore di una monumentale storia del papato, che «una delle arti politiche delle dinastie orientali fu in ogni tempo quella di trarre profitto dai dissensi intimi delle potenze occidentali. Mai forse sotto questo aspetto le cose furono in condizione più favorevole per la potenza del sultano come nell’ultimo terzo del secolo XV: mezza Europa era infestata da guerre e dall’anno 1478 anche Roma… trovavasi coinvolta in una deplorevole lotta».
In quel periodo era stato proprio Lorenzo il Magnifico a sollecitare Venezia perché si accordasse con i turchi e li spingesse ad assalire le sponde adriatiche del Regno di Napoli, in modo da contrastare le aspirazioni e i progetti di re Ferdinando e del figlio. La Serenissima, che aveva appena firmato, nel 1479, la pace con i turchi, aveva aderito alla richiesta del Magnifico sperando così di riversare sulla Puglia l’onda musulmana che poteva abbattersi sulla Dalmazia, all’epoca terra veneziana. Il Sultano da ventun’anni attendeva di sbarcare in Italia, e fino a quel momento non aveva potuto farlo a motivo dell’opposizione di Venezia.
Così nel giugno 1480, Maometto II, dopo aver invano tentato di espugnare Rodi, impegna la sua flotta su un diverso obiettivo, attraversa l’Adriatico e la mattina di venerdì 29 luglio si presente alla vista di Otranto, una delle prime città pugliesi ad essersi convertite al cristianesimo, che si era guadagnata l’appellativo di «Bisanzio delle Puglie». Le forze ottomane sono imponenti: 90 galee, 15 maone, 48 galeotte, ben 18 mila i soldati a bordo.
L’arrivo dei turchi era stato previsto qualche mese prima da San Francesco di Paola, che dall’eremo di Paternò, dove viveva, aveva preannunciato quanto stava per accadere, scrivendo al re Ferdinando di Napoli, senza essere creduto né ascoltato. L’esercito musulmano, comandato dal pascià Gedik Ahmet, aveva previsto di sbarcare a Brindisi, in un porto più ampio e da lì risalire fino a Roma per espugnarla. Ma un vento molto forte aveva costretto la flotta, partita da Valona, ad attraccare più a Sud, a pochi chilometri da Otranto. Nella cittadina c’era soltanto una guarnigione di 400 uomini. I capitani inviano subito una richiesta al re, che ordina di riunire un esercito da inviare a difesa di Otranto. Ma ormai non c’è più tempo. I soldati turchi assediano il castello, dentro al quale hanno trovato rifugio gli abitanti. Gedik Ahmet, attraverso un messaggero, propone loro di arrendersi: se non avessero opposto resistenza avrebbero potuto rimanere in città. Uno dei maggiorenti, l’anziano Ladislao De Marco, risponde: «Se il pascià vuole Otranto, venga a prenderla con le armi, perché dietro le mura ci sono i petti dei cittadini». I capitani, inoltre, invitano il legato a non ritornare una seconda volta e minacciano di morte quei cittadini che avessero pensato ad arrendersi. Un secondo messaggero turco che tornava con le identiche proposte, viene ucciso.
Ma a queste dimostrazioni dei capitani non corrisponde un simile atteggiamento della truppa: i soldati della guarnigione, impauriti, si calano con delle corde dalle mura e scappano. A presidiare Otranto rimangono solo i suoi abitanti. La battaglia è durissima. Sulla città si abbattono le grandi palle di pietra lanciate dalle bombarde turche, «era tanto il terremoto che pareva che il cielo e la terra si volessero abbissare, e le case et ogni edificio per il gran terrore pareva che allora cascassero». Dopo due settimane di assalto, alle prime luci del 12 agosto, i turchi riescono ad aprire una breccia ed entrano in città. Gli armati guidati dal capitano Zurlo e da suo figlio che cercano di contrastarli, muoiono sul campo. I cittadini di Otranto combattono strenuamente: «I cittadini resistendo ritiravansi strada per strada combattendo, talché le strade erano tutte piene d’homini morti così de’ Turchi come de’ Cristiani et il sangue scorreva per le strade come fusse fiume, di modo che correndo i Turchi per la città perseguitando quelli che resistevano e quelli che si ritiravano e fuggivano la furia non trovavano da camminare se non sopra li corpi d’homini morti».
Uomini, donne e bambini si rifugiano nella cattedrale, rimasta l’ultimo baluardo. Ma anche qui la resistenza dura poco e i turchi vi entrano.
«Durante la notte precedente quello sventurato giorno, l’arcivescovo Stefano aveva confortato tutto il popolo col divino sacramento dell’Eucarestia per la battaglia del mattino seguente, che lui aveva previsto», si legge nella cronaca di Giovanni Michele Laggetto («Historia della guerra di Otranto del 1480», trascritta da un antico manoscritto e pubblicata dal canonico Luigi Muscari nel 1924). L’arcivescovo Stefano Pendinelli siede sul trono, rivestito degli abiti pontificali e tiene in mano la croce. Ai turchi dice di essere il «rettore di questo popolo, indegnamente preposto alle pecore del gregge di Cristo». Un soldato gli impone di non nominare Cristo, perché «Maometto è quello che regna ora». Stefano replica che Maometto «soffre nell’inferno» e per tutta risposta gli viene recisa la testa con un colpo di scimitarra.
Il 13 agosto, dopo il saccheggio della città, il pascià chiede la lista di tutti gli abitanti fatti schiavi, escludendo le donne e i ragazzi al di sotto dei 15 anni. Sono circa ottocento. Accanto a Gedik Ahmet c’è un ex prete calabrese apostata, che cercava di persuadere i cristiani ad abbracciare la fede musulmana.
Tra gli ottocento c’è un sarto, Antonio Pezzulla detto il Primaldo, che invita a i concittadini a combattere per salvare le loro anime e a rimanere saldi nella fede. Il pascià condanna tutti a morte. Gli abitanti di Otranto vengono legati e condotti sul vicino colle della Minerva. Compiono il tragitto pregando e confortandosi l’un l’altro in vista dell’imminente martirio. Tutti rifiutano ancora una volta di aderire all’islam e ripetono la loro professione di fede cristiana. Il primo ad essere decapitato è il vecchio Primaldo. Secondo la tradizione il suo corpo sarebbe rimasto in piedi, decapitato, fintanto che tutti gli altri non vennero uccisi. Secondo le cronache, uno dei carnefici, colpito dal prodigio, disse a voce alta di voler essere cristiano e venne a sua volta assassinato. Il 14 agosto il colle della Minerva si tinge del rosso del sangue degli ottocento martiri di Otranto. La resistenza degli abitanti della città aveva intanto permesso al re di Napoli di far avvicinare il suo esercito, impedendo così il progetto di Gedik Ahmet di dirigersi su Brindisi e Lecce, come pure di tentare di espugnare Roma. La morte di Maometto II e il richiamo in patria del pascià favoriscono la resa dei turchi, il 10 settembre 1481. Otranto torna cristiana sotto il dominio del re aragonese. I corpi dei martiri sarebbero rimasti insepolti per un anno: le cronache narrano che vennero ritrovati incorrotti, come se fossero stati uccisi da poche ore.
Nel dicembre 1771 papa Clemente XIV ha dichiarato beati i martiri di Otranto autorizzandone il culto. Il processo è stato recentemente riaperto in vista della canonizzazione: Benedetto XVI nel 2007 ha confermato il martirio, nel dicembre 2012 ha riconosciuto un miracolo attribuito alla loro intercessione e l’11 febbraio 2013 ha annunciato la loro canonizzazione, prevista per il 12 maggio. La storia dei martiri di Otranto è narrata nel romanzo di Maria Corti «L’ora di tutti» (1962).
Per saperne di più…
Alfredo Mantovano, Gli Ottocento Martiri di Otranto, in Cristianità, n. 61, maggio 1980, pp. 14-19).
Grazio Gianfreda, Otranto nella Storia, Ed. Salentina, 1976.
Giovanni Michele Laggetto, Historia della guerra di Otranto del 1480, a cura di Luigi Muscari, Maglie 1924.
Saverio De Marco, Compendiosa istoria degli Ottocento Martiri Otrantini, Tipografia Cooperativa, Lecce 1905.
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 26 – 27
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