Un libro coraggioso del “Kattolico”. Prefazione di Messori. Esame dell’utopia rivoluzionaria, che vuole il paradiso sulla terra facendo a meno di Dio.
E crea solo mostruosità.
Una vecchia superstizione vorrebbe che i mostri del fanatismo siano prodotti soltanto dalla religione. Non è così: è mostruosa la Ragione privata del controllo etico e religioso. Questo si ricava dalla lettura de I mostri della ragione/2. Viaggio tra i deliri di utopisti & rivoluzionari di Rino Cammilleri, con prefazione di Vittorio Messori; riedizione accresciuta di un testo già esaurito in più edizioni. Dove si dimostra come fu proprio la Raison illuminista a produrre le ideologie più violente, a dotarsi dei mezzi di coercizione più raffinati, ad armarsi con inaudita efficacia per lo sterminio dei dissenzienti. Questi i «mostri» che, macinando rivoluzioni, accompagnano l’illusione del progresso ad oltranza.
Il libro espone i molti volti dell’utopia rivoluzionaria. Sogni personali, deliri d’onnipotenza d’ideologi disposti a sacrificare realtà e storia, alla loro personalissima idea di cambiamento. Se la realtà non si adatta, tanto peggio, verrà azzerata e rifatta; sintomatico il ricorrente tentativo di azzerare il tempo, di cambiare il calendario ab incarnatione di Gesù. Cammilleri va alle scaturigini dell’utopia che individua nel bisogno psicologico di rifare il mondo a modo nostro, «come al bar» dove «è facile trovare chi si lamenta di come vanno le cose», e dove vengono proposte bizzarre soluzioni; «qualche volta, sull’onda emotiva del momento ci diciamo d’accordo; qualche altra giudichiamo una fortuna che non sia il nostro interlocutore a comandare» ma questo meccanismo «diventa dinamite quando esce dal bar e arriva a qualche intellettuale che ha la possibilità di divulgare il proprio pensiero».
Ispirato dal «non serviam», l’utopismo nasce nel Rinascimento, si rafforza con la Riforma; affiora nei monasteri, serpeggia negli scrittoi dei teologi; si precisa negli scritti di filosofi. Si concretizza infine nelle azioni degli illusi che tentano di edificare società perfette.
Il libro segue nella sua progressione quel cammino impressionante della razionalità applicata con follia che nel nazismo e nel comunismo si scatena, infine, con satanica potenza.
La tracotanza luciferina sfoggia una fertile fantasia nell’escogitare applicazioni specifiche in materia di società, gerarchie, architettura, morale, arte, politica, economia. Utopisti e rivoluzionari giocano a modellare l’esistente come fosse plastilina, rifacendo la forma di città, case, cimiteri, fabbriche; ripensano la moda, gli svaghi, la dieta (spesso vegetariana), il matrimonio, il calendario, la religione e l’educazione. Non riformano, si badi, «rifanno». Il libro riporta decine d’esempi, spesso grotteschi, come quello della città che si sviluppa su un unico asse viario, dalla culla al cimitero: più s’invecchia più ci si avvicina al cimitero.
In questo viaggio sconcertante l’inconfondibile voce dell’autore, e la sua ironia, ci accompagnano senza sottrarsi all’ingrato compito di giudicare duramente quando è il caso. Anche perché la lotta contro questa malattia non è vinta. Le idee che ispirarono giacobini e utopisti dell’Ottocento sono passate nel Sessantotto e poi nella tecnocrazia anticristiana che ci minaccia; nel laicismo radicale che cerca d’imporsi; nell’ideologia dell’ecologia profonda. I «mostri» sono ancora qui. E puntano a rifare la biologia dell’uomo.
È anche vero che utopie e rivoluzioni nascono con l’intento di portare giustizia ed equità però, osserva Cammilleri, «la differenza tra il messaggio cristiano e le utopie sta proprio nella libertà e gratuità dell’atto di rinunzia dei propri beni e privilegi per farne parte gli altri. In fondo, un monastero funziona come l’esatta organizzazione sociale sognata dagli utopisti e che vorrebbero allargata all’intero pianeta: proprietà in comune, eguaglianza, lavoro in letizia. Le utopie hanno tuttavia questo come differenza, che tutto vogliono realizzare per forza, e gratis, cioè senza le ricompense ultraterrene che i monaci si aspettano». Ecco, qui la buona volontà si rovescia in male. Del resto, sappiamo bene che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
IL TIMONE – N. 46 – ANNO VII – Settembre/Ottobre 2005 – pag. 10