La Sindone di Torino e il Sudario di Oviedo: due tra le reliquie più preziose che testimoniano una autentica storia di amore: quella di Dio per l’uomo.
Sempre in tema di reliquie, dopo aver parlato di quelle dei santi, vogliamo ora parlare delle reliquie della passione, morte e forse anche della risurrezione di Colui sul quale si regge tutta la nostra fede. E, cioè, Gesù di Nazareth, il Cristo per noi che crediamo in Lui.
Li hanno chiamati i “testimoni muti” oppure addirittura “il quinto evangelio” questi reperti sparsi un po’ dovunque, soprattutto in Europa, che l’indagine storica, ma ora anche quella scientifica, collega a ciò che è successo a Gerusalemme duemila anni fa, tra la sera del giovedì santo e l’alba della domenica di Pasqua.
Molti sono i luoghi, per esempio, che vantano reliquie della S. Croce. Sono così numerosi questi frammenti” da poterei costruire una casa se li si possedesse tutti” diceva Lutero che non amava questo genere di cose. Pare invece che nell’insieme essi raggiungano un volume di appena 4.000 cm cubi, cioè appena un nono di quella che doveva essere all’incirca la massa originaria della Croce nel suo insieme. 0, comunque, meno della metà della massa del patibulum, cioè della trave orizzontale della stessa Croce, che è probabilmente l’unico ad essersi in qualche modo conservato. La tradizione dice che fu Elena, la madre di Costantino, a “rinvenire” la Croce in seguito ad un sogno. Essa venne trovata a Gerusalemme insieme alle croci dei due ladroni, al titulus crucis, cioè alla tavoletta con l’iscrizione, e a tre o quattro chiodi. Roma e Costantinopoli divisero nel tempo con Gerusalemme questa preziosa reliquia che seguì, come tutte le altre, il corso delle vicissitudini storiche, suddivisa moltissime volte in frammenti anche piccolissimi donati a re, imperatori, vescovi, e così via.
Pur certi della verità, almeno nelle linee essenziali, di questa tradizione, riconosciamo che la sola indagine storica non è in grado di dimostrare con certezza che tutti i frammenti proposti alla devozione dei fedeli siano in realtà autentici. Discorso che vale anche per le altre reliquie della passione, come i sacri chiodi, le spine della corona, la colonna della flagellazione,la tunica che i soldati si giocarono a dadi, la lancia che squarciò il costato.
E anche per il cosiddetto sudario della Veronica, presente fin dai primi secoli, in varie forme, nella tradizione popolare ma non menzionato nei vangeli.
È molto probabile che anche delle indagini scientifiche dovrebbero arrendersi presto, salvo forse il caso di una delle tuniche proposte, e cioè quella di Argenteuil, per la quale è stata accertata una coincidenza particolarmente sorprendente tra le macchie di sangue (della tunica stessa) e le ferite dell’uomo del Lino di Torino.
Sappiamo invece che ci sono almeno due casi in cui la devozione per le reliquie della passione può unirsi e appoggiarsi anche a solide basi scientifiche in una rete così fitta di indizi che, se non tolgono del tutto il mistero, ne sollevano però in misura assai grande il velo che lo ricopre. Intendiamo riferirci alla Sindone di Torino e al Sudario di Oviedo.
Vogliamo fin da subito chiarire due cose: né la Sindone né altre reliquie, per quanto importanti, obbligano alla fede. Neanche l’accumularsi di prove sempre più numerose e convincenti rende necessaria l’adesione ad esse.
Esse, infatti, anche le più vagliate dalla scienza, sono proposte alla devozione dei fedeli ma non imposte. Sono, se così vogliamo dire, un “quinto evangelio”, tuttavia non canonico. È inoltre probabile che nessun cumulo di indizi, per quanto numerosi e fondati, darà mai la certezza assoluta che quella Sindone e quel Sudario abbiamo davvero avvolto in corpo e il capo di Gesù. In caso contrario, ci pare verrebbe meno quella dimensione di libertà che Dio sempre rispetta nel rapporto con noi. “C’è abbastanza luce per chi vuol vedere e abbastanza tenebre per chi non vuol vedere” per ripetere ancora una volta la famosa frase di Pascal.
Quella zona di mistero che rimane, nonostante tutti gli accertamenti scientifici e le indagini storiche, anche se fosse sempre più ridotta, anche se fosse infinitesimale, è proprio quella che permette alla dinamica della fede di mantenersi viva, vitale. Di essere non solo e non tanto il frutto di una intelligenza messa alle corde che si arrende ma anche, e forse soprattutto, lo slancio di un cuore che riconosce nel Mistero il proprio habitat, la propria chiamata.
Torniamo alla Sindone: la “madre di tutte le reliquie” come viene chiamata.
Sappiamo bene che nella sua storia ci sono alcuni passaggi importanti: anzitutto la sua “comparsa” rimasta alquanto misteriosa in Francia, nel 1389.
Da allora la sua storia è ben nota. La ricerca, invece, sta ancora cercando di ricostruire il “prima”. Ci sono tracce del suo viaggio da Gerusalemme in Europa ma si spera di scoprire di più.
La scienza, invece, inizia il suo lavoro da quelle foto straordinarie di Secondo Pia che rivelarono come l’immagine su di essa impressa sia in realtà un negativo fotografico che la rende straordinaria e inusuale. Si è cercato in mille modi di distruggerne il valore insinuandone la falsità. Non ci si è riusciti. Un grosso colpo alla credibilità di questo reperto sembrò venire dalla famosa indagine al C 14, secondo la quale essa risaliva al medioevo e non a duemila anni fa. E invece fu come una sferzata, che diede incremento a nuovi studi. Studi destinati non solo a cogliere in quella strana immagine i segni della passione e morte, ma anche quelli della risurrezione, di quella sorta di esplosione di forza divina che trasformò un cadavere in un vivente glorificato. Tra tutti gli indizi accumulati si è così fatto strada un volto che ora tutti conosciamo: composto dopo la grande sofferenza nella serenità della morte.
Possiamo ammirarne la bellezza straziata, possiamo amarlo e ringraziarlo per quello che ha fatto. Anche se sappiamo che non rimase a lungo così. Come i discepoli di Emmaus siamo invitati a sentirlo vicino e vivo, operante in noi.
Anche il Sudario di Oviedo più viene studiato e più conferma similitudini, coincidenze con la Sindone: il gruppo sanguigno, la disposizione della macchie di sangue, i pollini, il tipo di tessuto e così via. Le differenze che persistono sembrano dovute al fatto che tale Sudario fu posto sul capo di Gesù appena prima della deposizione e conservato in quella posizione fino al momento in cui fu tolto per avvolgere il corpo nella Sindone, C’è da restare senza fiato oppure da adorare. Come fece anche Giovanni Paolo II a Torino durante l’ultima ostensione. L’intelligenza gioisce per gli indizi sempre più importanti che la scienza raccoglie e il cuore ne gode ammaliato e riconoscente. Sì, perché alla fine il Sudario, la Sindone, si rivelano essere una storia, una bellissima storia d’amore.
RICORDA
“Ero un cattolico tiepido, abitudinario, un mezzo praticante per tradizione, come tanti. Poi nella mia vita entrò la Sindone e vi entrò in modo che a vista umana direi casuale, per una consulenza che mi era stata richiesta. Posso dire che con un itinerario che a molti oggi sembrerà inconsueto, le vie della scienza mi hanno portato alla riscoperta della fede”.
(Pier Luigi Baima Bollone, in Vittorio Messori, Inchiesta sul Cristianesimo, Oscar Mondadori 2003, p. 307).
BIBLIOGRAFIA
Michiael Hesemann, Testimoni del Golgota, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003.
IL TIMONE N. 27 – ANNO V – Settembre/Ottobre 2003 – pag. 50 – 51