Se ogni uomo è incommensurabilmente prezioso – e lo è – è doverosa una premura nei suoi riguardi. Lo Stato esiste per aiutare il singolo e le comunità, senza sostituirsi a loro. Come invece fanno statalismo, burocrazia, totalitarismo e tecnocrazia
Sul Timone del mese scorso abbiamo svolto una ricognizione sul concetto di bene comune, così spesso invocato (soprattutto in ambito politico), ma raramente inteso correttamente. Come anticipato, dal concetto di dignità umana derivano sia il (corretto) concetto di bene comune, sia il principio di solidarietà e quello di sussidiarietà.
Il principio di solidarietà
Il principio di solidarietà deriva (specialmente) dalla dignità umana. Infatti, visto che ogni uomo è incommensurabilmente prezioso, ne segue che una qualche premura nei suoi riguardi è doverosa. Dal punto di vista della storia delle idee, è risaputo dagli studiosi che il concetto di un obbligo di solidarietà verso chiunque, nessuno escluso, è stato introdotto dal cristianesimo ed è un suo merito imperituro. Il cristianesimo ha infatti stabilito come dovere:
– la premura verso tutti i malati. Non è un caso che l’ospedale (come luogo in cui vengono curati tutti, e non solo alcuni) sia un’invenzione della Chiesa;
– la solidarietà verso tutti i poveri (non solo verso quelli del proprio gruppo, religione, ecc.);
– la sollecitudine verso tutte le vittime, cioè nei riguardi di coloro che versano in condizioni di oppressione, di ignoranza, di ingiustizia, il rifiuto di ricorrere a dei capri espiatori (rimandiamo allo scrittore René Girard).
Anche presso le altre culture e religioni si ritrovano persone solidali verso chiunque, ma esse agiscono in questo modo a titolo personale, non per un obbligo della loro cultura o religione.
Il principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà, dal canto suo, regola il modo in cui lo Stato (ma non solo) deve attuare la solidarietà.
Esso afferma che è sbagliato togliere a una persona e affidare ad una comunità ciò che la persona può fare con le proprie forze e con la propria iniziativa o grazie a un aiuto, e che è ingiusto togliere a una comunità minore e affidare a una comunità maggiore, o allo Stato stesso, ciò che la comunità minore è in grado di fare da sola o con un aiuto: il compito dello Stato è aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già atrofizzarle, distruggerle o assorbirle. In altri termini, lo Stato esiste per aiutare il singolo e le comunità, deve aiutare il singolo e le varie comunità intermedie senza sostituirsi ai singoli ed alle comunità in tutto ciò che i singoli e le comunità sono in grado di svolgere da soli o con un sostegno.
Qual è la fondazione del principio di sussidiarietà? Perché lo Stato non deve sostituire il singolo e le comunità intermedie e deve solo aiutarli? Per almeno tre motivi.
1) Perché ogni persona e ogni comunità hanno qualcosa di originale da offrire alla società, cosicché è più vitale ed efficiente un organismo sociale le cui membra sono piene di vita e di iniziativa rispetto a quello in cui le membra sono passive e atrofiche. Tra l’altro, mentre lo Stato centrale è lontano dal territorio da governare, viceversa il comitato di quartiere, il Comune, ecc. sono sul territorio e quindi sono molto più a conoscenza delle sue caratteristiche e dei fatti che vi avvengono.
2) Perché la persona si autorealizza attraverso l’agire (sia l’abilità sia la virtù si acquisiscono mediante la ripetizione di atti), dunque non bisogna tarpare l’agire e l’iniziativa.
3) Perché la dignità della persona esige che se ne promuova l’iniziativa, la responsabilità e la libertà (purché non usata in modo ingiusto verso altri), invece che deresponsabilizzarla ed umiliarla togliendole le mansioni. Se un capoufficio ci toglie le mansioni che siamo capaci di svolgere ci mortifica.
Il caso dell’educazione
Ad esempio, l’educazione non spetta allo Stato, bensì è un diritto-dovere dei genitori che sono sì in grado, se sono sufficientemente preparati, di educare i figli, ma non di riuscire ad istruirli del tutto (l’educazione e l’istruzione, pur tra loro connesse, non sono la stessa cosa). Perciò è necessaria l’istituzione di scuole che istruiscano e che inoltre proseguano l’attività educativa in sintonia coi genitori.
Lo Stato deve allora aiutare le famiglie sia costituendo scuole statali, sia dando alle famiglie dei buoni scuola mediante cui esse possano iscrivere i figli nelle scuole che maggiormente convergono con i loro ideali educativi.
Pratiche pro/contro la sussidiarietà
Alla luce di quanto abbiamo detto fin qui, è probabilmente facile comprendere quali siano le pratiche che si oppongono/corrispondono al principio di sussidiarietà.
Ad esempio, come dice il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (n. 187), contro il principio della sussidiarietà contrastano «forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell’apparato pubblico: “Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”. Il mancato o inadeguato riconoscimento dell’iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della sussidiarietà».
Al principio di sussidiarietà corrispondono «il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l’incoraggiamento offerto all’iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l’articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l’equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un’adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo “essere parte” attiva della realtà politica e sociale del Paese».
Totalitarismo, tecnocrazia, burocrazia
E se la democrazia è un’espressione elevata della sussidiarietà, perché coinvolge i singoli nella promozione del bene comune, la tecnocrazia è invece una negazione del coinvolgimento del singolo, in definitiva è un esproprio della libertà.
La partecipazione delle persone è negata specialmente da un regime «totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice». Ma è negata altresì «dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente non si può esercitare». Ed è negata infine «da altri [Paesi] ancora, in cui l’elefantiasi dell’apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica».
Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, nn. 160-196.
Francesco Botturi, Per una teoria liberale del bene comune, in Vita e Pensiero, 79 (1996), pp. 82-94.
Francesco Botturi, Il bene della relazione e i beni della persona, in L. Melina – J.J. Perez- Soba (eds.), Il bene e la persona nell’agire, Lateran University Press, 2002, pp. 161-184. Gabriel Chalmeta, Etica applicata. L’ordine ideale della vita umana, Le Monnier, 1997, pp. 75-98.
Jacques Maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, 1948.
Martin Rhonheimer, Lo Stato costituzionale democratico e il bene comune, in E. Morandi – R. Panattoni (a cura di), Ripensare lo spazio politico: quali aristocrazie?, in Contratto, 6 (1997), pp. 57-122.
Giacomo Samek Lodovici, L’utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero, 2004, pp. 251- 266.
IL TIMONE N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 30 – 31
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