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14.12.2024

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I protagonisti del presepe
31 Gennaio 2014

I protagonisti del presepe

 

 

Contemplare il mistero della nascita significa incontrare le figure del Presepe. Guardare che cosa dicono, cosa fanno, come si muovono. E in mezzo a loro, adorare, come loro, il Bambino

 

 

«La gioia annunciata dall’angelo non è qualcosa che appartiene al passato. È una gioia di oggi, dell’oggi eterno della salvezza di Dio, che comprende tutti i tempi, passato, presente e futuro… Il tempo ha un senso perché qui l’Eterno è entrato nella storia e rimane con noi per sempre… Il bambino appena nato, indifeso e totalmente dipendente dalle cure di Maria e di Giuseppe, affidato al loro amore, è l’intera ricchezza del mondo. Egli è il nostro tutto! ». Le parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II nella piazza della Mangiatoia, davanti alla basilica della natività di Betlemme, il 22 marzo 2000, sono l’introduzione migliore per guardare al presepio e ai suoi personaggi. Non una zuccherosa fiaba per bambini o una vaga commemorazione imbevuta di buoni sentimenti, ma un avvenimento storico, imprevedibile e umanamente inimmaginabile: l’irruzione di Dio nella storia dell’umanità attraverso l’incarnazione di suo Figlio Gesù. L’Onnipotente che diventa un neonato indifeso, totalmente dipendente dalle cure di un padre e una madre.
Dei quattro Vangeli canonici, che la Chiesa ha riconosciuto come autentici, i più diffusi nelle prime comunità cristiane, soltanto due ci parlano della nascita di Cristo: quello di Matteo e quello di Luca. Le fonti del primo evangelista, spiegano gli esperti, dovevano appartenere alla famiglia di Giuseppe, mentre le fonti del secondo sono vicine a Maria, probabilmente la stessa Madre di Gesù.  

Maria
Accanto al vero, unico protagonista del Natale, al vero e unico festeggiato, il Bambino, al centro della scena c’è lei, la Madonna. Dei due genitori di Gesù è quella che lo genera «secondo la carne». Era originaria di Nazaret, all’epoca poco più di un villaggio della Galilea, mai menzionato nell’Antico Testamento. Gli scavi condotti per la realizzazione della nuova Basilica dell’Annunciazione, inaugurata nel 1969, hanno portato alla luce i resti di un antico luogo di preghiera della prima comunità cristiana risalente al II secolo. Qui si ritrovavano gli appartenenti alla famiglia di Gesù e su una delle pareti della grotta utilizzata fin da tempi antichissimi come chiesa era stato rinvenuto un graffito con la scritta: «XAIPE MAPIA» («Cháire Maria»), cioè «Ave Maria », incisa in caratteri greci.
I Vangeli ci descrivono la Madre di Gesù come una ragazza semplice e considerando l’età molto giovane in cui le donne si sposavano in Oriente possiamo immaginare che non avesse più di 14 o 16 anni. Il suo nome era piuttosto comune all’epoca, mentre nell’antica storia ebraica risulta attestato soltanto per la sorella di Mosè: in egiziano può significare sia “bella” che “amata”, mentre in ebraico “Mirjam” ha più il significato di “glorificata”, “esaltata”. La troviamo in adorazione del suo bambino, all’interno della grotta o della stalla: due possibilità equivalenti, dato che le povere case dell’epoca avevano una parte scavata nella roccia e ospitavano sia la famiglia, in un’area solitamente rialzata, sia gli animali che servivano per il sostentamento. Aveva scelto di far nascere il Salvatore in un luogo appartato, lontano da occhi indiscreti e dalla  promiscuità di una casa affollata come lo dovevano essere tutte in quei giorni di censimento.

Giuseppe
Accanto a Maria, rappresentato solitamente in piedi, appoggiato al bastone, c’è Giuseppe. Matteo ci dice che egli «era giusto». La sua figura godrà di enorme popolarità nell’era cristiana, anche se scompare completamente dalla scena dei Vangeli dopo l’infanzia di Cristo e di lui si sa davvero pochissimo. La tradizione vuole che quest’uomo fosse vecchio. All’origine di questa credenza non c’è soltanto la totale assenza del padre putativo di Gesù nel momento in cui il Figlio inizia il suo ministero pubblico, assenza che farebbe presumere che all’epoca egli non fosse più in vita. C’è pure la volontà di castità e la verginità di sua moglie Maria.
Quale professione svolgeva Giuseppe? Nel Vangelo di Matteo (13,55) troviamo questa definizione di Gesù: «Non è egli forse il figlio del carpentiere?». Cristo stesso dall’evangelista Marco (6,3) viene definito «carpentiere». Siamo stati abituati a rendere il testo greco “tékton” con “falegname”. Ma gli studi più recenti tendono a riconsiderare questa definizione e a proporci un Giuseppe “costruttore” più che falegname, pur rimanendo questa, ovviamente, soltanto un’ipotesi. “Tékton” all’epoca indicava per lo più un operaio che lavorava materiale duro (dunque non solo legno, ma anche pietra) e che sapeva fare di tutto. Un indizio che farebbe propendere per la soluzione che vuole un Giuseppe costruttore viene da alcune parabole di suo Figlio, dedicate all’arte di costruire una casa. Scavi archeologici hanno portato alla luce l’esistenza di un teatro a Sefforide (l’odierna Sippori), città che fino al 20 a.C. era stata capitale della Galilea, poi soppiantata da Tiberiade. Questo centro, che nel Nuovo Testamento non è mai nominato, sorgeva a meno di sei chilometri da Nazaret, e Carsten Peter Thiede ha ipotizzato che Giuseppe e il figlio Gesù abbiano lavorato alla sua realizzazione.

I pastori
Allargando il nostro sguardo sulla scena della natività, scorgiamo i pastori. Quel bambino, un re così diverso da Erode e dai lussi del suo palazzo, quel re nato in circostanze così umili, ha avuto l’omaggio dei suoi primi “sudditi”. Sudditi di condizione sociale non molto differente, in fondo, da quella dello stesso re Davide, alla cui stirpe Giuseppe apparteneva, un re che era stato pastore di pecore. Nella Palestina dell’epoca c’erano pastori dediti totalmente al nomadismo, che rimanevano dunque fuori dalle città tutto l’anno con i loro greggi, alla continua ricerca di un po’ di pascolo per gli animali. «Pecorai di tal genere», scrive l’abate Giuseppe Ricciotti, «riscuotevano una pessima reputazione presso i Farisei e gli Scribi: in primo luogo la loro stessa vita nomade nella steppa scarseggiante d’acqua li rendeva lerci, fetenti, ignari di tutte le fondamentalissime leggi sulla lavanda delle mani, sulla purità delle stoviglie, sulla scelta dei cibi. […] Inoltre passavano per ladri tutti quanti, e si consigliava di non comperare da loro né lana né latte che potevano essere cose refurtive».
Erano considerati esseri «abbietti e maneschi », e venivano esclusi dai tribunali: la loro testimonianza, si legge nella tradizione talmudica, non era infatti accettata in giudizio, al pari di quella dei ladri e degli estorsori. L’Altissimo fatto carne, l’evento destinato a dividere in due la storia dell’umanità, il Messia tanto atteso dal fedele popolo d’Israele si manifesta innanzitutto ai pastori «lerci e fetenti », i quali avranno lasciato, ai piedi del neonato, un po’ di lana e un po’ di latte. Il biblista Gianfranco Ravasi ha proposto questa osservazione a proposito dei verbi utilizzati dall’evangelista Luca. «È curioso notare», scrive il biblista, «come tutto il racconto sia costellato di verbi di moto e di sorpresa: “Andiamo, vediamo, conosciamo, andarono, trovarono, videro, riferirono, tutti udirono, si stupirono, tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quanto avevano udito e visto”». C’è un grande stupore in questi primi adoratori di Gesù che prontamente rispondono all’invito dell’angelo e subito si recano nella grotta. Qui, come in moltissimi altri brani dei Vangeli, l’importanza del fatto cristiano non è nel messaggio simbolico, ma nella concretezza, nell’imbattersi di una persona, che viene vista, incontrata. Nel testo greco dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli il termine “vedere” ricorre ben 560 volte.

Gli angeli e i magi
I pastori, primi adoratori di Gesù, sono convocati alla grotta da un angelo. I Vangeli dell’infanzia registrano una notevole presenza di queste figure. Un angelo annuncia a Maria il progetto che Dio ha su di lei, ottenendo quel «sì» che ci ha spalancato le porte del cielo. Un angelo spiega in sogno a Giuseppe che deve accogliere Maria anche se è rimasta incinta. Un angelo avvertirà, sempre in sogno, il padre putativo di Gesù del pericolo imminente e della necessità di fuggire lontano da Betlemme.
Se allarghiamo ancora lo sguardo, nel nostro presepio scorgiamo i magi, la cui presenza è collegata alla figura del re Erode il Grande, un sovrano sanguinario, che vuole servirsi di loro come “agenti sotto copertura”, per scovare il Messia. Il contesto in cui viene al mondo Gesù ci è raccontato dall’evangelista Matteo con la strage degli innocenti, un episodio altamente drammatico, un fatto di sangue con dei bambini come vittime, che contribuisce a sfatare una certa immagine del Natale come fiaba zuccherosa.
Chi erano, dunque, i magi? Il Vangelo non ci dice molto, ed è vaga anche l’indicazione della loro provenienza, da Oriente, una definizione che geograficamente designa tutte le regioni al di là del fiume Giordano, dove s’incontrano prima l’immenso deserto siroarabico, quindi la Mesopotamia (Babilonia) e infine la Persia. Tra tutte, sembrerebbe essere proprio la Persia la loro patria più verosimile, dato che proprio il termine “magi” è di origine persiana ed è legato all’antica dottrina di Zaratustra.
Lo storico greco Erodoto (485-425 a.C.), considerato il padre fondatore della storiografia occidentale, afferma che “magi” era il nome di una tribù della Media ed è probabile che all’epoca rappresentassero una sorta di casta sacerdotale chiusa. Ma il nome è certamente più antico e significa “partecipe del dono”, cioè della dottrina di Zaratustra.
Va detto poi che secondo alcuni studiosi proprio a Zaratustra sarebbe da attribuire una profezia circa la nascita presso il popolo ebraico di un re apportatore di pace per il mondo e questo spiegherebbe la notevole influenza che la religione e la dottrina zoroastriana avrebbero avuto sulla cultura religiosa ebraica a partire almeno dal periodo dell’esilio babilonese, nel VI secolo avanti Cristo. Il Libro biblico di Daniele parla però spesso di magi babilonesi: «In effetti», osserva Ravasi, «Babilonia aveva il primato nell’antico Oriente riguardo agli studi astronomici e astrologici. Là, anche ai tempi di Gesù, era presente una nutrita colonia giudaica che forse aveva trasmesso la sua attesa messianica anche ai magi babilonesi».
Quella di Babilonia appare dunque la collocazione maggiormente favorita dalle implicazioni astrologiche. Ciò che è interessante è il fatto che tali personaggi all’epoca di Cristo non rappresentavano affatto delle proiezioni mitiche o leggendarie.

 

 

 

 

Dossier: Natale e tradizioni

 

IL TIMONE  N. 98 – ANNO XII – Dicembre 2010 – pag. 36 – 38

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