Da Cosma e Damiano a Ildegarda di Bingen, da Nicola Stenone a Camillo de Lellis, da Giuseppe Moscati a Gianna Beretta Molla: l’elenco dei grandi cristiani dediti ai malati è praticamente senza fine. Insieme al sacerdote, sono loro il ponte verso il Cielo
La storia della Medicina non è soltanto la storia di invenzioni, di scoperte, di progressi scientifici. È anche la storia di uomini che hanno dedicato la propria vita a prendersi cura di chi soffre. Medici, ma anche infermieri, o altre figure che fin dall’antichità praticarono in modo eroico, fino alla santità, l’arte del guarire. Da Gesù Cristo, che era anche medico, fino al Medioevo che inventa gli ospedali, fino al Rinascimento e infine alla modernità iper-tecnologica dove chi soffre ha bisogno anzitutto di una presenza umana accanto a sé.
Da Cosma e Damiano a Ildegarda di Bingen, da Nicola Stenone a Camillo de Lellis, da Giuseppe Moscati a Gianna Beretta Molla, ciò che colpisce, nelle vicende personali e professionali di questi santi “sanitari” – medici, infermieri, farmacisti – canonizzati o meno, è il fatto che spesero le loro vite per lenire i mali del corpo senza dimenticare le esigenze dell’anima. Molti di loro vissero le loro virtù umilmente, nel nascondimento, così come per secoli molti medici e infermieri sconosciuti hanno dedicato silenziosamente e umilmente la loro vita al bene del prossimo, ovunque, in ogni angolo del mondo.
Non ebbero paura di dedicare a questo scopo la loro vita, affrontando il tanto male che c’è nel mondo, valorizzando il tanto bene che vi è ancora.
Gianna Beretta Molla, medico e mamma che rifiutò di abortire la creatura che portava in grembo dopo che le era stato diagnosticato un fibroma all’utero e che di conseguenza offrì la sua vita perché la sua bambina potesse venire alla luce, diceva che il medico credente ha una responsabilità enorme: egli può arrivare là dove magari il sacerdote può essere rifiutato da un malato, magari per motivi ideologici, o per la rabbia di fronte all’evento della malattia che, soprattutto quando inguaribile, viene spesso percepita come ingiustizia. Un medico, invece, non viene mai respinto, di lui il malato non può fare a meno. Il medico cristiano ha dunque delle possibilità di apostolato, e dei doveri di testimonianza della fede, pressoché unici. Un compito che nel corso della storia medici che vivevano la propria professione illuminati dalla Grazia e dalla Fede hanno praticato a volte fino all’eroismo, fino alla santità.
E questo non solo nell’antichità, o nel Medioevo, ma anche nella modernità, nel tempo di una medicina che andava facendosi sempre più tecnologizzata. Un medico cristiano fortemente impegnato a mostrare tutta la ragionevolezza della fede, il primo medico del ’900 ad essere elevato agli onori degli altari, fu Giuseppe Moscati, nato a Benevento nel 1880 e morto a Napoli nel 1927.
Medico eccellente e caritatevole, insigne ricercatore e docente, uomo di grande dirittura morale e di fede profonda, Giuseppe Moscati giunse alla santità incarnando nell’ordinaria concretezza dell’esistenza quotidiana l’ideale del laico cristiano. Fin da giovane i due punti di riferimento principali della sua vita erano stati la fede e l’amore per lo studio.
Divenne un clinico dotato di geniale intuizione e di una mirabile attitudine alla diagnosi. Riusciva sempre a individuare il segreto delle varie malattie pur nella complessità dei sintomi. Le sue straordinarie doti cliniche e didattiche, unite alla testimonianza cristiana generosa e coerente, ne fecero rapidamente crescere la fama fra gli ammalati, che a lui si affidavano sempre più numerosi, e tra i giovani medici e studenti di medicina, che in lui riconoscevano un modello da seguire, ma anche un amico e un consigliere. Fu proprio la consapevolezza del bene che poteva fare ai malati e ai giovani colleghi a spingerlo a dedicarsi prevalentemente all’attività di corsia. La notevole fama non era per lui motivo di superbia né di vanagloria; al contrario, egli si mantenne sempre umile, disponibile, dimentico di sé. Moscati si donava ai pazienti con un amore che non conosceva risparmio, soste o limiti. La sua esistenza trascorreva facendo del bene, a imitazione del Medico divino delle anime. La sua giornata iniziava tutte le mattine con la Messa, e terminava a tarda ora a casa di qualche malato. Morì a soli 47 anni, dopo aver consumato tutte le proprie energie al servizio del prossimo.
Se Moscati esercitò la sua opera nelle corsie degli ospedali, un altro santo medico, Riccardo Pampuri, diede la sua straordinaria testimonianza nell’umile ma preziosissimo lavoro del Medico condotto, lavorando in un paese della bassa pavese. Il giovane dottore di campagna considerava l’essere medico una straordinaria occasione per fare del bene e fare dell’apostolato, per stare vicino alle anime. Dopo anni di esercizio instancabile della professione, decise di consacrare totalmente la sua vita a Dio, diventando religioso dell’Ordine dei Fatebenefratelli, creato secoli prima da san Giovanni di Dio proprio per l’assistenza ai sofferenti. Anche Riccardo Pampuri morì prematuramente, a soli 33 anni, per un’infezione contratta assistendo dei malati. La sua vocazione era stata quella di amare Dio senza misura nell’amore e senza misura nel dolore, e fare tutto per amore. È venerato nella chiesa parrocchiale del suo paese, Trivolzio, dove si può contemplare il suo corpo avvolto nella veste di religioso, ma con accanto lo stetoscopio, segno del suo essere stato un medico.
DA NON PERDERE
Paolo Gulisano, L’arte del guarire. Storia della medicina attraverso i santi, Ancora, 2011.
Il libro di Paolo Gulisano – medico, studioso di storia della medicina e saggista – racconta in modo avvincente quello che è stato per duemila anni il compito autentico della medicina e del Cristianesimo: farsi carico della sofferenza e della malattia. Martiri, vescovi, eremiti, monaci, mistici, predicatori, missionari, taumaturghi, parroci: da duemila anni i cristiani hanno fornito l’esempio di una risposta senza riserve al richiamo del Vangelo. La Chiesa, proclamandoli beati e santi, li ha proposti come modelli. Ma i comuni fedeli li hanno accostati per riceverne soprattutto protezione e conforto nella quotidiana fatica del vivere.
IL TIMONE N. 126 – ANNO XV – Settembre/Ottobre 2013 – pag. 44 – 45
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