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11.12.2024

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I Santi, segno di contraddizione
31 Gennaio 2014

I Santi, segno di contraddizione


I tempi cambiano, ma la figura del santo resta l’esempio e la meta della vita di ogni cristiano. Che deve combattere e vincere i pericoli che giungono dalla “carne”, dal “demonio” e dal “mondo”

Esiste una certa immagine tradizionale del santo come persona dolce e mite, irradiante attorno a sé pace e concordia, immersa in un ambiente pacifico, ammirata e seguìta da una folla di persone tranquille e pacifiche.
Certo non si ignorano le forze ostili: il santo è osteggiato, secondo la triade tradizionale, dalla “carne”, cioè il peccato e gli impulsi cattivi che egli deve vincere, dal “demonio” e dal “mondo”. Per quanto riguarda quest’ultimo “nemico”, si sa come l’agiografia e l’apologetica ottocentesca avessero la tendenza a vedere i nemici dei santi, della Chiesa e di Cristo come una specie di esercito compatto ben visibile e dichiarato, schierato in faccia alla Chiesa intesa a sua volta come un altro esercito ben disciplinato, unito nella dottrina e nella prassi sotto la guida del generale dell’esercito, il Sommo Pontefice, attorniato dagli ufficiali, cioè i vescovi e i teologi, tutti compatti contro il nemico infernale e il mondo cattivo e crudele. Indubbiamente si tratta di una certa immagine oleografica più propria di certi predicatori popolari che non della coscienza che la Chiesa e i santi avevano di sé anche allora.
Una chiara rottura di questo schema si ebbe con la famosa enciclica Pascendi di san Pio X, il quale, con pastorale perspicacia e sorprendente coraggio, osò denunciare nei “modernisti” dei nemici interni alla Chiesa. La cosa scandalizzò coloro che erano attaccati al vecchio schema. Eppure, si trattava di un’immagine perfettamente evangelica, secondo quanto Giovanni dice di Cristo stesso: «Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto». I nemici più duri di Cristo sono stati proprio elementi del suo popolo, del “popolo eletto”, persone che maggiormente avrebbero dovuto accoglierlo, apprezzarlo e seguirlo. E ancora oggi, come sappiamo bene, molti elementi del popolo ebraico si rifiutano di riconoscere Gesù come Messia.
In ogni caso, è evidente che la figura del santo come uomo mite e pacifico fa parte della sostanza perenne della santità. Egli è combattuto dalle forze nemiche di Cristo e della Chiesa, forze che, come ho detto, possono trovarsi all’interno della Chiesa stessa. D’altra parte, il fatto che il santo sia un uomo di pace non vuol dire che egli non debba combattere quella che Paolo chiama la “buona battaglia”.
Nel contempo, facilmente attorno al santo si scatenano dei conflitti, come per esempio tra coloro che vorrebbero tirarlo dalla loro parte e coloro che lo disprezzano. Il santo, da parte sua, possiede una grande capacità di mediazione data dal fatto che egli non è un uomo di parte, ma possiede una visione globale e sintetica della vita cristiana che gli consente di collegare aspetti apparentemente contrari ma che in realtà sono reciprocamente complementari. Questo si nota nel pensiero, nella vita e nelle opere del Servo di Dio, il teologo domenicano Padre Tomas Tyn (1950-1990), del quale da alcuni anni curo la Causa di Beatificazione come Postulatore e del quale già in passato il Timone ha avuto occasione di interessarsi. Ebbene, lavorare per un Servo di Dio significa immettersi in un clima spirituale e comunitario simile a quello che visse Cristo stesso, se è vero che i santi sono immagini privilegiate di Cristo e quindi persone alle quali è capitato nella loro vita quanto è capitato a Cristo, che, come dice Luca (2,34), è stato «segno di contraddizione» (semèion antilegòmenon = segno contraddetto, per tradurre alla lettera).
Tempo fa una persona, accennando al mio lavoro per Padre Tyn, mi ha detto: «Il lavoro per questa Causa è poco convincente, giacchè vi sono troppi contrasti attorno alla sua figura! ». Io gli ho fatto notare che questi conflitti sono segno di una faziosità che era estranea alla personalità di P. Tomas, il quale per il suo superiore equilibrio era al di sopra delle parti. A questo punto, questa persona, che in fondo è un’ammiratrice di P. Tyn, mi ha dato ragione, sicchè implicitamente ha mostrato propensione per la bontà della Causa per la quale lavoro.
Che un santo sia contrastato da nemici del Signore è una controprova della sua santità, in quanto i suoi nemici sono quelli che ha avuto Cristo stesso. Eppure, la serena sopportazione di queste incomprensioni e queste ostilità è proprio una delle vie che conducono al successo della Causa, così come Cristo ha vinto i suoi nemici con la pazienza e la carità, naturalmente non senza rispondere alle loro obiezioni sino al punto di minacciarli di essere dannati nel caso non si fossero convertiti.
Nella Chiesa del post-concilio si è diffusa un’immagine del rapporto della Chiesa col mondo che è l’esatto opposto di quella dell’Ottocento; ma come quest’ultima immagine non corrispondeva a quella che propriamente presentavano il Magistero ufficiale e l’esempio dei santi di allora, così questo schema moderno non corrisponde veramente agli insegnamenti del Magistero di oggi e a quanto si dà nelle Cause di Beatificazione contemporanee, legate peraltro a un modello di santità, il quale, se mantiene la tradizionale opposizione al “mondo”, non ignora anche l’aspetto positivo del mondo e quindi il dovere del cristiano di evidenziare tale aspetto che è stato salvato dal Sangue di Cristo, Figlio di quel Dio che «tanto ha amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo».
Oggi esiste l’idea che la Chiesa e quindi il santo non hanno nemici da vincere, né eretici da confutare, né increduli da convertire, ma semplicemente si trovano di fronte ad una pluralità di diverse religioni e culture, con la quali dialogare e con le quali si può e si deve convivere pacificamente in un arricchimento continuo. Naturalmente, questa concezione non corrisponde ai veri insegnamenti del Magistero di oggi, e tuttavia ha preso molto piede in una certa mentalità corrente così come nell’Ottocento aveva successo la mentalità che ho detto.
Il dovere di oggi è allora quello di accettare serenamente e coraggiosamente questa impostazione moderna della santità nella Chiesa e nel mondo, così come comincia a emergere implicitamente dalla Pascendi di san Pio X: bisogna abituarsi a convivere con chi è cattolico di nome ma non di fatto, bisogna sapere imitare meglio l’esempio di Nostro Signore respinto dai suoi, ma che tuttavia ha dato la sua vita anche per loro giungendo dall’alto della croce a dire al Padre: «Perdonali, o Padre, perché non sanno quello che fanno».

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«I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium 50)».
(Benedetto XVI, Udienza Generale, mercoledì 13 aprile 2011).


IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Novembre 2012 – pag. 54 – 55

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