San Francesco è universalmente conosciuto e stimato. Anche da chi non crede. Ecco perché. Intervista a padre Gianluigi Pasquale, autore di una biografia sul santo
«Francesco, perché tutto il mondo ti corre dietro?», chiede nei Fioretti frate Masseo da Marignano, lasciandoci intuire che anche chi ha vissuto accanto al santo, condividendo pane e quotidianità, chi lo ha visto cantare la bellezza di Dio tra i poveri, dietro alla sua azione travolgente non poteva non riconoscere la presenza del Mistero. Oggi, 800 anni dopo, la domanda di fra’ Masseo è più attuale che mai. Francesco d’Assisi non è solo uno dei santi più amati e venerati nella storia della Chiesa, ma è visto come modello di autenticità evangelica anche da chi si professa non credente. Riflesso di questa attrazione è stata l’ondata immediata di benevolenza e simpatia che Jorge Maria Bergoglio ha suscitato scegliendo di chiamarsi appunto Francesco. Ma come mai «tutti corrono dietro a Francesco? » Ci risponde Gianluigi Pasquale, cappuccino, docente alla Pontificia Università Lateranense, autore del libro San Francesco d’Assisi. Un principio senza fine (Ed. Lateran University Press, 2009).
«San Francesco d’Assisi, chiamato anche poverello, si era collocato sia nella Chiesa che nel mondo come l’esatto contrario di quello che il filosofo Nietzsche definiva “spirito della volontà di potenza”, ovvero con estrema umiltà e semplicità. In questo modo ha attirato come un polo magnetico l’interesse della gerarchia ecclesiastica con papa Innocenzo III, poi della cittadinanza di Assisi, e infine di tutta la politica di quel tempo. Lo stesso meccanismo si ripete oggi, perché se c’è un santo che raramente viene scalfito da qualsiasi increspatura superficiale e anche di critica è proprio san Francesco d’Assisi. Trascina i cattolici, conquista i non cattolici, e affascina anche coloro che si dichiarano non credenti».
La famiglia francescana è tra le più ricche, feconde, ramificate della storia della Chiesa. Dopo secoli dimostra di reggere ancora le difficoltà fisiologiche interne, la complessità del mondo che cambia, e continua ad attirare vocazioni in varie parti del mondo. Qual è il suo segreto?
«Per rispondere proviamo a guardare quello che sta succedendo in India o in altre zone dell’Asia o dell’Africa, dove tanti ragazzi scelgono di dare forma alla loro vocazione con i francescani. Lo fanno principalmente per il rapporto che abbiamo con la gente. Se un segreto c’è, è questo. Laddove i francescani vivono penetrando nel territorio, intercettando la sensibilità delle comunità che incontrano, ponendosi su un piano di fratellanza, le persone si sentono in famiglia e desiderano esser parte di questa famiglia. Ma c’è anche un altro aspetto non meno importante, ovvero il grande insegnamento che Francesco ha estratto dal Vangelo: che i frati siano uguali fra loro e che il guardiano, ovvero il superiore, sia il servo di tutti».
Da san Bonaventura a sant’Antonio, da santa Chiara a Padre Pio, la famiglia francescana ha dato al mondo santi dalla spiritualità straordinaria. Che cosa ci raccontano del carisma di San Francesco?
«Francesco d’Assisi è stato il primo uomo stigmatizzato della storia; le stimmate che ha ricevuto a La Verna sono la risposta fisica sulla propria carne al grande amore che aveva per Gesù Cristo: questo è il nucleo teologico e storico su cui si innesta la spiritualità francescana e sta alla base della grande fioritura di Santi che ha dato al mondo. Queste grandi figure hanno saputo incarnare tre elementi fondamentali. Primo fra tutti, il cristocentrismo francescano: Francesco era un grande innamorato del Signore Gesù perché sapeva che il Signore Gesù si era innamorato di lui, ricordiamo che San Francesco è morto cieco, consumato dalla commozione per il grande amore che Gesù aveva per lui; in secondo luogo, Francesco ha cercato di riformare la Chiesa dall’interno cioè riformando innanzitutto se stesso; infine, l’amore per il creato, ogni allodola ogni fiore, ogni tramonto, ogni alba, era per Francesco motivo per rendere lode a quel Creatore che ha dato il nome ha tutte le cose. La sintesi di questi tre elementi ha portato tanti figli e figlie di San Francesco sulla via della santità, in sostanza far tutto per amore del Signore Gesù».
A rendere Francesco autentico agli occhi del mondo è il suo amore per i poveri, eppure forse sfugge il cuore di questo suo abbraccio alla povertà.
«Francesco aveva scelto la povertà perché fotografava al meglio il nucleo centrale dell’incarnazione del Signore Gesù Figlio di Dio. Essa va aldilà del fatto che fosse nato in una stalla, che fosse vissuto umilmente, e fosse morto nudo sulla croce. Francesco aveva intuito che l’incarnazione è Dio che si inabissa nella nostra umanità, che è povera in quanto segnata dalla fragilità del peccato. È il poverello perché convertito, cioè rivolto verso Dio proprio grazie al bacio con quel lebbroso, che è il povero tra i poveri, perché oltre ad essere ammalato era relegato ai margini della società e quindi privato da qualunque relazione con la civitas. Soltanto abbracciando il lebbroso che ripugnava, Francesco abbraccia quella che chiamerà Madonna povertà…».
Francesco era il re delle feste, un esibizionista che sognava la gloria cavalleresca. Questi tratti così marcati del giovane figlio di Pietro di Bernardone e Donna Pica sono scomparsi con la conversione?
«È vero, Francesco è stato il re delle feste, lo stesso nome Francesco deriva dall’amore che il padre aveva per la Francia e i vezzi francesi, ma il temperamento gioioso e anche un po’ cavalleresco di Francesco prima della conversione costituisce un unicum con quello che sarà dopo. Francesco ci teneva alla leadership, a essere protagonista: l’incontro con Dio lo trasfigura fino a portare il suo carattere giocoso ed esuberante alla perfetta letizia. È solo perché Francesco è stato il re delle feste che di fronte a Sorella Morte ha potuto scrivere il Cantico delle creature. Era già cieco e moribondo, eppure ha saputo comporre questo canto di lode perché era passato attraverso la trasfigurazione. Francesco ha trasferito la sua “giullarità” fino alla comprensione del fatto che, anche nelle vicende negative – quelle che per noi sono una croce – emerge sempre il positivo. Che altro non è se non il segno della resurrezione di Dio».
Quale è il dono più prezioso, ma più difficile da comprendere, che ci ha lasciato Francesco d’Assisi?
«Il riconoscimento reciproco nei rapporti umani, qualunque mancanza di gradazione gerarchica nell’intessere rapporti con gli altri, la totale uguaglianza tra fratelli, che non è egualitarismo. L’altro è figlio di Dio, mio fratello, per questo lo devo servire. Siamo “signori degli altri” quando ci lasciamo dominare dagli altri, in questo modo diventiamo “signori di noi stessi” perché sappiamo innanzitutto dominare noi stessi».
IL TIMONE N. 124 – ANNO XV – Giugno 2013 – pag. 42 – 43
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