Il miracolo è un segno della costante presenza di Dio nella storia dell’uomo. Che oggi anche la scienza può constatare. Il miracolo per la canonizzazione di Padre Pio.
Nei soli venticinque anni del pontificato di Giovanni Paolo II, la Congregazione delle cause dei santi ha approvato più di 350 miracoli, che hanno consentito di elevare all’onore degli altari donne e uomini, consacrati e laici, di ogni parte del mondo.
Fra i più straordinari esempi degli ultimi tempi, spicca il miracolo che ha portato padre Pio da Pietrelcina alla canonizzazione, celebrata in piazza San Pietro il 16 giugno 2002, a soli tre anni di distanza dalla beatificazione, che si era svolta il 2 maggio 1999.
Una cinica freddura ospedaliera recita: «Il paziente è ancora vivo soltanto perché ci siamo dimenticati di dirgli che era morto». È esattamente ciò che viene da pensare leggendo la cartella clinica di Matteo Pio Colella, un bambino di 7 anni ricoverato d’urgenza in ospedale nella serata del 20 gennaio 2000 per una sospetta meningite.
Nato proprio a San Giovanni Rotondo, Matteo Pio frequentava la seconda elementare nella scuola «Francesco Forgione» (il nome di padre Pio da laico). Intorno alle 9,10 di quel giovedì 20 gennaio, come ha testimoniato la maestra Concetta Centra, il bambino «che era giunto in condizioni del tutto normali, ha cominciato a manifestare brividi generalizzati e teneva il capo inclinato verso il banco. Ho capito subito che non si trattava di un malanno banale, per cui provvidi personalmente a chiamare la mamma sul telefonino».
Poco dopo venne a prenderlo a scuola il papà, Antonio Colella, medico nell’ospedale «Casa Sollievo della Sofferenza» (fondato da padre Pio e inaugurato il 5 maggio 1956). Pur se la febbre persisteva elevata, nel pomeriggio la situazione appariva sotto controllo, come confermò anche l’amico pediatra Michele Pellegrino, il quale per scrupolo, ricordando una precedente esperienza professionale, consigliò comunque di controllare periodicamente la pelle del piccolo per rilevare eventuali segnali di infezione meningococcica.
Intorno alle 20.30, rientrando dal lavoro, la mamma Maria Lucia Ippolito andò nella stanza di Matteo Pio per dargli un bacio e inorridì rendendosi conto che sul suo collo c’erano diverse petecchie, le macchie emorragiche che in genere segnalano la fragilità dei capillari dovuta a una malattia infettiva. Alle 21.20 i genitori lo portarono al pronto soccorso della «Casa Sollievo della Sofferenza»: quando lo spogliarono per visitarlo, ha sottolineato il papà durante l’inchiesta diocesana sul miracolo, «mi rendo conto della tragedia che si sta consumando davanti ai miei occhi». E la mamma, anch’ella esperta di medicina, ha aggiunto: «Sono sempre più consapevole dell’irreversibilità della tragedia che si sta compiendo. Sto perdendo mio figlio e non posso fare nulla».
Dall’esame colturale del liquido prelevato tramite la puntura lombare emerse chiara la diagnosi: «Neisseria meningitidis beta-lattamasi negativa». Il complesso delle analisi di laboratorio mise in luce una situazione estremamente preoccupante: febbre oltre i 40 gradi, tachicardia (120 battiti al minuto), ipoglicemia, carenza di piastrine, eccesso di bilirubina e di creatinina. Tutto faceva pensare che si trattava di una meningite fulminante, evolutasi in sole dodici ore.
Matteo Pio venne ricoverato nel reparto di Rianimazione II e durante la notte le sue condizioni, nonostante il trattamento intensivo, peggiorarono drammaticamente. Nell’arco di un’ora, fra le 10 e le 11 del 21 gennaio, il deterioramento delle sue funzioni vitali giunse a un punto tale che il primario Pietro Gerardo Violi e l’anestesista rianimatore Alfredo Del Gaudio si arresero, considerando, secondo la testimonianza di un infermiere presente, «una cattiveria il proseguire nei tentativi di rianimazione»: la dilatazione delle pupille era fissa in ambedue gli occhi, la saturazione dell’ossigeno nel sangue giunse a un picco del 18 per cento, il cuore batteva soltanto 25 volte al minuto e non si riusciva più a rilevare la pressione arteriosa.
Dal punto di vista clinico, gli organi collassati erano nove: il sistema nervoso, il fegato, il sangue e la coagulazione, la cute, gli apparati cardiovascolare, respiratorio, gastrointestinale, endocrino e urinario. Ha dettagliato il professor Violi: «La letteratura internazionale, valutando la percentuale di mortalità dell’insufficienza multiorgano, si ferma nella casistica all’interessamento di cinque organi, perché subito dopo, cioè a sei, non si è mai descritta la sopravvivenza di nessun paziente, proprio perché la mortalità è del cento per cento».
Ma, di fronte all’impotenza dei sanitari, intervenne la forza della grazia divina. Si può dire che il bambino, in qualche modo, vi fosse predestinato, a cominciare dal nome di battesimo che fa riferimento proprio al frate, cui i genitori erano da sempre devoti, tanto da condurre ogni domenica il figlio a pregare sulla tomba del cappuccino. E per Matteo Pio può sembrare quasi “obbligata” l’intercessione di padre Pio, tante sono state le persone coinvolte nella catena di preghiera. Come documentano le parole di fra’ Modestino, il portinaio del convento di San Giovanni Rotondo, che è considerato dai devoti di padre Pio il custode del suo lascito spirituale: «Io gliel’ho detto: prega per Matteo, fa’ che questo sia il miracolo per la tua santificazione».
Rapidamente, le condizioni del bambino cominciarono a mostrare segni di miglioramento, che costantemente proseguirono nei giorni successivi, sbalordendo i medici che avevano pronunciato la diagnosi infausta. Gli esami clinici accertarono che il prolungato arresto cardiaco e l’edema polmonare acuto non avevano causato alcuna lesione cerebrale, cardiaca, respiratoria o renale al bambino, che probabilmente è anche il primo e unico al mondo ad aver chiesto e ottenuto di poter giocare con la playstation in un reparto di rianimazione.
Il 25 febbraio, dopo poco più di un mese di ospedale, Matteo Pio fu dimesso e dopo un altro mese di terapie riabilitative poté riprendere senza problemi anche la frequenza scolastica.
Al risveglio dal coma, il piccolo raccontò di aver visto accanto al suo letto un vecchio con la barba bianca e il vestito lungo e marrone, che gli aveva detto: «Non ti preoccupare, tu presto guarirai». Alla mamma ha precisato: «Io dormivo e mi guardavo da dietro il letto, dove erano le pompe. A un certo punto ho visto dalla porta del box tanti spicchi di luce fortissima che entravano. La luce mi ha svegliato e allora ho visto prima Padre Pio e poi gli angeli dall’altro lato».
La maestra Concetta Centra ha successivamente recuperato il compito natalizio di Matteo Pio: «Stranamente nella circostanza del Natale 1999 ha scritto solo poche parole, lui che solitamente faceva composizioni lunghe». E in quella paginetta c’è come il presagio di quanto sarebbe accaduto soltanto un ventina di giorni più tardi: «Ho sognato Gesù Bambino, che mi ha fatto tanti regali. Ma il regalo che vorrei quest’anno è di conoscere il vero Gesù».
Rino Cammilleri, Vita di Padre Pio. Dal primo miracolo alle lotte contro il demonio, la storia di uno dei santi più amati, Piemme 2002.
Saverio Gaeta (a cura di), Le stimmate della fede, San Paolo 1999.
Maria Lucia Ippolito, Il miracolo di padre Pio, Mondadori 2002.
IL TIMONE – N. 31 – ANNO VI – Marzo 2004 – pag. 14 -15