Il voto alle elezioni amministrative e ai referendum ha messo drammaticamente in mostra come il mondo cattolico non comprenda la ragione dei “princìpi non negoziabili”. Che è anche l’incomprensione della portata della Resurrezione di Gesù
I primi cristiani compresero «che la risurrezione di Gesù era in grado di illuminare l’esistenza umana. E in effetti da questo evento è nata una nuova comprensione della dignità dell’uomo e del suo destino eterno, della relazione fra uomo e donna, del significato ultimo del dolore, dell’impegno nella costruzione della società». Queste parole pronunciate dal papa Benedetto XVI lo scorso 13 giugno al Convegno ecclesiale della diocesi di Roma sono il punto di partenza per comprendere anche il fondamento su cui poggia il criterio dei “princìpi non negoziabili” che il Magistero pone al cuore dell’impegno politico. Un criterio, però, che le ultime elezioni amministrative e i referendum hanno mostrato chiaramente essere incomprensibile per la maggior parte dei cattolici, alcuni pastori compresi.
Dalle prese di posizione pubbliche, si è visto infatti che a ispirare gran parte del voto dei cattolici in entrambe le consultazioni sono stati una serie di criteri che poco avevano a che fare con i fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. D’altra parte, le parole del Papa sono importanti anche per evitare che la stessa proposizione dei “princìpi non negoziabili” diventi un’ideologia.
Il punto di partenza, dunque, è in un fatto: la Resurrezione di Gesù. È questo evento, dice il Papa, che fa nascere una comprensione nuova della dignità dell’uomo e quindi anche del “bene comune”, concetto tanto citato quanto incompreso nel suo vero significato. Il bene comune è infatti legato alla dimensione sociale che è connaturale all’uomo: l’“io” cresce solo se c’è un “tu”, non c’è possibilità di sviluppo umano di un bambino senza un rapporto con i genitori. Il bene comune, perciò, «non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro» (Compendio di Dottrina sociale della Chiesa, art. 164). Ecco perché ad esempio è fondamentalmente sbagliato davanti all’istituzione del divorzio affermare «Io non lo farò mai, ma non posso impedire a chi vuole di farlo…»: in gioco non c’è l’interesse di alcuni, ma il bene della società nel suo insieme. Ed è ormai evidente a tutti l’immenso costo sociale della disgregazione della famiglia che il divorzio porta con sé: danni psicologici e fisici ai figli di famiglie instabili, maggiore povertà, maggiori tassi di delinquenza minorile e dipendenza da alcol e droghe, e così via. Una recentissima ricerca statunitense sui costi economici della disgregazione familiare dimostra come soltanto per gli Stati Uniti il costo sia di 112 miliardi di dollari l’anno.
Ma torniamo al punto centrale, la resurrezione di Gesù. Questo è il fatto nuovo e unico nella storia: in un certo punto del tempo e dello spazio, Dio si è fatto uomo e con la sua morte e resurrezione, salvandoci dal peccato, ci rivela noi stessi, chi siamo, qual è il nostro destino e il senso del nostro vivere. In altre parole, rivela all’uomo l’uomo stesso. Un fatto assolutamente inconcepibile, un qualcosa che noi non potremmo mai immaginare. Ma se Gesù è risorto – soleva dire ai suoi interlocutori negli anni ’50 e ’60 il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, che poi aggiungeva «ed è certamente risorto» – allora ogni cosa va giudicata da un nuovo punto di vista, anche politicamente. Perché Dio si è fatto carne, la Resurrezione riguarderà anche i corpi, per cui ogni parte dell’uomo è dentro il disegno di salvezza. Non c’è nulla che riguardi l’uomo che non sia compreso in questo disegno: anche la scuola, il lavoro, le amicizie, i soldi, le aspirazioni che ognuno ha, tutto è preso dentro questo abbraccio. Quindi anche la politica, ovvero la “costruzione della società”. È per questo che la dottrina sociale della Chiesa è vincolante: non si tratta di ricette politiche, ma di criteri con cui affrontare la costruzione della casa comune, criteri che rispettano il “nuovo punto di vista” portato dalla resurrezione di Gesù.
E il nuovo punto di vista è quello della dignità dell’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Da questo discende che ci sono dei diritti, delle esigenze, dei compiti che sono direttamente legati alla natura stessa dell’uomo e a lui finalizzati. Ci sono dei diritti e delle prerogative che vengono prima di ogni Stato o di ogni organizzazione sociale e che, anzi, ogni Stato e ogni organizzazione sociale devono riconoscere e garantire se vogliono essere a misura d’uomo. Esattamente il contrario di ciò che accade oggi nei nostri Paesi occidentali dominati dal relativismo e dal laicismo, dove lo Stato tende a farsi assoluto, a decidere quali diritti umani difendere e quali no, fosse anche a colpi di maggioranza. Ecco perché ai diritti umani fondamentali, inviolabili, sanciti dalla Carta Onu del 1948, si sta cercando di sostituire quelli che vengono definiti “nuovi diritti umani”, come sarebbero i diritti riproduttivi (che vogliono includere anche l’aborto) o anche l’identità di genere, ovvero la cancellazione dei generi maschile e femminile che vengono dalla natura con una varietà di generi decisi di volta in volta dai singoli (uomo, donna, omosessuale, transessuale, travestito, e così via).
Proprio per questo la Chiesa, che è il corpo mistico di Cristo, ovvero la prosecuzione nella storia di quel fatto accaduto duemila anni fa e che continua a riaccadere oggi, ha individuato alcuni princìpi direttamente legati alla natura dell’uomo, immagine e somiglianza di Dio, che in nessun modo possono essere limitati. E che invece oggi vengono minacciati o addirittura negati: il diritto alla vita, la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione. Sono questi i princìpi non negoziabili che sono i criteri fondamentali da seguire e senza i quali non è possibile costruire alcun bene comune. Madre Teresa di Calcutta diceva che l’aborto è la principale minaccia alla pace e il perché è semplice: se una società sancisce il diritto del più forte a eliminare il più debole, è naturale che in ogni manifestazione di quella società vigerà il diritto del più forte, ovvero la guerra. Allo stesso modo potremmo osservare che ha del moralistico richiamare all’unità e alla cooperazione delle forze politiche quando si considera un diritto civile la divisione di una famiglia. E ancora: come si potrà trasmettere un patrimonio di cultura e di valori agli immigrati, favorendone così l’integrazione, quando ai genitori viene negato il diritto di trasmettere i propri valori e la propria cultura ai propri figli?
Ecco perché il criterio dei princìpi non negoziabili non può essere disatteso quando si fanno delle scelte politiche, sia che si sia amministratori e politici sia che si rimanga semplici elettori.
IL TIMONE N. 105 – ANNO XIII – Luglio/Agosto 2011 – pag. 18 – 19
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