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12.12.2024

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Identità cristiana e missione
31 Gennaio 2014

Identità cristiana e missione

 

 

 

Lo slancio missionario delle giovani Chiese asiatiche è esempio per tutti noi. In certi paesi dell’Asia, sono soprattutto i laici, fieri di essere cattolici, a evangelizzare e a convertire. Quanto ai cristiani d’Occidente è tempo di svegliarsi. Cominciando con un doveroso esame di coscienza. 

 

 

Nell’ottobre 2006 (19-22) si è svolto a Cheng Mai in Thailandia il primo Congresso missionario delle Chiese d’Asia, dove i cattolici sono 120 milioni (il 10% di tutti quelli del mondo), ma solo il 2,3% dei tre miliardi e 800 milioni di asiatici, che a loro volta rappresentano il 60% dell’umanità.
La notizia fa riflettere anche noi, cattolici da duemila anni: viviamo in una situazione di libertà, benessere e mezzi economici che le Chiese asiatiche assolutamente non hanno. Nei paesi comunisti e musulmani integralisti queste Chiese sorelle sperimentano la persecuzione, mentre in altre, come India e Sri Lanka, la libertà religiosa è limitata da leggi “contro le conversioni” e da gruppi nazionalisti e religiosi estremisti. Cristo, nato, morto e risorto in Asia, ancor oggi vi è considerato “straniero”! 
Le Chiese d’Asia avrebbero tutte le ragioni per assumere un atteggiamento di chiusura verso l’esterno, di difesa del “piccolo gregge” cristiano: questo è spesso l’atteggiamento che assumiamo anche noi, cattolici italiani, preoccupati del fatto che la cultura dominante non ci vuole bene, l’atmosfera di secolarizzazione non invita certo, in Italia, ad essere missionari. Invece no. Le piccole Chiese asiatiche celebrano solennemente il primo Congresso missionario continentale, organizzato dalla Fabc (Federazione delle Conferenze episcopali d’Asia) con la partecipazione di 1049 vescovi, sacerdoti, suore, laici da ogni paese; e discutono di un tema che è un programma per tutti i battezzati: “Raccontare la storia di Gesù: andate e ditelo a tutti”!
Una rivista di apologetica, come il nostro provvidenziale “Timone”, è orientata a stimolare i lettori alla testimonianza più autentica della nostra fede: la missione, che significa non solo ricuperare le radici della nostra civiltà e la vita cristiana, ma anche comunicare agli altri, nei modi opportuni, il grande dono di Dio della fede e dell’amore a Cristo. La missione riguarda tutti i battezzati: ciascuno nel suo piccolo, all’interno del suo ambiente, deve “raccontare la storia di Gesù: andare e dirla a tutti”. La fede non è un chiudersi, ma un aprirsi agli altri.
I giorni del Congresso asiatico di Cheng Mai sono stati ricchi di preghiere, liturgie e canti secondo le varie lingue e tradizioni, testimonianze, dibattiti, proposte. L’atmosfera era quella dominante anche nelle Chiese più piccole e perseguitate: l’entusiasmo della fede, che porta al coraggio di testimoniare e annunziare Cristo. Le conclusioni sono proposte concrete alle Chiese d’Asia, che non possiamo qui riprendere, ma l’anima del Congresso è ben rappresentata dal discorso introduttivo del segretario della Fabc, mons. Orlando Quevedo (Filippine), il quale ha usato un tono che noi diremmo “trionfalistico”, ma che corrisponde ai dati delle Chiese asiatiche. Esempio: l’Annuario statistico della Chiesa, edito dalla Santa Sede, dice che dal 1978 al 2004 i sacerdoti asiatici sono aumentati del 95%, da 27.700 a 48.222 e i seminaristi maggiori del 153%, da 11.536 a 29.220. Ho letto che nel 2005 la Francia (60 milioni di abitanti) aveva 500 seminaristi in tutto, fra diocesani e religiosi! Questo ci dà la misura della crisi profonda in cui si trova l’Europa “cristiana”.
Che cosa fare? Pregare e lamentarsi del nostro tempo, protestare per il non riconoscimento delle radici cristiane non basta. I cattolici asiatici reagiscono col metodo evangelico rilanciato da Giovanni Paolo II con l’enciclica Redemptoris missio (1990), sintetizzata nello slogan: «La fede si rafforza donandola!» (n. 2). Icastica espressione. Infatti, visitando molte Chiese dell’Asia, ho visto quello che il Congresso di Cheng Mai ha confermato con testimonianze concrete. Ricordo la visita in Corea del Sud (1986): una Chiesa in pieno sviluppo (oggi i cattolici sono circa il 7% dei 46 milioni di sud coreani) con centinaia di adulti battezzati all’anno per ogni parrocchia. Il padre Antonio Di Francesco, francescano conventuale a Pusan, mi diceva: «Noi preti non facciamo assolutamente nulla per avere nuovi convertiti, sono i laici che diffondono il messaggio con entusiasmo. In Corea la fede è sentita come un forte impegno di vita e il primo impegno è la missionarietà».
A Kwangju, il parroco della parrocchia Bang Rim Dong, padre Kim Hong On, mi spiegava che ogni parrocchia ha diversi movimenti e gruppi laicali (i più forti sono la Legione di Maria, i Focolarini e i Carismatici), che svolgono attività sociali e caritative, portando il messaggio nelle famiglie e negli ambienti con i quali vengono a contatto. Chi manifesta il desiderio di conoscere meglio Cristo è accolto e accompagnato nella formazione al battesimo. Perché non nascono contrasti fra parrocchia e movimenti? «Da un lato tutto è centrato nella parrocchia ed a servizio della parrocchia, dall’altro i preti accolgono tutti i carismi, dando ampio spazio all’azione dei laici. Siamo uniti nello spirito missionario di portare i coreani a Cristo, secondo i vari carismi e metodi». A Seul, il parroco salesiano di Kim 3-Dong, quartiere operaio della capitale, padre Paul Kim Bo Rok, diceva: «In parrocchia, con 9.500 battezzati e 600-700 battesimi di adulti l’anno, siamo solo due sacerdoti e quattro suore. Il vero lavoro missionario e di istruzione religiosa lo fanno i laici. Noi sacerdoti abbiamo la supervisione di tutto, mentre le suore sono impegnate nella catechesi e visita alle famiglie dei catecumeni e dei cristiani. Le persone che chiedono il battesimo e hanno bisogno di particolare attenzione le mandiamo ai corsi diocesani per catecumeni. Ogni anno abbiamo due cerimonie di battesimi di adulti, con 300 e più battezzati ogni volta. In Corea si convertono soprattutto le classi alte. I cattolici sono oggi circa il 5% dei sud-coreani, ma fra gli ufficiali delle forze armate sono il 20%, fra i politici il 12%, fra i medici il 15%, fra studenti e docenti universitari il 20%».
Fra le proposte del Congresso missionario asiatico, alcune risultano significative anche per noi: la prima, avere «una coscienza chiara della nostra identità e maturare con la vita cristiana la fierezza della fede in Cristo, testimoniandola al prossimo nella carità, nel dialogo, nella gioia»; la seconda, per essere missionari «non è necessario essere dotati intellettualmente: non si tratta di “dimostrare”, ma di “proclamare” con la vita che Gesù è l’unico Salvatore»; la terza, ciascun battezzato deve «raccontare la storia del proprio incontro con Gesù, mettendo l’accento non sui concetti, ma sui fatti verificabili, come ha fatto il Signore: “Vieni e vedi”».
Alcune domande provocatorie su cui riflettere. La mia missione incomincia dalla mia conversione a Cristo: quanto tempo dedico alla preghiera durante la giornata? Recito il Santo Rosario tutti i giorni? Ho qualche impegno di evangelizzazione nella parrocchia o in movimenti e gruppi cristiani? Contribuisco generosamente alle spese dell’apostolato? Sono capace di dire «una buona parola di fede» a chi soffre, alle persone in difficoltà? La mia persona testimonia la gioia che viene dalla fede e dall’amore a Cristo? Quanto conta Gesù Cristo nella mia vita?

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«Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l’annunzio e per la fondazione di nuove chiese presso popoli o gruppi umani, in cui ancora non esistono poiché questo è il compito primo della Chiesa che è inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare».
(Giovanni Paolo II; Redemptoris missio, 1990, n. 34).

 

IL TIMONE – N.59 – ANNO IX – Gennaio 2007 pag. 18 – 20
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