C’è da sperare che la cerimonia di beatificazione di padre Marco D’Aviano non diventi l’occasione di riaccendere vecchie e nuove polemiche provocando la reazione indignata di qualche ambiente islamico. Ma c’è pure da augurarsi che la figura del nuovo beato non venga “ridotta”, o peggio strumentalizzata, a simbolo della lotta contro l’islam, tradendo il significato cristiano della sua testimonianza.
Il frate cappuccino, nato ad Aviano (Pordenone) il 17 novembre 1631, terzo di undici figli di una famiglia dalla fede solida e profondamente devota, si chiamava Carlo Domenico Cristofori. Da ragazzo frequenta il collegio dei gesuiti e, colpito dalle figure dei martiri e degli eroi, all’età di 16 anni, dopo aver sentito i racconti di come i turchi avessero distrutto nel 1499 il castello di Aviano, si allontana da Gorizia perché vuole raggiungere l’isola di Creta, dove i veneziani stanno combattendo contro i soldati della mezzaluna. Giunto a Capodistria, aveva pensato di imbarcarsi, ma ormai stanco e affamato bussa alla porta di un convento cappuccino, dove il superiore lo dissuade a partire e lo rifocilla. Nasce da quell’incontro fortuito la sua vocazione a farsi frate. Nel 1648, a diciassette anni, Carlo Domenico entra nel convento dei cappuccini di Conegliano e l’anno dopo emette i voti di povertà, castità e obbedienza. Nel settembre 1655 è ordinato sacerdote a Chioggia, dal vescovo Francesco Grasso, e cinque anni dopo riceve la “patente” per poter predicare al popolo. A tutti gli amici e conoscenti scrive: “Sacrificherò tutta la vita per Dio e per il bene delle anime”. Il suo zelo e la sua dedizione arrivano presto anche alle orecchie dei cardinali romani e del Papa. Arrivava a predicare fino a cinque, sette e persino otto volte al giorno. Annunciava la parola di Dio e invitava ad aiutare i poveri. Durante la predicazione quaresimale raccomandava di essere generosi nelle offerte per gli indigenti e per le ragazze bisognose di dote. A Sermide, nel mantovano, durante una carestia, esorta con così tanto calore che “raccolse frumento in abbondanza da poter aiutare tutti i bisognosi, i quali ringraziavano il Signore d’aver mandato un tale predicatore”. A Gorizia, condivide le sofferenze dei cittadini colpiti dalla peste: “Con le viscere e col core compatisco e commisero.., e vorrei essere valevole di poteri e sollevare con il proprio sangue, che il farei… Con le lacrime mi fanno piangere le loro miserie”, La sua vita cambia radicalmente quando, 1’8 settembre 1676, una sua benedizione guarisce improvvisamente una suora delle Nobili dimesse di Padova, paralizzata da tredici anni.
Seguono altre guarigioni miracolose a Venezia, Chioggia, Adria, Verona. La Santa Sede lo difende da chi, in alcune diocesi venete, voleva proibirgli di benedire la gente. I suoi segni di croce e le sue preghiere ridonano la vista ai ciechi, fanno camminare i paralitici, scacciano i demoni. Le testimonianze sulla sua vita raccontano che durante una Quaresima, grazie a una sua preghiera, un bambino morto e sepolto da quattordici giorni si era risvegliato, era tornato a vivere ed era stato da lui battezzato.
La 5ua fama si diffonde in tutta Europa. Nel 1680-1681 padre Marco intraprende due viaggi missionari passando dal Nord Italia alla Francia, al Belgio, all’Olanda, alla Svizzera, al Tirolo, alla Baviera e in molti Stati della Germania. La sua benedizione diventa un’istituzione, accorrono da lui non soltanto le folle di semplici fedeli, ma anche vescovi, cardinali, principi, re e regine. A Lione, in Francia, per lui si radunano centomila persone. A Salisburgo vengono registrati dalla Curia più di quaranta prodigi, a Neuburg più di trenta. Inevitabilmente, il cappuccino attira su di sé anche molte ostilità ed è definito dai nemici “Simon Mago” o “alleato del diavolo”. Non risponderà mai ai suoi accusatori. Ad ascoltarlo accorrono anche i protestanti con i quali dialoga volentieri, dopo essersi accorto con quanto fervore leggono la Bibbia. “Cari fratelli – dice loro Marco D’Aviano – so che molti di voi desiderano farsi santi; ritornate nella Chiesa cattolica. Voi non avete colpa per la separazione. Credete, ma con una fede che sia operante con carità”. E ai cattolici dice: “Guardatevi dal dare scandali. Mostrate con la vostra condotta timorata di Dio che la nostra fede cattolica non consiste in parole e promesse vuote, non in una fede morta, ma in una fede viva e operante per mezzo della carità”.
Padre Marco, grande mistico e uomo di preghiera, considera una sua missione quella di propagare con intensità l’Atto di dolore, perché “con questo la persona penetra le viscere della divina misericordia, la invita a perdonare i peccati e a santificarla con la sua grazia e amicizia”. Nel 1682 il frate si reca per la seconda volta a Vienna e celebrando un “Te Deum” per ringraziare Dio per la fine della peste dice: “Vienna, Vienna, convertiti, perché altrimenti verrà su di te un castigo più grande”. L’anno dopo, infatti, il sultano Maometto IV annuncia all’imperatore d’Austria Leopoldo I e al re polacco Giovanni Sobieski che invaderà le loro regioni. L’esercito turco, con 150mila uomini, avanza a Selgrado, passa le pianure ungheresi e arriva alle porte di Vienna iniziando un memorabile assedio che durerà due mesi. Marco D’Aviano viene nominato legato pontificio con ampi poteri spirituali da Papa Innocenzo XI. Lascia Padova e raggiunge l’esercito della coalizione di difesa, promossa dallo stesso Pontefice. Riesce a mettere pace tra i comandanti, molto divisi tra loro.
L’esercito comincia una marcia verso Vienna ma si ferma un giorno intero in preghiera, 1’8 settembre, la festa della Natività di Maria. Il 12 settembre Padre Marco celebra la Messa, servita dal re polacco Giovanni e dal figlio Giacomo, sul Kahlenberg, la collina che sovrasta la capitale austriaca. I comandanti cattolici vengono assolti e comunicati, quelli protestanti, benedetti. Il frate assicura la vittoria e dice: “Se è utile, mi offro come vittima…”. La battaglia è brevissima: mentre Marco D’Aviano innalzava il crocifisso, il re Sobieski punta alla tenda del capo turco, Kara Mustafà , che suona la ritirata. I soldati della mezzaluna scappano, lasciando intatto l’accampamento e i vettovagliamenti.
Quelli che vengono catturati si raccomandano al frate per non essere sterminati. Il religioso friulano non era un guerrafondaio, né un integralista.
“Credeva nel dialogo e nell’esercizio della pietà, spiega il vicepostulatore della causa, padre Venanzio Renier, fu un uomo di pace e cercò sempre di salvare la vita dei nemici. Se incitò alla battaglia lo fece solo per legittima difesa della cristianità attaccata”. Nel 1684, Padre Marco interviene in favore degli ebrei di Padova, che stavano per essere linciati, e li salva.
Il futuro beato si spegne a Vienna, assistito dallo stesso imperatore Leopoldo, il 13 agosto 1699. Le grazie ottenute per la sua intercessione dopo la morte non si contano. Il miracolo scelto dalla Congregazione per le Cause dei Santi e approvato dal Papa riguarda la miracolosa guarigione dalla meningite del piccolo Antonino Geremia, avvenuta a Padova il 28 maggio 1941.
Maria Heyret, Padre Marco D’Aviano, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1999.