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14.12.2024

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Il canto liturgico dell’Occidente pre-gregoriano
2 Aprile 2014

Il canto liturgico dell’Occidente pre-gregoriano

Con la diffusione continentale del Cristianesimo, in Occidente iniziano ad individuarsi lentamente alcune importanti tradizioni rituali locali con il loro patrimonio musicale, che si definisce fino al VII-VIII secolo, prima che il “canto gregoriano” prenda il sopravvento, sebbene siano poi sopravvissute alcune realtà musicali legate ad usi locali, come avvenuto in Oriente.
Nella penisola iberica, il rito mozarabico designa la liturgia sviluppata a partire dal V-VI secolo e praticata poi dai cristiani durante il dominio arabo, fin verso l’anno 1000 (il termine “mozarabico” significa appunto “sotto gli Arabi”, volendo significare la permanenza dei riti cristiani sotto la dominazione musulmana), mentre cominciò a smarrirsi quando, con l’XI secolo, Roma prese a sollecitare l’introduzione della liturgia romana in luogo di quella locale, via via che iniziava la Reconquista: aderendo a tale sollecitazione, iniziò il tramonto di un patrimonio liturgico e musicale molto radicato e diffuso.
Preceduta da alcune consuetudini orientali importate dai Visigoti, la liturgia ispano-mozarabica aveva preso ad affermare propri formulari e melodie dal VI secolo, sancite dal concilio di Toledo del 633, presieduto da Isidoro di Siviglia, che li estese a tutta la Spagna: il canto mozarabico si contraddistingueva stilisticamente per una tendenza alla drammatizzazione, per la presenza di inflessioni popolari e tra le forme musicali tipiche – per quanto sia rimasto poco delle fonti originali – va ricordato il clamor, eseguito nella messa come canto di meditazione in forma salmodica, successivo alla lettura dei libri dei profeti dell’Antico Testamento.
Tra i repertori locali pervenuti invece fino a noi, sostanzialmente integro è il canto della Chiesa milanese, meglio conosciuto come ambrosiano, che si vuole introdotto da sant’Ambrogio nel IV sec. mediante un primo nucleo di inni e di antifone: con gli inni, poesie di 8 strofe di 4 tetrametri giambici, che rispettano la struttura metrica quantitativa del verso classico e insieme presentano un andamento accentuativo che con tale struttura coincide, Ambrogio introdusse – sugli esempi mutuati dai precedenti alessandrini – la metrica greco- romana nelle composizioni liturgiche, fino ad allora a ritmo libero (come nella salmodia ebraica), determinando così l’innesto dell’innografia cristiana sul tronco della cultura classica.
Dei numerosi testi attribuiti a sant’Ambrogio posteriormente, sono sicuramente suoi, secondo la testimonianza di sant’Agostino, i famosi Aeterne rerum conditor, Deus creator omnium, Iam surgit hora tertia, Veni redemptor gentium.
Il repertorio si affermò a partire dal VI secolo fino all’exploit dell’innografia medievale e da un punto di vista stilistico mutuava tendenze melismatiche come quelle mozarabiche e sillabiche più vicine al canto romano antico. A Roma e nell’Italia centrale, infatti, prima del VI sec., nasce un repertorio di canto liturgico che prende il nome di canto “paleoromano” o “romano antico”. Canto tipicamente mediterraneo, ricco di ornamentazioni e di abbellimenti, presentava una netta preferenza ai movimenti per gradi congiunti e una evidente limitazione dell’ambito melodico, come pure la quasi totale assenza dei caratteristici jubili alleluiatici del gregoriano: certe sfasature fra testo e musica hanno fatto pensare inoltre più a un repertorio di tradizione orale che non a un repertorio fissato rigidamente, sebbene il suo uso liturgico nelle liturgie papali e romane in genere fosse ampiamente attestato, soprattutto connesso con liturgie di Santi particolarmente venerati a Roma.
Oltre che da un punto di vista melodico, il canto romano antico si differenzia dal gregoriano anche in sede modale, dimostrando così che il canto romano diverrà solo una delle fonti del gregoriano, che non rappresenta la naturale evoluzione del romano antico.
Quello che noi chiamiamo gregoriano è sorto, infatti, dall’incontro della tradizione liturgica romana con il genio cerimoniale dei Franchi e più propriamente con il canto gallicano: due mondi che si incontreranno per opera della dinastia franca dei Carolingi e soprattutto per l’universalizzazione della liturgia romana voluta da Carlo Magno.
Gli stessi teorici medievali, prima degli studi moderni e contemporanei, avevano adombrato questa soluzione; ciononostante va sottolineato come la liturgia e il canto romano antico esercitarono profondo fascino sui conquistatori franchi, tanto da spingerli ad “importare” gli usi rituali romani per rielaborarli più tardi e restituirli fra il IX e il X sec. profondamente arricchiti e artisticamente connotati da alcune peculiarità nordiche: il gusto degli intervalli melodici ampi – che il gregoriano adotterà in larga misura – rispetto al carattere più latino delle melodie per grado congiunto, sarà una eredità franca che il canto piano si porterà nel repertorio poi definito “gregoriano”.

IL TIMONE – Aprile  2014 (pag. 47)    

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