Duecento anni fa nasceva John Henry Newman. Convertito dall'anglicanesimo alla fede cattolica, sostenne che fede e ragione non si escludono.
E che la vera Chiesa è quella di Roma.
Annoverato tra i maggiori apologisti di ogni tempo, in grado, a giudizio di alcuni, di rivaleggiare con uomini del calibro di Tertulliano o di san Giustino, John Henry Newman nacque a Londra il 21 febbraio 1801 e morì rii agosto 1890, al termine di un'esistenza tanto lunga quanto feconda, intorno alla quale siamo informati da lui stesso (“il più autobiografico degli uomini”, secondo la definizione data da Henri Bremond) attraverso la celebre opera Apologia prò vita sua, un'interessante diario e un vastissimo epistolario. Studente a Oxford, la città santa dell'anglicanesimo, già intorno ai quindici anni Newman cominciò a vivere momenti di intensa meditazione religiosa, ai quali seguì un periodo di studi assai accurati (tra l'altro, lesse con grande profitto la letteratura patristica) e di scelte importanti (nel 1824 divenne diacono e quattro anni più tardi parroco della chiesa universitaria di St. Mary). Sorto il “movimento di Oxford” finalizzato al rinnovamento dell'anglicanesimo, Newman ne diventò il leader, orientandolo verso posizioni che potremmo definire filocattoliche. Sempre più dubbioso circa le proprie convinzioni religiose, Newman, che a causa di pesanti critiche aveva dovuto dimettersi dai suoi uffici, si ritirò nella piccola località di Littlemore, finché, il 9 ottobre 1845, si realizza la sua piena conversione al cattolicesimo. Dopo un soggiorno a Roma, durante il quale entrò a far parte della a Congregazione di san Filippo Neri, Newman si trasferì a Birmingham, ove fondò un oratorio; i primi anni trascorsi all'interno della Chiesa cattolica gli riservarono tuttavia non poche incomprensioni e amarezze; ma quando, in risposta a un duro attacco, scrisse l'Apologia, la sua testimonianza sincera e appassionata di convertito gli fece riconquistare stima e fiducia assai ampie. Tornato agli studi filosofici, Newman si impegnò a dimostrare che la fede non richiede il sacrificio della ragione; similmente egli ritenne che accadesse nel caso dell'infallibilità del Papa: è noto a tutti che Newman si impegnò a fondo per far comprendere come il dogma proclamato in occasione del Concilio Vaticano I non fosse in conflitto con la libertà e la sovranità della coscienza (Lettera al Duca di Norfolk del 1875). Celebri sono rimaste a questo riguardo le seguenti sue considerazioni: “Se fossi costretto, durante i brindisi dopo aver mangiato, a pronunciare un 'evviva' alla religione (il che certamente non sembra essere la cosa più giusta che si possa fare), leverei allora un brindisi – certo – al Papa, tuttavia prima alla coscienza e soltanto dopo al Papa”. E che queste parole non siano dispiaciute allo stesso Pontefice è testimoniato dal fatto che nel 1879 Leone XIII elevò John Henry Newman alla dignità cardinalizia.
Newman affrontò con notevole acume la complessa questione della razionalità della fede e riuscì a proporre alcune risposte assai illuminanti, imperniate sulla convinzione che la ragione umana, ricondotta entro i confini che le sono propri, non è nemica del credo religioso; anzi, la fede stessa detiene una sua razionalità che non ne offusca la luminosa e trascendente verità: a questo riguardo, Newman mostra sicura fiducia nella Provvidenza divina, “Luce benigna” che sa condurre l'uomo verso il vero senza forzarlo, anzi rispettandone appieno la natura più autentica e profonda. A suo giudizio, “anche la fede del semplice credente, non in grado razionalmente di darne una spiegazione, è però grammaticalmente corretta, in quanto il percorso che porta alla fede come assenso reale è comunque – nel teologo come nella persona comune – rispondente alle regole naturali e implicite del ragionare concreto” (L. Callegari). Come è facile comprendere, Newman, proprio a motivo del suo cammino di conversione che lo portò dall'anglicanesimo alla fede cattolica, si adoperò con straordinario impegno per spiegare e valorizzare il ruolo della Chiesa di Roma, riconoscendo in essa la depositaria unica e autentica della verità evangelica: “Nessuno dubita – egli scrive – che l'attuale comunione cattolica romana succeda alla Chiesa medievale e che la rappresenta, o che la Chiesa medievale sia l'erede legittima di quella di Nicea… Se s. Ambrogio e s. Atanasio tornassero all'improvviso in vita, non vi ha dubbio quale confessione riconoscerebbero come la loro”. Newman può essere considerato un precursore dell'ecclesiologia contemporanea, e molti studiosi, da Congar a Guitton, hanno visto in lui l'annunciatore del Concilio Vaticano II; tuttavia, vi è stato anche chi avrebbe voluto inserirlo nell'orbita del modernismo, cosa che Cornelio Fabro respinge nettamente, esprimendosi nei termini seguenti: “II tentativo dei modernisti di attirare Newman dalla loro parte appare come un colpo di mano che non resiste né allo studio critico del suo pensiero, ancorato ai Padri, né all'andamento della sua conversione, per cui egli trovò la pace solo nell'autorità della Chiesa e nella infallibilità del suo Magistero”.
All'indomani della scomparsa del cardinale John Henry Newman, così si poteva leggere sul prestigioso Times: “Di una cosa possiamo essere certi, che il ricordo di questa pura e nobile vita, non toccata dalle cose di questo mondo, durerà e, che Roma lo canonizzi o no, egli sarà canonizzato nei pensieri della gente pia delle varie confessioni in Inghilterra… Il santo in lui sopravvivere”.
RICORDA
“La ragione, privata dell'apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggiore incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere”.
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio, Città del Vaticano 1998, n. 48).
J. H. Newman, Apologia prò vita sua, Jaca Book, Milano 1995.
J. H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, Paoline, Milano 1999.
L. Callegari, Newman: la fede e le sue ragioni, Paoline, Milano 2001.
IL TIMONE N. 13 – ANNO III – Maggio/Giugno 2001 – pag. 28-29