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12.12.2024

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Il ‘caso Marino’: la fede ritrovata
31 Gennaio 2014

Il ‘caso Marino’: la fede ritrovata

ESCLUSIVO – Parla il grande accusatore di Adriano Sofri


«Sono tranquillo, il delitto Calabresi è una vicenda chiusa. Ma prego per i vecchi compagni perché ammettano le loro responsabilità. Cristo è presente nella mia vita di tutti i giorni. La rivoluzione? E’ fallita. Oggi il problema dei giovani è la mancanza di educazione».

«Cristo è una presenza nella mia vita di tutti i Il giorni, in tutto quello che faccio. È presente nella mia famiglia, moglie e figli, che mi vogliono bene. È presente nel mio lavoro con l’autofurgone e in chi mi ferma per strada e mi offre la sua solidarietà. Cristo è presente in un’amicizia, in una compagnia di persone che mi aiutano nel mio cammino di fede e con cui mi trovo benissimo, come a casa. Vado regolarmente a Messa, cerco di vivere la mia spiritualità nel modo migliore».
A parlare è Leonardo Marino, l’ex operaio della carrozzerie Mirafiori ed ex militante di Lotta Continua, il “grande accusatore” di Adriano Sofri. Esecrato e disprezzato dall’intellighènzia che spadroneggia nei giornali e nei salotti televisivi, Marino riconosce che “gli anni peggiori sono passati” e che oggi si ritiene “un uomo normale”. Paura di vendette e ritorsioni? «No. lo ho seguito il mio percorso e sono tranquillo. Ho fatto quello che era giusto fare. Quando mi sono costituito, sedici anni fa, esisteva il problema della mia sicurezza ed effettivamente ho ricevuto minacce. Ma ora è diverso: voglio continuare a condurre la mia vita. Anche se sono consapevole del mio passato e che non è facile vivere come se niente fosse accaduto…».
Come è avvenuta la conversione? «Non sono stato fulminato sulla via di Damasco. Sono riemerse le mie radici. Ho avuto la fortuna di genitori molto religiosi, che mi hanno dato un’educazione di fondo, e ho studiato dai salesiani. Poi, come è accaduto a tanti in quegli anni confusi, è prevalsa l’attrattiva per la rivoluzione. L’anelito per la giustizia sociale e la voglia di cambiamento si sono trasformati in violenza e prevaricazione. Ci sono state molte vittime innocenti. Fino a quando quegli stessi che giocavano alla rivoluzione hanno detto basta. Oggi non c’è più nessuno che crede ai vecchi ideali. Le nuove Br fanno ridere, non hanno ragione di esistere, sono fuori da ogni contesto sociale. Il comunismo è miseramente fallito: non sono io a dirlo, è un fatto, è sotto gli occhi di tutti».
C’è una data che fa da spartiacque tra il “vecchio” e il “nuovo” Marino, è il 1988. Che cosa è successo? «Nell’estate di quell’anno, dopo un lungo travaglio interiore, mi fu finalmente chiaro che quello in cui avevo creduto era crollato. Avevo avuto dei cattivi maestri. Non sapevo che cosa fare. Dentro di me c’erano dei sensi di colpa molto forti. Poi avvenne l’incontro che cambiò la mia vita. Con un sacerdote. Quel prete mi disse: “Quand’è che ti togli quel fardello che hai sulle spalle?”. Mi confessai da lui. Alla fine mi assolse con le parole: “La tua penitenza non è recitare qualche Ave Maria, ma sostenere le conseguenze del tuo pentimento. Quello che hai fatto devi confessarlo non solo a Dio ma anche agli uomini, e chiedere perdono”. E così feci”.
Leonardo Marino ha oggi 58 anni, una moglie, Antonia, e due figli adulti, Adriano e Giorgio. Nel suo chiosco in riva al mare, a Bocca di Magra, in provincia di La Spezia, prepara e vende crepes dal 1986, due anni prima di quel pentimento e di quella confessione che rivelarono al mondo gli autori del delitto Calabresi, il primo omicidio politico in Italia dei famigerati “anni di piombo”. Diversi gradi di giudizio, una decina, e un centinaio di giudici hanno stabilito con certezza che era lui l’autista del commando di Lotta Continua che la mattina del 16 maggio 1972 uccise a colpi di pistola, sotto la sua casa milanese, il commissario di polizia Luigi Calabresi, accusato di essere un “nemico del popolo” e il responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. A sparare fu Ovidio Bompressi, a organizzare l’agguato Giorgio Pietrostefani. L’ultimo ordine, senza il quale l’agguato non ci sarebbe stato, lo diede Adriano Sofri, il popolare leader e ideologo del movimento di estrema sinistra.
Marino, condannato a 11 anni, ha usufruito dei benefici di legge per i pentiti e, dopo aver scontato complessivamente più di tre anni tra carcere e arresti domiciliari, è tornato in libertà. A Bompressi per motivi di salute sono stati concessi gli arresti domiciliari (e ha chiesto la grazia), Pietrostefani è uccel di bosco a Parigi, dove scrive libri sulla storia del commercio internazionale per una casa editrice italiana. L’unico degli imputati in carcere, dove sta scontando una pena di 22 anni, è Adriano Sofri, a cui un vasto e variegato schieramento di intellettuali di tutte le tendenze vorrebbe venisse concessa la grazia.
«La grazia a Sofri? Non voglio più essere coinvolto in questa storia, anche se ne sono stato la causa scatenante. Seguo le polemiche da spettatore neutrale. Non mi interessano più. La sera mi addormento in pace con la mia coscienza. Questa drammatica vicenda per me si è conclusa con i processi, dai quali è emersa l’unica cosa che mi sta veramente a cuore: ho raccontato la verità. Non ho mentito. Quindi per me la vicenda è chiusa. Sono gli altri che non vogliono chiuderla».
Marino è davvero sereno, pacato quando racconta. Non nutre odio e risentimento verso nessuno, anche se Aldo Cazzullo, nel libro Il caso Sofri, recentemente pubblicato da Mondadori, fa passare ancora l’immagine di un Marino “distrutto dagli altri e da se stesso. Rancoroso. Sofferente. Illuso e disilluso, sedotto e incattivito”. Oggi quello che è stato definito con scarsa eleganza, proprio da Sofri, “un grosso Pinocchio tra due carabinieri”, è una persona diversa. Che rivela di pregare per i suoi vecchi compagni, «perché trovino il coraggio di accettare la realtà e ammettere le loro colpe; e la facciano finita con questa farsa». E che, incalzato, alla fine ammette: «La grazia a Sofri sarebbe un atto di grande ingiustizia nei confronti di tanti altri detenuti che sono nelle stesse condizioni, o che addirittura ne hanno più diritto di lui. E magari hanno anche, per un attimo, chinato il capo e l’hanno chiesta». Cosa che invece Sofri non ha mai fatto, ritenendosi innocente. «Basterebbe un po’ di umiltà», precisa Marino.
Ma li ama ancora, i suoi vecchi compagni? Un attimo di silenzio: «Non è facile, cerco di farlo. Ripeto, mi auguro che trovino il coraggio di assumersi le loro responsabilità. Farebbe loro bene».
Che cosa resta della sua vecchia militanza politica? «Ho capito che la violenza non serve. Che non ci si deve far giustizia da sé». Si sente schierato? «Oggi sono più un centrista». Come vede il futuro? «Apprezzo chi scende in piazza per la pace: ha qualcosa dentro. Ma vedo anche tanti ragazzi vuoti. Non li capisco, non hanno rispetto verso gli altri. Si vede che sono il frutto di una mancanza di educazione». Quale messaggio vorrebbe loro trasmettere, lei, l’ex operaio e rivoluzionario che oggi cerca di essere un buon cristiano? «Non lo so. Mi imbarazza la sua domanda, ma scopro tuttavia con stupore che tanti giovani, considerano, proprio me!, un buon maestro, e mi cercano per confrontarsi, per un consiglio su come affrontare l’esistenza e la professione. È un miracolo».

BIBLIOGRAFIA

Leonardo Marino, Cosi uccidemmo il commissario Calabresi, Ares 1999. È il libro-testimonianza di Marino, con le sue scomode verità. Fondamentale per uscire dal circo mass mediatico delle manipolazioni storiche. Con una postfazione di Gemma Capra Calabresi.

IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 10 – 11
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