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3.12.2024

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Il caso San Raffaele
31 Gennaio 2014

Il caso San Raffaele

Prima ospedale all’avanguardia, frequentato dai vip e dalla gente comune; poi lo scandalo, il suicidio di un manager, la morte del fondatore. Ma da molto tempo il San Raffaele aveva deviato dalla retta via in materia di dottrina e di morale. E il Timone lo aveva scritto in tempo non sospetti

Sarà ricordato come l’annus horribilis del San Raffaele. Nel 2011 la creatura di don Luigi Verzè è finita sulle prime pagine di tutti i giornali: una situazione economica difficilissima, le voci di un dissesto finanziario, le indagini della magistratura. Con contorno di eventi drammatici: su tutti, il suicidio di un manager, e poi la morte del fondatore e “patron” dell’opera, don Luigi Verzè, stroncato da un attacco di cuore il 31 dicembre. I medici del San Raffaele non hanno potuto salvare l’anziano sacerdote, nonostante proprio lui avesse pubblicamente teorizzato la nascita di una nuova medicina del futuro, capace di sconfiggere perfino la morte.

Teologia della storia
Insomma, abbiamo assistito a uno “spettacolo” molto triste, a un dramma che suggerisce più il silenzio e la pietà, piuttosto che parole di critica e di condanna. Lasciamo a Dio il giudizio sulle persone e sospendiamo ogni valutazione sui problemi economici del San Raffaele, dei quali poco o nulla sappiamo.
Questa storia impone una riflessione di teologia della storia, una lettura di certi fatti di cronaca a partire da un punto di vista soprannaturale. L’apologetica cattolica deve aiutare proprio ad assumere questo sano habitus mentale e morale, che si smarca dalla prospettiva miope e scandalistica del mondo, e getta lo sguardo più in alto e più in profondità. La curiosità morbosa lascia lo spazio al desiderio sincero di imparare qualcosa che serva all’unico affare decisivo di questo mondo: la salvezza delle anime. I giornali mestano nel torbido e cercano di portare alla luce le miserie personali e le debolezze dei protagonisti. Ma a noi, l’affair San Raffaele deve provocare ben altre domande. In particolare: qual è il senso di una così fragorosa disfatta da parte di una realtà che per anni era apparsa tanto forte e autorevole? Com’è possibile che un ospedale modello, un centro di ricerca fra i più avanzati, finisca nell’occhio del ciclone? Che relazione ci può essere fra lo scandalo mediatico e la vocazione cristiana di questa struttura? Il San Raffaele si poteva e si può definire un ospedale cattolico?

Il vero scandalo
All’ospedale San Raffaele, in questi anni moltissime persone hanno trovato una risposta seria ai loro problemi di salute. Nella sua intrapresa, don Luigi Verzè ha raggiunto risultati importanti, promuovendo cure all’avanguardia e dando vita a una realtà in cui oggi operano 700 medici e 1300 infermieri. Sarebbe ingiusto dimenticarsene.
Riconosciuto con onestà tutto questo, occorre però dire che il San Raffaele rappresentava da anni un “esperimento” di eterodossia morale, bioetica e dottrinale all’interno del mondo cattolico. Lo scandalo che è scoppiato in questi mesi non deve farci dimenticare che questa realtà operava da molto tempo in palese disaccordo con quanto la Chiesa insegna nel campo dell’etica della vita. Il vero scandalo, allora, è questo: il San Raffaele poteva vantare del tutto indisturbato una “patente” di struttura cattolica e presentarsi all’opinione pubblica con questo abito, e nello stesso tempo annoverava (e annovera) fra i suoi servizi pratiche condannate dal Magistero.
Appaiono patetici i distinguo e i cavilli di chi ora – di fronte allo scandalo mediatico che riguarda le casse del San Raffaele – tenta di spiegare che il San Raffaele non era gestito direttamente dalla Chiesa, da una diocesi o da una famiglia religiosa. Stiamo parlando di un ospedale che ha avuto come patron e leader carismatico indiscusso un sacerdote cattolico. La gente comune questo vedeva e sapeva; la gente ascoltava i discorsi vagamente profetici di don Verzè sulla relazione fra cura del corpo e spiritualità, e i libri scritti a quattro mani dallo stesso don Luigi e dall’arcivescovo emerito della diocesi ambrosiana Carlo Maria Martini. Tutto, insomma, lasciava intendere che quello fosse uno dei molti ospedali cattolici che operano nel nostro Paese. Un errore fatale, del quale però pochissimi in questi anni si sono preoccupati.

Il nodo della fecondazione artificiale
La “credenza” intorno alla natura cattolica del San Raffaele rappresentava per molte persone comuni una garanzia morale, una rassicurazione intorno al fatto che dentro quelle mura si agisse nel rispetto di un’etica coerente con l’insegnamento della Chiesa. Fra queste, le coppie con problemi di fertilità che si sono rivolte all’ospedale milanese, talvolta perfino avviate al San Raffaele da un confessore (anch’esso forse irretito dalla patina “cattolica” dell’ospedale di via Olgettina) che le rassicurava dicendo “so che lì fanno le cose per bene”. Le cose per bene sono, fra le altre, la fecondazione artificiale extracorporea nella forma omologa. Un metodo che spezza l’elemento unitivo da quello procreativo, affidando il concepimento non all’abbraccio coniugale ma all’abilità del tecnico di laboratorio. E un metodo che determina la morte di un numero impressionante di embrioni, che sono destinati consapevolmente a morte quasi certa in misura del 95 per cento a detta dello stesso Comitato etico dell’ospedale.
La Chiesa condanna queste tecniche, il San Raffaele di don Luigi Verzè le praticava e le pratica, a spese del servizio sanitario nazionale. E alla luce del sole.

La denuncia del Timone
Tanto è vero che nel 2000, una rivista di apologetica nata da poco, nel suo numero 8, denunciava pubblicamente questo scandalo, undici anni prima che giornali e tv accendessero i loro riflettori sui bilanci del San Raffaele. In quell’articolo, il Timone raccontava un particolare ancora più inquietante: e cioè che il Comitato Etico del San Raffaele, nella seduta del 30 novembre 1995, a proposito della Fivet, deliberava testualmente così: «Il San Raffaele ritiene che gli interventi in esso praticati siano sostanzialmente conformi agli insegnamenti complessivi del magistero (minuscolo nel testo, n.d.r.) ecclesiale, interpretati e applicati secondo i criteri generali comunemente proposti dai moralisti cattolici». La Fivet omologa in linea con l’insegnamento della Donum vitae? Parole sconcertanti. Il documento in questione viene pubblicato dalla rivista del San Raffaele Sanare Infirmos nel dicembre 1996. Per tre anni non succede nulla. Poi, nel 1999 un gruppo di cattolici – composto da medici, giuristi, psicologi ed esperti di bioetica – presenta una istanza all’ex Sant’Uffizio, allegando i pareri di due teologi moralisti che dichiarano assolutamente infondata la tesi espressa dal San Raffaele. Arriva, puntuale, la risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede: i due pareri sono dichiarati «conformi alla dottrina della Chiesa», con la conseguenza che viene completamente smentita la tesi sostenuta dal San Raffaele. Per il Magistero della Chiesa cattolica ogni Fivet resta gravemente illecita.

Il silenzio sugli innocenti
È passato più di un decennio da quel giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma in ambito cattolico nessuna autorità è intervenuta pubblicamente: nemmeno una censura per il San Raffaele, nemmeno un’esortazione ai fedeli a non ricorrere alla Fivet di don Verzè.
Un silenzio imbarazzante, che ha favorito la confusione. E che ha anche permesso che nel frattempo altri ospedali cattolici in Italia introducessero il servizio di fecondazione artificiale. Al San Raffaele erano – e forse sono ancora convinti – che la scelta della provetta avrebbe fatto da apripista a un cambiamento della dottrina della Chiesa sull’argomento. Alla fine di un’intervista che mi concesse anni fa, un medico membro del Comitato Etico dell’ospedale di don Verzè mi disse: «Adesso che il microfono è spento glielo posso dire: noi abbiamo fondati motivi per ritenere che la posizione del Magistero sulla fecondazione artificiale omologa cambierà, e si adeguerà ai protocolli in uso nel nostro ospedale ».

Dalla provetta all’eresia
La fabbrica dei bambini non è però l’unica anomalia del San Raffaele, ma è piuttosto il simbolo di un più generale atteggiamento di contrapposizione al Magistero cattolico. Don Verzè nel libro Pelle per pelle, scritto con Giorgio Gandola nel 2004, suggerisce al Papa un’agenda di cambiamenti dottrinali in senso, ovviamente, permissivo. Lo stesso fondatore teorizza negli ultimi anni una medicina che ha lo scopo non più solo di curare ma di sconfiggere la morte. Il San Raffaele decide di fondare l’Università Vita e Salute, e sceglie tra i docenti un nutrito gruppo di pensatori eterodossi rispetto al cattolicesimo: da Massimo Cacciari a Roberta De Monticelli, da Vito Mancuso a Emanuele Severino, da Luigi Luca Cavalli Sforza a Edoardo Boncinelli.
Osservata da questa angolatura, la crisi gestionale del San Raffaele appare davvero ben poca cosa rispetto al fallimento dottrinale che ha fatto da cifra a molte scelte fondamentali. Con la decisione del Vaticano di non procedere all’acquisto dell’ospedale che fu di don Luigi Verzè, forse si mette per la prima volta una parola chiara sulla questione della presunta identità cattolica del San Raffaele. Se naufragio è stato, un buon cattolico direbbe che molte furono le avvisaglie e i segni premonitori. Peccato che chi avrebbe dovuto vederli non abbia lanciato l’allarme.

 

IL TIMONE n. 110 – Anno XIV – Febbraio 2012 – pag. 14 – 15
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