15.12.2024

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Il continente vecchio
31 Gennaio 2014

Il continente vecchio

 

 

A 50 anni dai Trattati di Roma un bilancio pesantemente negativo per l’Europa avviata, come dimostra la crisi demografica, al congedo dalla storia. La vera malattia, dice il Papa, è la negazione della propria identità. Ma una possibilità di guarigione c’è…..

Un’Europa stanca e sfiduciata che, demogra­ficamente parlando, sta prendendo congedo dalla storia; che non crede più ai suoi idea­li ed è ormai diventata nel mondo sinonimo di relativismo e nichilismo che, peraltro, tenta di impor­re a tutti. Un’Europa senza volto, che scambia per prag­matismo ciò che è soltanto un compromesso al ribasso sui valori umani essenziali. È questa la fotografia impie­tosa dell’Unione Europea a 50 anni dai Trattati di Roma, così come emerge dalle parole che papa Benedetto XVI ha pronunciato alla fine del marzo scorso davanti al con­gresso internazionale organizzato dalle Conferenze epi­scopali della Comunità Europea (COMECE) proprio per celebrare l’importante anniversario.
Si è trattato di un intervento forse inatteso, visti i fiumi di retorica che sono scorsi per l’occasione e a cui non si so­no sottratti anche diversi rappresentanti delle Chiese cri­stiane, ma certamente non si può non riconoscere che quello presentato dal Papa è un ritratto realista.
Del resto che l’Europa sia in crisi è difficile nasconder­lo e la bocciatura della Costituzione in Francia e Olan­da grazie al referendum popolare ha messo a nudo la si­tuazione: un colpo da cui i leader politici europei non si sono ancora ripresi, tanto che a due anni di distanza da quel “no” non si è ancora deciso che cosa fare e soprat­tutto quale direzione prendere per dare all’Unione Euro­pea un trattato che ne definisca anima e corpo. Nel frat­tempo però gli “euroburocrati” stanno costruendo di fatto una “politica comune europea” che nega alla radice quei “princìpi non negoziabili” (vita, famiglia, libertà di educa­zione) cui ha fatto più volte riferimento il Papa. Lo dimo­strano, ad esempio, le pressioni sugli Stati europei più re­calcitranti a legalizzare l’aborto e a favorire i matrimoni tra omosessuali, malgrado queste siano materie di stret­ta pertinenza dei singoli Stati. E lo dimostra l’attivismo in sede internazionale ancora sugli stessi temi, tanto che or­mai l’Unione Europea è considerata il punto di riferimento internazionale di tutte le lobby anti­vita e anti­famiglia.
Una conferma clamorosa la si è avuta in marzo quando si è riunita la Commissione delle Nazioni Unite sullo Sta­tus delle Donne (CSW), la cui dichiarazione finale omet­te di condannare la selezione prenatale del sesso e l’in­fanticidio femminile. La questione riguarda alcuni grandi Paesi asiatici, a cominciare da Cina e India, dove le rigi­de campagne di controllo delle nascite unite alla prefe­renza culturale ed economica per i figli maschi fanno sì che le famiglie eliminino le figlie femmine, al punto che si calcola che in Asia già oggi “manchino” cento milioni di donne. Considerando il tema in discussione alla CSW , ovvero “Discriminazione e violenza contro le bambine”, gli Stati Uniti avevano prima proposto una risoluzione di condanna ad hoc e poi – vista la forte opposizione dei Paesi interessati, spalleggiati dalla UE – avevano ripiega­to sull’introduzione della condanna nel documento fina­le. Ma con un colpo di mano all’ultimo momento, avallato ancora una volta dai rappresentanti europei, buona par­te del testo in questione è stato cancellato. La posizione europea si spiega con la preoccupazione che la condan­na della selezione prenatale del sesso avrebbe indeboli­to il sostegno alla liberalizzazione dell’aborto, che invece traspare con chiarezza anche nel documento finale della Commissione ONU. Così, l’Europa che pretende di esse­re campione nel rispetto e promozione dei diritti umani si fa complice di una delle più vergognose discriminazioni contro le donne.
Questa contraddizione non è un caso isolato: l’Europa che parla tanto di solidarietà, ad esempio, è anche l’Eu­ropa che tenacemente si oppone all’abbattimento delle barriere doganali che favorirebbe le economie dei Pae­si poveri. Non è così strano, perché chi nega l’esistenza di valori assoluti e universali finisce poi per cercare di im­porre la propria ideologia. E questa è la UE a 50 anni dai famosi Trattati di Roma. È questo l’ideale che avevano in testa i padri dell’Europa, De Gasperi, Schumann e Ade­nauer? Evidentemente no. E giustamente Benedetto XVI ha messo il dito sulla piaga.
Ma la vera malattia dell’Europa, quello che impedisce alla UE di trovare una via d’uscita alla crisi, consiste nel voler negare l’identità dei popoli europei, che – come ha detto il Papa ­è «un’identità storica, culturale e morale prima an­cora che geografica, economica o politica; un’identità co­stituita da un insieme di valori universali che il Cristiane­simo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Euro­pa». E la negazione dell’identità arriva fino a istituzionaliz­zarsi, con l’imposizione di un laicismo che «finisce per ne­gare ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico o, perlomeno, se ne squalifica il contri­buto con l’accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi».
Davanti a questa situazione, l’Unione Europea – affetta da que­sta «singolare forma di apostasia da se stessa» confermata an­che dalla profonda crisi demografica «che potrebbe portarla al congedo dalla storia» – avrebbe soltanto la possibilità di fare una rapida inversione a U nella consapevolezza che «per essere va­lida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valo­ri universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di dirit­ti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li nega­no».
Non sembra certo questa la leadership europea in grado di un compito tanto grave. Il lavoro cade tutto sulle spalle dei cristia­ni, chiamati oggi più che mai a «difendere strenuamente questa verità dell’uomo» e su queste basi edificare «la nuova Europa», come Benedetto XVI stesso l’ha definita. Una Europa «realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo». Come fare? Il me­todo evocato dal Papa è «presenza»: presenza attiva nel dibat­tito pubblico a livello europeo, «consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impe­gno un’efficace azione culturale».

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«Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la “ponderazione dei beni” sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà, se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo».
(Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso promosso dalla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE), Roma, 24 marzo 2007.

IL TIMONE – N.63 – ANNO IX – ­Maggio 2007 ­pag. 18-­19

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