Un’Europa stanca e sfiduciata che, demograficamente parlando, sta prendendo congedo dalla storia; che non crede più ai suoi ideali ed è ormai diventata nel mondo sinonimo di relativismo e nichilismo che, peraltro, tenta di imporre a tutti. Un’Europa senza volto, che scambia per pragmatismo ciò che è soltanto un compromesso al ribasso sui valori umani essenziali. È questa la fotografia impietosa dell’Unione Europea a 50 anni dai Trattati di Roma, così come emerge dalle parole che papa Benedetto XVI ha pronunciato alla fine del marzo scorso davanti al congresso internazionale organizzato dalle Conferenze episcopali della Comunità Europea (COMECE) proprio per celebrare l’importante anniversario.
Si è trattato di un intervento forse inatteso, visti i fiumi di retorica che sono scorsi per l’occasione e a cui non si sono sottratti anche diversi rappresentanti delle Chiese cristiane, ma certamente non si può non riconoscere che quello presentato dal Papa è un ritratto realista.
Del resto che l’Europa sia in crisi è difficile nasconderlo e la bocciatura della Costituzione in Francia e Olanda grazie al referendum popolare ha messo a nudo la situazione: un colpo da cui i leader politici europei non si sono ancora ripresi, tanto che a due anni di distanza da quel “no” non si è ancora deciso che cosa fare e soprattutto quale direzione prendere per dare all’Unione Europea un trattato che ne definisca anima e corpo. Nel frattempo però gli “euroburocrati” stanno costruendo di fatto una “politica comune europea” che nega alla radice quei “princìpi non negoziabili” (vita, famiglia, libertà di educazione) cui ha fatto più volte riferimento il Papa. Lo dimostrano, ad esempio, le pressioni sugli Stati europei più recalcitranti a legalizzare l’aborto e a favorire i matrimoni tra omosessuali, malgrado queste siano materie di stretta pertinenza dei singoli Stati. E lo dimostra l’attivismo in sede internazionale ancora sugli stessi temi, tanto che ormai l’Unione Europea è considerata il punto di riferimento internazionale di tutte le lobby antivita e antifamiglia.
Una conferma clamorosa la si è avuta in marzo quando si è riunita la Commissione delle Nazioni Unite sullo Status delle Donne (CSW), la cui dichiarazione finale omette di condannare la selezione prenatale del sesso e l’infanticidio femminile. La questione riguarda alcuni grandi Paesi asiatici, a cominciare da Cina e India, dove le rigide campagne di controllo delle nascite unite alla preferenza culturale ed economica per i figli maschi fanno sì che le famiglie eliminino le figlie femmine, al punto che si calcola che in Asia già oggi “manchino” cento milioni di donne. Considerando il tema in discussione alla CSW , ovvero “Discriminazione e violenza contro le bambine”, gli Stati Uniti avevano prima proposto una risoluzione di condanna ad hoc e poi – vista la forte opposizione dei Paesi interessati, spalleggiati dalla UE – avevano ripiegato sull’introduzione della condanna nel documento finale. Ma con un colpo di mano all’ultimo momento, avallato ancora una volta dai rappresentanti europei, buona parte del testo in questione è stato cancellato. La posizione europea si spiega con la preoccupazione che la condanna della selezione prenatale del sesso avrebbe indebolito il sostegno alla liberalizzazione dell’aborto, che invece traspare con chiarezza anche nel documento finale della Commissione ONU. Così, l’Europa che pretende di essere campione nel rispetto e promozione dei diritti umani si fa complice di una delle più vergognose discriminazioni contro le donne.
Questa contraddizione non è un caso isolato: l’Europa che parla tanto di solidarietà, ad esempio, è anche l’Europa che tenacemente si oppone all’abbattimento delle barriere doganali che favorirebbe le economie dei Paesi poveri. Non è così strano, perché chi nega l’esistenza di valori assoluti e universali finisce poi per cercare di imporre la propria ideologia. E questa è la UE a 50 anni dai famosi Trattati di Roma. È questo l’ideale che avevano in testa i padri dell’Europa, De Gasperi, Schumann e Adenauer? Evidentemente no. E giustamente Benedetto XVI ha messo il dito sulla piaga.
Ma la vera malattia dell’Europa, quello che impedisce alla UE di trovare una via d’uscita alla crisi, consiste nel voler negare l’identità dei popoli europei, che – come ha detto il Papa è «un’identità storica, culturale e morale prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa». E la negazione dell’identità arriva fino a istituzionalizzarsi, con l’imposizione di un laicismo che «finisce per negare ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico o, perlomeno, se ne squalifica il contributo con l’accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi».
Davanti a questa situazione, l’Unione Europea – affetta da questa «singolare forma di apostasia da se stessa» confermata anche dalla profonda crisi demografica «che potrebbe portarla al congedo dalla storia» – avrebbe soltanto la possibilità di fare una rapida inversione a U nella consapevolezza che «per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano».
Non sembra certo questa la leadership europea in grado di un compito tanto grave. Il lavoro cade tutto sulle spalle dei cristiani, chiamati oggi più che mai a «difendere strenuamente questa verità dell’uomo» e su queste basi edificare «la nuova Europa», come Benedetto XVI stesso l’ha definita. Una Europa «realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo». Come fare? Il metodo evocato dal Papa è «presenza»: presenza attiva nel dibattito pubblico a livello europeo, «consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale».
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«Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la “ponderazione dei beni” sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà, se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo».
(Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso promosso dalla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE), Roma, 24 marzo 2007.
IL TIMONE – N.63 – ANNO IX – Maggio 2007 pag. 18-19