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12.12.2024

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Il credo e l’eresia
31 Gennaio 2014

Il credo e l’eresia



La riflessione sull’Incarnazione è stata oggetto di grandi dispute dottrinali. Molte eresie si opposero al mistero dell’Incarnazione o lo falsificarono. La definizione del Credo nei concili di Nicea e Costantinopoli



L’anno prossimo celebreremo l’Editto di Milano col quale Costantino dichiarava il cristianesimo religio licita nell’Impero romano (313). La pace esterna alla Chiesa mise in luce un sottile, ma devastante dissenso tra le due scuole teologiche più importanti dei primi secoli, Alessandria e Antiochia. La scuola antiochena preferiva esaminare le Sacre Scritture secondo un rigoroso metodo storico, assumendo per ogni termine il significato letterale. Perciò, quando nell’Antico Testamento si parla dell’unicità di Dio, bisogna ribadire l’impossibilità di introdurre una qualche distinzione nella sua essenza unica, alla maniera di ebrei e musulmani. Per questo, quando si parla di Gesù bisogna ammettere che è il più grande dei profeti, prediletto da Dio, ma non è Dio, perché Dio è unico. Con ciò si corre il pericolo di considerare Gesù come un uomo abitato da Dio durante la sua permanenza tra gli uomini, come un tabernacolo che accoglie il Sacramento dell’altare. Ario era un presbitero di Alessandria un po’ anomalo, perché era originario della Libia e discepolo di Luciano di Antiochia, morto martire durante la persecuzione di Diocleziano. La scuola di Alessandria era stata illustrata da maestri come Clemente Alessandrino e Origene. Per influsso di un famoso erudito ebreo, Filone Alessandrino contemporaneo di Gesù, tale scuola aveva elaborato un metodo esegetico fondato sull’allegoria, comportante la lettura degli episodi biblici non solamente alla lettera, bensì secondo un significato morale, allegorico e anagogico. Quando leggiamo la favola del lupo e dell’agnello il significato letterale è il meno importante. Il significato morale suggerisce di schierarsi dalla parte di innocenti e perseguitati. Il significato allegorico identifica il lupo con crudeli e violenti. Il significato anagogico considera la favola come occasione per ribadire che violenza e inganno saranno giudicati da Dio secondo una giustizia eterna. La scuola di Alessandria non aveva difficoltà ad ammettere che Gesù “è vero uomo e vero Dio”. Infatti, la natura o sostanza di Dio è unica, ma le sue operazioni sono triplici. Egli è Padre in quanto creatore; è Figlio in quanto Redentore dell’umanità; è Spirito Santo in quanto fondamento della Chiesa.

La predicazione di Ario
A partire dal 322, Ario cominciò a predicare affermando che Cristo è una meravigliosa creatura, ossia che anch’Egli è stato creato, anzi ci fu un tempo in cui Cristo non era. Queste erano sue deduzioni personali in contrasto con l’insegnamento di Alessandria. Ario dimenticava di far passare la sua predicazione attraverso il vaglio del suo vescovo, che ha questo diritto e dovere. Qualche fedele denunciò le novità di Ario e perciò il vescovo Alessandro convocò un sinodo di vescovi egiziani e fece esporre in pubblico dibattito le tesi di Ario, ribattute dal diacono Atanasio, il quale affermò che se Cristo non è anche vero Dio, il suo sacrificio sulla Croce non risulterebbe l’espiazione adeguata del peccato degli uomini, che perciò rimarrebbero separati da Dio. Tutti, tranne pochi vescovi e presbiteri, acclamarono questa conclusione, mentre Ario rifiutava la ritrattazione. Egli preferì scrivere una lettera agli amici “collucianisti” in Siria, quasi che ad Alessandria si fosse condannato un modo legittimo di far teologia. I “collucianisti”, ossia i seguaci della scuola di Luciano di Antiochia che si opponevano all’allegorismo della scuola alessandrina, più famosi erano Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea di Palestina, amico dell’imperatore Costantino e suo futuro biografo. Costoro inviarono lettere al vescovo Alessandro suggerendogli di riaccogliere Ario tra il suo clero, affermando che le sue opinioni erano pienamente legittime e largamente condivise in Siria. Alessandro dovette scrivere una lettera circolare per esporre il reale andamento dei fatti accaduti nel sinodo egiziano e la gravità delle conseguenze di un insegnamento non ortodosso.

L’intervento dell’imperatore Costantino
L’imperatore Costantino venne a conoscenza della disputa e la considerò politicamente pericolosa perché coinvolgeva le due province più importanti per l’Impero: la Siria che ospitava l’esercito più numeroso e l’industria per rifornirlo, e l’Egitto, il solo paese produttore di eccedenze di frumento per le capitali dell’Impero. Dunque due province strategiche. Costantino minimizzò i fatti, come se si trattasse di questioni di parole e decise di convocare i vescovi dell’Impero nella sua villa estiva di Nicea. Nel maggio 325 circa trecento vescovi, quasi tutti orientali (in occidente il problema sollevato da Ario non esisteva), iniziarono le discussioni alla presenza di Costantino. Quando i Padri conciliari udirono la tesi secondo cui Cristo non era coeterno al Padre ed era una creatura come le altre, inorridirono.
A stragrande maggioranza fecero comprendere che Cristo era Dio come il Padre. Eusebio di Cesarea presentò la professione di fede o credo in uso in alcune città della Palestina. Il testo è quello che noi recitiamo la domenica. Parlando di Cristo si afferma: «Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre ». Poiché l’errore di Ario era di natura filosofica, fu aggiunto quel termine homoousios (“della stessa sostanza”, “consustanziale”) che non ha origine biblica, bensì filosofica. La cosa scontentò non solo i pochi ariani convinti, ma anche molti vescovi e per circa mezzo secolo fu causa di discordie. Ario fu condannato all’esilio con due vescovi irriducibili, ma in seguito molti altri vescovi adottarono posizioni vicine all’arianesimo.
Alcuni grandi Padri della Chiesa – san Basilio di Cesarea di Cappadocia, san Gregorio di Nazianzo e san Gregorio di Nissa – nel decennio tra il 370 e il 380, riuscirono a elaborare un linguaggio teologico rigoroso affermante che nella Trinità esiste una sola sostanza divina, con tre ipostasi ovvero persone divine: Dio Padre cui si attribuisce il compito della creazione; Dio Figlio cui si attribuisce il compito della redenzione comportante l’assunzione dell’umanità nella vita trinitaria; Dio Spirito Santo con il compito di santificare la Chiesa. Quest’ultima acquisizione fu ottenuta nel corso del concilio di Costantinopoli, celebrato nel 380, ossia proclamando che lo Spirito Santo è persona divina. Così fu completato il Credo, definito da allora niceno-costantinopolitano.

Il nestorianesimo
Nel 431 si rese necessaria la convocazione del concilio di Efeso a causa di un maldestro intervento di Nestorio, vescovo di Costantinopoli, proveniente dalla scuola di Antiochia: egli negava la legittimità del titolo “Madre di Dio” attribuito alla Madonna. Voleva che si dicesse “Madre di Cristo”. Il Concilio fu convocato nella città mariana per eccellenza e durò un solo giorno. Poiché la natura umana e la natura divina in Cristo sono unite, senza confusione o assorbimento di una nell’altra, nell’unica Persona del Verbo incarnato, il Logos di Dio, la Madonna, vera Madre di Cristo, a pieno titolo è anche vera Madre di Dio. La Madonna rimane una semplice creatura, ma ha conseguito una dignità unica perché umanità e divinità in Cristo formano una persona indivisibile. Perciò la Madonna è anche Madre di Dio.

Il monofisismo
Il quarto concilio ecumenico di Calcedonia, riunito nel 451, fu causato da un intervento ingenuo di Eutiche, un monaco ascoltato a corte, ma inetto come teologo speculativo. Egli riteneva che in Cristo, dopo l’ascesa al cielo, la sua umanità, messa in relazione con la divinità, risultasse irrilevante: come una goccia di miele (l’umanità di Cristo) non riesce a modificare la salinità del mare (la divinità di Cristo) così questa finisce per assorbire l’umanità. Tale eresia viene definita monofisismo, una sola natura presente nel Cristo della gloria. Si tratta di un’eresia che non sa riconoscere la grandezza della natura umana redenta da Cristo e inserita per sempre nella Trinità divina. Tutto ciò rappresenta un invito a riconoscere la grandezza dell’uomo che ha indotto Dio a incarnarsi, divenendo del tutto simile all’uomo, tranne che per il peccato.



Per saperne di più…

Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 465, 466, 467.
Manlio Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1975.

Dossier: IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE

IL TIMONE N. 111 – ANNO XIV – Mrzo 2012 – pag. 44 – 45

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